Devon Harris ci svela cosa ne pensa di Cool Runnings, dell’esperienza alla guida del bob e di Pechino
L’ex membro della squadra di bob giamaicana si racconta, svelandoci il dietro le quinte della sua esperienza a Calgary, Albertville e Nagano in un’intervista esclusiva.
In un’intervista esclusiva con l’operatore di scommesse sportive* Betway, l’ex atleta della nazionale di bob della Giamaica, Devon Harris, svela cosa ha significato per lui rappresentare il suo Paese alle olimpiadi invernali.
Cosa si aspetta dalla squadra di bob giamaicana ai giochi di Pechino?
Sono entusiasta della qualificazione della Giamaica e molto orgoglioso dei ragazzi. È meraviglioso che stiano portando avanti la tradizione e non vedo l’ora di vedere sventolare la bandiera nera verde e gialla a Pechino. È difficile fare un pronostico sulle loro prestazioni, ma sono certo che ce la metteranno tutta e che saranno degli avversari validi.
Com’è trascorrere un periodo così lungo lontano da casa per allenarsi per le olimpiadi invernali?
Beh, se sei giovane, single e senza impegni, è un’avventura! Dico spesso che ho considerato il bob come un’estensione della mia carriera militare, rappresentando il mio Paese. Abbiamo fatto ciò che era necessario cercando di mantenere la stessa disciplina. Non c’è nulla che sia troppo duro o difficile per raggiungere il nostro obiettivo.
Lei e i membri della squadra eravate amici già prima dell’impresa olimpica?
No, non ci conoscevamo affatto, ero appena entrato nell’esercito ed ero il soldato più giovane del gruppo. Ricordo che ci conoscemmo alle selezioni per la squadra, ma non ci dicemmo molto. Fu solo dopo essere stati scelti che iniziammo a fare amicizia, sebbene il fatto che avessimo gradi diversi condizionò abbastanza i nostri rapporti: Dudley Stokes era capitano, io tenente e Michael White un soldato semplice. Si creò una dinamica interessante perché quando viaggiavamo come atleti ci chiamavamo per nome, mentre in Giamaica rispettavamo la gerarchia militare facendo il saluto.
Qual è la sua caratteristica che ha convinto gli organizzatori a sceglierla per la squadra?
Il mio sorriso, ovviamente!
Quali sono state le maggiori difficoltà che lei e la sua squadra avete dovuto affrontare per qualificarvi alle olimpiadi del 1988?
La preparazione atletica e, nel mio caso, il dovere affrontare la mia paura della velocità e dell’altezza. A parte questo, avevamo sempre freddo e fame e i fondi scarseggiavano. Ricordo un giorno particolarmente freddo a Calgary, ci eravamo allenati duramente e, arrivati a sera, l’unica cosa che potevo permettermi per cena era una piccola bevanda in lattina con un pezzo di pane e una coscia di pollo. George Fitch, il fondatore della squadra, era certo che l’idea sarebbe stata talmente originale che una volta uscita la notizia saremmo stati sommersi dagli sponsor. Beh, si sbagliava.
Cosa pensarono della squadra i giamaicani?
Non saprei, ma credo che la maggioranza delle persone non sapesse neanche che la Giamaica avesse una squadra di bob. Era una cosa talmente lontana dalla nostra cultura che molti non conoscevano affatto questo sport. Direi che iniziai a comprendere cosa pensassero di noi i nostri connazionali solo dopo le olimpiadi. Mi sorprese molto il fatto che tutti fossero estremamente gentili con noi, in quanto, quando si parla di sport olimpici, il nostro è un popolo abituato all’eccellenza.
Com’è cambiata l’accoglienza che le è stata riservata dopo avere partecipato ad altre due olimpiadi?
L’esperienza dell’88 continua a essere la più forte, ebbe un impatto indescrivibile. Le persone continuano a seguire la nazionale alle olimpiadi invernali, ma credo che solo la vittoria di una medaglia potrebbe eguagliare il successo della squadra dell’88.
Quale delle olimpiadi a cui ha partecipato è stata la sua preferita e perché?
Beh, è come chiedermi a quale dei miei figli voglia più bene: sono tutte speciali. Calgary è indimenticabile perché è dove tutto ebbe inizio e fu un’esperienza magnifica, ad Albertville guidai per la prima volta e Nagano fu l’edizione dalla qualificazione più difficile.
Preferisce il bob a due o a quattro? E perché?
Oh, un’altra domanda difficile come la precedente! Posso forse deludere una delle mie creature? Alle olimpiadi ho guidato solo il bob a due, ma avevo già guidato quello a quattro e non c’è alcun paragone. È stata un’esperienza magnifica, non c’è niente di meglio.
Dove l’ha guidato?
A Winterberg, in Germania. È stato fantastico. Il bob a quattro è più pesante e per questo è più facile da gestire, va esattamente dove voglio. È una sensazione indescrivibile. Devo però ammettere di essere stato un po’ presuntuoso il primo giorno: ero talmente sicuro di essere bravo che ho finito per schiantarmi! La parte peggiore è che ho dovuto trascorrere la serata riparando la slitta invece di riposare. Sfortunatamente non avevamo i fondi necessari a consentirmi di partecipare alle olimpiadi con questa versione.
Come sceglievate gli obiettivi da porvi a livello di prestazioni?
Inizialmente volevamo piazzarci tra i primi 10 perché era alla nostra portata. Magari non avevamo le slitte migliori, ma sapevamo correre, quindi il nostro obiettivo era applicare le nostre doti atletiche a questa disciplina.
Qual è l’aspetto che preferisce della sua esperienza con il bob?
Credo che dovrei distinguere tra la mia esperienza con il bob e quella alle olimpiadi. Ciò che mi piaceva di più del bob era guidare e soprattutto il fatto che mi abbia consentito di affrontare e superare le mie paure. Come vede, sono sopravvissuto. Per quanto riguarda l’esperienza olimpica, non posso che descriverla come un’utopia: trascorrere 16 giorni circondato da persone provenienti da tutto il mondo e che non avresti mai incontrato in altre circostanze, è meraviglioso. È un ambiente in cui si è protetti dalle difficoltà e dalle malattie del mondo e in cui si ha la possibilità, per due sole settimane, di entrare in contatto con il resto dell’umanità. Ciò che ho compreso è che le differenze che ci definiscono sono insignificanti rispetto a tutto ciò che ci unisce.
Cos’ha pensato del film “Cool Runnings” quando è uscito e cosa ne pensa adesso?
Ricordo che io e il resto della squadra ci incontrammo subito dopo la proiezione e tirammo un sospiro di sollievo unanime perché non avevano inserito persone fumando marihuana nel film. È uno stereotipo che combattiamo fin dall’inizio della nostra carriera sportiva perché la società immagina spesso che tutti i giamaicani fumino e non è così. Al di là di questo aspetto, il film è stato una fonte d’ispirazione. “Cool Runnings” è il tipo di opera che avrei apprezzato molto anche se non avesse raccontato una parte tanto importante della mia vita. Continua a piacermi per la storia incentrata sulle persone e per la grande lezione di vita che offre.
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