Quanto è difficile valutare i Los Angeles Dodgers? Mercoledì sera la squadra è arrivata alla vittoria numero 50, la seconda più veloce nella storia dopo, e l’idea è che sia un gruppo destinato a vincere in tranquillità la division - ma questo pare ovvio - e la National League, in attesa dei playoff. Ecco, il problema è proprio questo: dopo due anni di World Series conquistate, e perse, purtroppo capire cosa siano e come siano i Dodgers è diventato arduo se non addirittura inutile. È conseguenza della filosofia e della struttura stessa dello sport professionistico americano: conta (quasi) solo vincere, e dunque tutto quello che fai durante la regular season e nella prima parte dei playoff rischia di avere un valore relativo e parziale, se hai alle spalle due recenti fallimenti. È come se la narrazione si interrompesse per paura di proseguire e cadere di nuovo nell’errore di elogiare chi potrebbe ancora cadere. Ma è chiaro che si tratta di una squadra fenomenale e con una testa robusta e lo dimostra lo screzio del 9 giugno tra Max Muncy e il lanciatore dei San Francisco Giants Madison Bumgarner: battuto un fuoricampo, Muncy era rimasto a guardare la traiettoria della pallina invece di correre subito sulle basi, e Bumgarner non aveva gradito. Muncy gli aveva risposto ‘se vuoi la pallina valla a ripescare nell’oceano’ (lo stadio dei Giants è delimitato dalla baia, dunque formalmente Oceano Pacifico) e il giorno dopo si era presentato con una maglietta con lo slogan. Muncy è uno che sta emergendo nonostante una valutazione non eccezionale quando era una semplice promessa, e la faccia tosta che dimostra (quasi) ogni giorno dà l’idea della forza dei Dodgers. Che giovedì sera hanno di nuovo sconfitto Bumgarner, stavolta in casa, con Muncy a battere un punto con un singolo ma anche a uscire nella parte alta dell’8° inning per una contusione alla caviglia, in occasione di una sua battuta in foul schizzatagli addosso. A sostituirlo è arrivato Cody Bellinger, andato all’esterno destro con Kike Hernandez a rimpiazzare Muncy in seconda base, e tra l’altro proprio Bellinger, finito in prima base per la prima volta in oltre due mesi, ha effettuato nella parte alta del 9° inning una giocata fondamentale, in un momento in cui i Giants avevano rimontato dal 4-9 all’8-9. Scontato e banale dirlo, ma Bellinger è stato fondamentale anche in una partita in cui era stato tenuto a riposo fino al 7° inning. E questo accresce la sua reputazione.

Attenzione a quanto può accadere nei prossimi giorni al rendimento dei Tampa Bay Rays, ora secondi nella American League East a una manciata di partite dai New York Yankees. Ci potrebbe essere, nella serie del weekend a Oakland, il contraccolpo della notizia trapelata nella notte, quella del permesso che la MLB ha dato al club di progettare una curiosa forma di suddivisione della stagione tra Tampa e… Montréal. I Rays giocherebbero in Florida solo le prime settimane di stagione poi si trasferirebbero in Canada, per poi tornare a casa verso fine o eventuali playoff. Mossa inedita e già criticata da molti, tra cui giocatori che dovrebbero spostare le famiglie per alcuni mesi poi ricominciare daccapo. Vero che sono quasi tutti ultra-benestanti, ma la prospettiva è molto particolare e dovrebbe trovare la sua spiegazione nel Tropicana Field, attuale stadio dei Rays, situato a St.Petersburg, la città dirimpettaia di Tampa, a cui è collegata da un ponte. Vecchio e malfatto, il Tropicana Field è inadeguato: la proprietà vorrebbe un nuovo stadio e con questa mossa del potenziale trasferimento può averla vinta rispetto alle perplessità locali. Giocare a Tampa solo un certo numero di partite permetterebbe infatti la costruzione di un impianto senza copertura - necessaria per bloccare l’insopportabile afa estiva - e dunque meno costoso, e intanto anche Montréal avrebbe un nuovo stadio. Il guaio dei Rays è sempre quello già segnalato in precedenza: pur in una annata di alto livello hanno la seconda peggior media spettatori della MLB (14.456) e ricavi modesti sul piano della pubblicità e dei diritti tv localli. Serve una spinta forte, e il proprietario Stuart Sternberg intende darla anche in questo modo.

 

FENOMENO Max Scherzer è un tipo particolare. Intanto, perché ha un occhio di colore diverso dall’altro: blu il destro, castano il sinistro. E tra i cani che ha, e che adora tanto da essere diventato volto di una campagna pro-adozioni, ce n’è uno, Rocco, che ha la medesima caratteristica. Su un piano tragico, Scherzer ha anche dovuto subire la perdita dell’unico fratello, Alex: studioso di statistiche avanzate del baseball, si suicidò nel 2012, senza aver dato segnali precedenti di disagio. Ora, Scherzer è dal 2015 uno dei giocatori più importanti dei Washington Nationals, e mercoledì sera ha vinto la partita contro Philadelphia, 2-0 con 10 strikeout e sette inning (ovviamente) senza concedere punti pur avendo subito una frattura al setto nasale e una contusione sotto l’occhio (quello blu) nel corso di un tentativo di bunt (smorzata), il giorno prima. Purtroppo per lui la stagione dei Nats non è positiva e il suo nome viene fatto, a più di un mese dal termine ultimo per i trasferimenti, per una delle squadre che con il suo arrivo potrebbero ricevere una spinta unica verso i playoff. Attenzione, allora. In questo weekend tra l’altro Scherzer potrebbe non lanciare nella serie contro Atlanta, che arriva da prima nella NL East e con un Josh Donaldson su cui puntare per ottenere grandezza: nelle ultime 13 partite il terza base dei Braves ha avuto sei fuoricampo con una media battuta di .308 e un dato OPS (produzione offensiva) di 1.080 (sopra i 900 va sempre bene…) e il risultato è stato un bilancio di 11-2 per la squadra.

Chiusura con i New York Mets. Insoddisfatti del coach dei lanciatori, Dave Eiland, lo hanno sostituito con Phil Regan. Certamente, con lui arriverà tanta esperienza, visto che ha 82 anni e iniziò a giocare professionista nel… 1960 nei Dodgers accanto al grande Sandy Koufax.

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