Quattodici anni fa, alla ripresa del campionato NHL dopo un’intera stagione saltata per via del blocco imposto dai proprietari ai giocatori a causa del mancato rinnovo del contratto collettivo di lavoro, il conduttore televisivo David Letterman commentò «mi dicono che sia ripreso l’hockey, ma qualcuno di voi si era accorto che si fosse fermato?». Battutaccia con un suo lato umoristico, ma un po’ offensiva: rifletteva però la percezione che l’hockey su ghiaccio interessasse a un numero di americani davvero ridotto per numeri e distribuzione geografica.

Bene, ora le cose sono cambiate: i notiziari sportivi - esistono, dai, non fate le risatine - non aprono mai con notizie NHL, a meno che non abbiano sede in Canada, ma il web - e ne avete una prova in questo esatto istante - ha contribuito a diffondere un’immagine più affabile e brillante dello sport. Anche grazie all’eccellente operato su youtube, per fare un esempio, di alcuni club; e alla grandiosa stagione che nel 2017-18 portò i Vegas Golden Knights, debuttanti e perdipiù in una piazza senza concreta storia, alla finale, persa poi contro i Washington Capitals.

Insomma, è chiaro che da agosto a tutto gennaio si parla quasi solo di NFL, con qualche blanda intromissione di NBA e appunto NHL, ma il panorama è più incoraggiante e uno stop - del tutto improbabile almeno fino a tutto il 2021-22, ultimo anno del contratto - si farebbe sentire molto più di un tempo. Anche per le ripercussioni a largo raggio: in quel 2004-05 i club persero soldi ma in maniera limitata, non dovendo pagare stipendi, ma a rimetterci furono soprattutto i pesci piccoli, tra atleti, gestori di stand gastronomici nelle arene e di locali nei paraggi.

La maggior parte delle stelle si spostò in Europa, e in molti casi, trattandosi di europei di nascita, si trattò di un semplice ritorno al club di origine: furono 388 i giocatori NHL a firmare contratti nel Vecchio Continente, 78 dei quali in Russia, 75 in Svezia, 51 nella Repubblica Ceca, 45 in Finlandia, 43 in Svizzera, alcuni anche in Italia.

L’effetto domino fu notevole: che sia stato un caso o meno, tra autunno del 2004 e primavera del 2005 si verificò un aumento di spettatori di leghe solo canadesi come la CFL - Canadian Football League - ma anche di squadre NBA situate in città che avevano anche club NHL.

Insomma, scenari pessimi, per fortuna lontani sia nel passato sia nell’immediato futuro, come si diceva. La stagione è iniziata il 2 ottobre scorso con otto allenatori nuovi rispetto al 2018-19, ma uno di essi è un’anomalia: si tratta di Craig Berube, canadese, 53 anni, che ha ricevuto ufficialmente il posto ai St.Louis Blues il 24 giugno, ma aveva già guidato la squadra dal 20 novembre scorso, subentrando a Mike Yeo, e l’aveva condotta al primo titolo NHL della sua storia.

Insomma, nuovo ma non troppo. La novità maggiore è stata quella dei Florida Panthers, che hanno scelto Joel Quenneville, artefice delle tre Stanley Cup vinte dai Chicago Blackhawks tra il 2010 e il 2015. Traduzione: arrivati in finale alla loro terza stagione, nel 1996, i Panthers da quel momento hanno raggiunto i playoff solo quattro volte senza mai vincere una serie, e riprovano con l’ennesimo cambio di direzione.

Club sempre particolare per la sua ambientazione in una zona tropicale e la sua residenza nel BB&T Center, oltre 19.000 spettatori di capienza ma situato a Sunrise (‘Alba’), una delle tante località della Florida sorte dal nulla e molto artificiali nell’aspetto architettonico e di alcuni suoi abitanti (nota, oltretutto, per essere… sparita dalle mappe di Google ben tre volte negli ultimi 15 anni): al momento il progetto sembra aver attecchito bene, i Panthers sono secondi nella Atlantic Division dietro alla già sfuggente Boston e l’idea è che un Quenneville anche solo al 70% della sua capacità tattica e persuasiva possa portare la squadra ai playoff.

Ovvero, alla fase della stagione in cui l’entusiasmo prende persino i tifosi meno appassionati, contenti per una sera di mollare i pantaloncini corti e indossare quel minimo di abbigliamento utile a sostenere le temperature delle arene di hockey. Visto poi l’aspetto fisico non proprio smilzo di molti residenti della Florida, che si coprano piuttosto di mostrare certi scempi male non può essere, a prescindere.

A proposito di allenatori, due sono saltati nei primi 45 giorni di stagione, e siamo più o meno nella media ma più bassi dello scorso anno, quando entro fine novembre i provvedimenti restrittivi della libertà (di allenare) erano stati quattro. I motivi per l’allontanamento di Mike Babcock (56 anni) dallo staff di Toronto e di Bill Peters (53) da quello di Calgary sono però molto differenti. Babcock infatti è stato l’ennesima vittima - magari non innocente - della macchina trita-allenatoridei Maple Leafs: che dopo il trionfo dei Blues dello scorso giugno sono rimasti la squadra che da più tempo non vince il titolo (ultimo: 1967).

Sheldon Keefe, promosso dalla squadra di AHL affiliata a Toronto (i Marlies), è ora il settimo coach dei Maple Leafs dal 2006, e ha preso in mano la squadra dopo sei sconfitte consecutive e una posizione, la decima nella Eastern Conference, preoccupante anche se non compromessa. E il cambiamento nasce proprio da lì: mancano ancora oltre quattro mesi ed è recentissimo l’esempio dei Blues, peggior squadra NHL a inizio gennaio 2019 diventata poi campione a metà giugno.

Per Peters, invece, problemi di altro tipo, nella forma di una pessima eredità dal passato, rispolverata chissà perché in questi giorni. Akim Aliu, giocatore nigeriano cresciuto però in Ucraina e Canada, nel 2009 (!) sarebbe stato insultato negli spogliatoi dei Rockford IceHogs, squadra della AHL legata ai Chicago Blackhawks (140 chilometri separano le due città), per il tipo di musica che aveva scelto, essendo stato incaricato dai compagni di squadra di gestire l’atmosfera degli spogliatoi.

L’insulto però sarebbe stato di tipo razziale, riferito ai ritmi prediletti da Aliu, e il giocatore si sarebbe sentito messo in un angolo, nonostante il conforto dei colleghi. In altre occasioni, Peters avrebbe preso a calci e pugni giocatori dei Carolina Hurricanes, squadra da lui allenata dal 2014 al 2018, mentre erano in panchina, quindi addirittura durante le partite. Al posto di Peters è stato promosso il suo assistente Geoff Ward.

I Flames sono attualmente quinti nella Pacific Division della Western, dunque in potenziale adiacenza dei playoff se fossimo ad aprile, ma vengono da sei sconfitte consecutive, arrivate nel mezzo dell’assenza di Peters durante l’indagine sulle sue malefatte del passato, e non assomigliano molto alla squadra che lo scorso anno aveva chiuso con il maggior numero di punti a Ovest, 107, salvo perdere 4-1 al primo turno contro Colorado. 

 

Clicca qui per maggiori informazioni su tutte le scommesse online* sulla NHL

*Si prega di essere consapevoli del fatto che questo link vi rimanderà al sito scommesse