Metà stagione, tempo di… di nulla, in realtà. O meglio, di alcune valutazioni necessariamente incomplete, dato che metà regular season vuole dire che le squadre hanno tutto il tempo di risalire o crollare, e in passato alcune di loro, partite magari con un bilancio vittorie-sconfitte di 6-0, i playoff nemmeno li hanno fatti. È il motivo per cui ci si mette le mani nei capelli leggendo certi giudizi sui social media: certezze che non possono essere tali, vittimismi fuori luogo, (s)ragionamenti fatti da gente che magari facendosi forte della propria passione per lo sport USA disprezza il calcio e le sue consuetudini, salvo comportarsi poi esattamente allo stesso modo quando invece di criticare Juventus o Inter lo stesso atteggiamento viene riservato a Seattle o Cleveland.

 

Tutto questo per poi andare a bomba, e cercare di capire. Non che serva molto, quando si parla dei New England Patriots: squadra imbattuta, certo contro avversari quasi tutti di basso livello, ma dominati da un attacco non spettacolare però efficiente e una difesa che sta proseguendo, con uomini in parte diversi dal 2018, nel lavoro già visto al Super Bowl, in cui il potente attacco dei Los Angeles Rams era stato tenuto a tre punti. Una difesa che né si piega né si spezza, che soffoca gli avversari e segna recuperando palloni persi sulla terra e su lancio (intercetti). Non la si può proclamare grande solo per il già citato basso livello delle avversarie, ma ha gli uomini e l’allenamento per dominare ancora. E dunque rendere meno fondamentale il contributo di Tom Brady, il quarterback: che al di là di accumulare altri touchdown e yard non ha lasciato ricordi memorabili di partite condotte alla vittoria, anche perché non ha praticamente mai avuto bisogno di farlo. Il bilancio 8-0 dei Patriots si spiega dunque così, con una miscela di attacco che si sta rodando, difesa terribile e avversari malleabili, ma le prime due componenti pesano molto più della terza e costituiranno la base per un’altra grande stagione. Con qualche patema fuori dal campo: ai primi di settembre i Pats avevano preso Antonio Brown, il grande ricevitore appena mandato via da Oakland per dissidi interni, e si pensava che fosse la solita mossa geniale del coach Bill Belichick, ovvero prendere giocatori dal carattere difficile e renderli ingranaggi perfetti della macchina. Ma stavolta non è andata così, e nel giro di due settimane Brown era già a spasso, anche per il contestuale arrivo di un’accusa di violenza e minacce.

Ecco, in barba alla cautela prima invocata, l’8-0 di New England e di San Francisco, unica altra imbattuta dopo la vittoria di giovedì sera a Phoenix, fanno pensare. Fanno pensare perché un Super Bowl tra le due non si è mai giocato, e uno scontro così sarebbe esplosivo per il mondo dei media: Brady è nato e cresciuto a pochi chilometri da San Francisco, da tifoso dei 49ers e del grande quarterback Joe Montana, e al padre Tom senior non è mai andato giù che la squadra nel 2000 non lo avesse considerato meritevole di una chiamata nel draft.

 

Il guaio è naturalmente che siamo a metà stagione e i 49ers sono ancora da scrivere. Hanno una difesa, come i Patriots, formidabile: forti nella linea, con un quartetto esaltante guidato dal nuovo arrivato Nick Bosa, e defensive back - i difensori più atletici, che proteggono contro i lanci avversari - determinati e versatili. Un reparto così dà fiducia all’attacco, che quasi mai deve rimontare ma principalmente gestirsi senza patemi. E non dovendo quasi mai dare un’occhiata ansiosa al cronometro il coach Kyle Shanahan può applicare la sua filosofia, basata sul controllo del gioco tramite corse dei running back, specialmente Matt Breida (giocatore più veloce della NFL palla in mano) e Tevin Coleman, che già aveva avuto ad Atlanta dove aveva allenato l’attacco. Il quarterback Jimmy Garoppolo - ex riserva proprio di Brady, giusto per aggiungere pepe alla’eventuale storia - finora solo in una partita ha dovuto fare l’eroe, mentre negli altri casi gli è stato chiesto semplicemente di guidare l’attacco con regolarità e senza commettere errori, favorito anche dal fresco arrivo di un ricevitore affidabile come Emmanuel Sanders. San Francisco è squadra tosta, di bella mentalità e solidità, e anche se nella seconda parte di stagione potrebbe salire il valore degli avversari parliamo comunque di una squadra da playoff, e di alto livello.

