Per una volta, guardiamo indietro. Allo scorso weekend, nel quale la MLB ha giocato per la prima volta due partite di regular season a Londra, allo Stadio Olimpico. 60.000 spettatori sia sabato sera - giornata caldissima,come in Italia - sia domenica pomeriggio, atmosfera molto americanizzata, tradizioni intrecciate: giocavano formalmente in casa i Boston Red Sox ma al termine delle due gare, vinte dai New York Yankees, è stata eseguita la celebre ‘New York, New York’, e questo ovviamente mai sarebbe stato possibile se DAVVERO i Red Sox fossero stati in casa, a Fenway Park. A occhio e croce la maggioranza del pubblico era americana, e anzi tifosa di una delle due squadre, il che ha reso molto particolare la scelta della MLB per questo debutto. Se voleva infatti attirare gente del luogo, o europea, la lega doveva portare esattamente quelle due squadre, le più celebri del mondo e quelle con la rivalità maggiore. Ma al tempo stesso questo ha comportato anche l’arrivo in massa di tifosi statunitensi, sia provenienti dalle rispettive città sia dal resto d’Europa: il risultato è dunque stato difficile da decifrare, perché se è vero che God Save the Queen è stato cantato con partecipazione, ed è arduo pensare che lo abbiano fatto non-britannici, è anche vero che ovunque, guardandosi intorno, si poteva facilmente cogliere il tifoso americano medio di sport di squadra, per abbigliamento, modo di fare e sostenere la squadra ma soprattutto il perpetuarsi di un rito, quale il baseball continua ad essere, ed è un aspetto positivo. L’anno prossimo, 14 e 15 giugno, Chicago Cubs e St.Louis Cardinals: altra grande rivalità, forse meno vissuta nel resto del mondo, e vedremo. Ma la MLB sa di non potersi fare illusioni sulla diffusione del baseball in Europa, oltre un certo limite: per quanto ancora sport di nicchia, il football NFL ha iniziato da molti anni queste escursioni, e alle 3-4 partite annuali a Wembley, Twickenham e - ora - anche il nuovo stadio del Tottenham, assiste un pubblico che è solo in parte tifoso delle squadre in quel momento in campo. Si tratta infatti perlopiù di appassionati generici di NFL integrati da un buon numero di sostenitori, che trasformano l’occasione in una - scusateci per l’espressione banale - festa del football sopra ad ogni cosa. La maggioranza dei presenti per Red Sox-Yankees tifa normalmenre per una delle due, la maggioranza dei presenti alle partite NFL - se escludiamo i grandi club - no, e questa è una differenza, per il momento, a favore del football se si guarda allo sviluppo complessivo, del baseball se si parla di coinvolgimento.

Non è baseball tattico, non è baseball ragionato, ma baseball puro e uno spettacolo notevole, anche se ripetitivo: nella notte tra lunedì e martedì ci sarà la gara dei fuoricampo dell’All-Star Game, ovvero Home Run Derby, ed è il momento in cui i giocatori tornano bambini. Ad eccezione infatti di chi cresce idolatrando il controllo che un lanciatore può avere su una partita, la norma vuole che l’approccio a questo sport nasca cercando di sbattere la pallina più lontano possibile, senza preoccuparsi troppo del resto. Si gareggia con tabellone tipo tennis, e sono in otto: Christian Yelich (Milwaukee, 31 fuoricampo finora, numero 1 della MLB) contro Vlad Guerrero Jr (Toronto, otto) e Alex Bregman (Houston, 22) contro Joc Pederson (Los Angeles Dodgers, 20), e dall’altro lato Pete Alonso (NY Mets, 28) contro Carlos Santana (Cleveland, 18) e Josh Bell (Pittsburgh, 25) contro Ronald Acuña Jr (Atlanta, 20). Non ci sono tutti i migliori fuoricampisti della MLB in termini statistici o di talento (manca ad esempio Aaron Judge) ma quelli che ci sono si faranno guardare: e pazienza se dopo un po’, per assurdo, ci si annoia, quasi a confermare che il baseball, per fortuna, non è solo potenza.

 

FENOMENO. Magari più avanti, ma dicono che lo sia, Brandon McKay, Tampa Bay Rays. Lanciatore (mancino) ma non solo, ha debuttato nella MLB sabato scorso, a 23 anni, lanciando sei riprese e concedendo solo due valide: proprio nel sesto inning, il che vuol dire che fino a quel momento non solo non aveva permesso alcuna battuta, ma aveva anche lanciato un perfect game, cioé una partita senza battute, basi su ball o errori. Lunedì ha debuttato come battitore designato, finendo 0/4 contro Baltimore, e tornerà a lanciare domani contro gli Yankees, test durissimo perché si tratta di una squadra dalle ottime caratteristiche offensive ed è comunque la più in forma della MLB con 10-2 nelle ultime 12 gare. Il bello di McKay è dunque proprio questo: essere sempre stato molto bravo in due ruoli diversi. Capita spessissimo al liceo, dove un buon fisico e buon talento sono già sufficienti ad emergere e non c’è bisogno di specializzazione, ma capita molto meno già al college, dove invece Brandon l’ha fatto con grandi risultati, ed è ancora più raro nella MLB. Non per nulla McKay è stato il quarto giocatore dal 1913 (!) ad avere debuttato in due ruoli diversi nell’arco di due giorni, dopo Carl East, Syd Cohen e Shohei Ohtani, il giapponese che lo ha fatto nel 2018 e che negli ultimi 30 giorni ha ottenuto una misura OPS di 1.223, seconda in Major League dietro a Charlie Blackmon, l’esterno dei Colorado Rockies. Altro nome: Dylan Cease. 23 anni, lanciatore destrorso dei Chicago White Sox che ha debuttato la notte scorsa contro Detroit, risultando il vincente con quattro battute valide e tre punti concessi in cinque inning, sei strikeout e quattro basi su ball. I White Sox sono al terzo anno di una faticosa ricostruzione del roster, e Cease è uno degli elementi chiave di questo tentativo di rinascita: scelto in realtà dai Chicago Cubs al sesto turno del draft del 2014, è arrivato alla rivale il 13 luglio del 2017 nello scambio che mandò in direzione opposta José Quintana, e già in quell’anno ma soprattutto nel 2018 ha avuto un grande rendimento meritandosi la considerazione per una chiamata già ai primi di luglio. Per cui attenzione alle sue prossime uscite, peraltro imprevedibili visto che una squadra in crescita come la ‘seconda’ Chicago è difficile da pronosticare.

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