 

Poi, il guaio (?) dei playoff è che ne trovi altre come te. Ad esempio, probabile che tra queste ci siano i Green Bay Packers, all’annata di ricrescita dopo i problemi delle ultime fasi della gestione di Mike McCarthy, che resta comunque il coach del Super Bowl vinto nel febbraio del 2011. Il problema principale era quello dell’adattamento di Aaron Rodgers, il quarterback, al nuovo coach Matt LaFleur, che ha solo tre anni più di lui: specialista dell’attacco, ma con filosofia diversa da quella teoricamente adorata da Rodgers, LaFleur è riuscito poco alla volta a fare breccia, e alla buona produzione di punti si è aggiunta una difesa rinforzata dai cosiddetti Smiths, gli Smith. Ovvero i linebacker Za’Darius e Preston, ex Washington e Baltimore rispettivamente, bravissimi nella loro versatile presenza di assalto al quarterback avversario. Nella NFC ci sono anche, e con ottime possibilità, i New Orleans Saints: 7-1 come i Packers, ma con la differenza di aver vinto cinque partite consecutive senza il quarterback titolare, il 30enne Drew Brees. Brees è rientrato con successo ma nel frattempo il resto della squadra ha compreso di essere di livello sufficiente a vincere senza il suo leader, e gli effetti si sono visti in una crescita prepotente dell’autostima. Il tutto, va ricordato, in una squadra che lo scorso anno non andò al Super Bowl (anche) per un errore arbitrale vistoso, ammesso dalla stessa NFL. Capita spesso che chi si ferma a un passo dalla finale, o la perde, non riesca a gestire la delusione e invece di appoggiarsi sui proprio punti di forza si sgonfi - basti pensare ai Carolina Panthers, agli Atlanta Falcons, agli stessi Rams ora sopravanzati dai 49ers - mentre New Orleans è tornata letteralmente più forte di prima, e al momento gli addetti ai lavori la pongono lievemente sopra San Francisco: il grande scontro diretto del 5 dicembre dirà qualcosa in più, ma solo se nel frattempo entrambe le squadre avranno mantenuto questa andatura.

 

Tornando alla AFC, New England fin dal primo giorno è stata abbinata a Kansas City nei pronostici, ma i Chiefs si sono un po’ persi per strada e al momento hanno un bilancio di 5-3. Nato in circostanze strane: dopo il 4-0 iniziale, due sconfitte consecutive in casa poi la vittoria a Denver e ancora un ko in casa contro Green Bay. Solo che le prime due sconfitte sono arrivate con Pat Mahomes come quarterback, ovvero il giocatore che lo scorso anno ha illuminato la NFL con il suo talento puro, i suoi lanci spettacolari e il suo gioco da atleta del 21° secolo, potenziale volto della lega per il prossimo decennio. Infortunatosi nella gara a Denver, Mahones è stato sostituito da Matt Moore che ha condotto in porto la gara ma non è stato in grado di superare i Packers nell’ultimo quarto dell’ottava partita, iniziato sul 17-17 ma chiuso sul 31-24 per Green Bay. Mahomes potrebbe rientrare questa domenica nella difficile sfida - ancora in casa, ambiente strepitoso e chiassoso - contro Minnesota: che lo faccia o meno, al momento di rimettersi dietro al centro ridarà ai Chiefs la spinta che potrebber portarli, come lo scorso anno, alla finale di conference. Perse contro New England, Kansas City, quel giorno, e non è comunque detto che sarebbe in grado di ribaltare l’esito, questa volta. Ma ricordare la premessa? Siamo a metà stagione ed è difficile capire cosa accadrà questa domenica, figuriamoci tra tre mesi.



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