Allora, parliamo di teoria, dunque smentibile presto: ma se non fosse per l’1-3 dei Celtics nella serie di playoff NBA contro Milwaukee, la città di Boston avrebbe ora la probabilità di vincere tutti e quattro i titoli dello sport professionistico americano tradizionale (il calcio è cresciuto mostruosamente ma ancora si fatica ad inserirlo nell’élite), dato che i Bruins nella notte tra lunedì e martedì hanno chiuso la serie del secondo turno della Eastern Conference battendo Columbus in trasferta (3-0) e andando dunque sul 4-2 finale. Quello che sta mancando alla squadra di basket lo ha dimostrato quella che normalmente gioca nello stesso impianto, la capacità ovvero di sfruttare ogni occasione e trasformare lo spiraglio in una porta aperta. O chiusa, a seconda dei punti di vista: il 3-0 di fine-serie è infatti arrivato grazie a 39 parate di Tuukka Rask, che con l’aiuto di quattro pali ha tenuto a zero avversari con l’acqua alla gola per molti motivi. Uno di questi, fin troppo dibattuto nelle ore successive, è che i Blue Jackets erano stati costruiti per arrivare fino in fondo quest’anno, e ora dovranno affrontare situazioni contrattuali complicate e potenzialmente distruttive: a fine partita il portiere Sergei Bobrovsky parlava già al passato, riferendosi alla sua esperienza a Columbus…

Boston, allora. Il cui successo in gara6 ha meritato la prima pagina del quotidiano locale Boston Herald, a prescindere da quel che si possa pensare sull’eccessivo peso che in molte città viene dato allo sport. Boston che da una data… non ancora definita si giocherà con Carolina l’accesso alla finale di Stanley Cup. Da squadra, i Bruins, con il maggior punteggio di regular season tra quelle rimaste, e del resto già in partenza era stata seconda solo ai Tampa Bay Lightning, eliminati subito. Gli Hurricanes, il celebre ‘branco di idioti’ che ha trasformato l’epiteto in slogan, hanno eliminato i New York Islanders addirittura 4-0, ottenendo alcuni giorni di riposo, mentre tra la prima e la seconda serie ne avevano avuto solo uno. Alcuni non hanno mancato di far sapere - senza che glielo avessimo chiesto - come abbiano impiegato il tempo di respiro: il coach Rod Brind’Amour si è divertito (?) ad arbitrare una partita di baseball del figlio, mentre il portiere di riserva Curtis McElhinney ha portato la famiglia a una gara dei Durham Bulls, la celebre squadra minore di baseball che gioca in uno stadio gioiello situato (appunto) a Durham, città universitaria che con Chapel Hill e Raleigh, dove giocano gli Hurricanes, fa parte del cosiddetto Triangolo della Ricerca.

E comunque, reputazione a parte e posizione geografica ‘nondahockey’ (?) a parte, gli Hurricanes hanno vinto un titolo nel 2006 e hanno raggiunto la finale di conference per la quarta volta nelle ultime quattro presenze ai playoff. È solo una curiosità fine a se stessa, visto che parliamo degli anni 2002, 2006 (ovviamente), 2009 e 2019 e dunque di roster molto diversi da loro, ma è come se una volta accesa la lampadina questi gruppi trovassero sempre, senza un motivo, la spinta giusta. Nella serie contro Boston dovrebbe tra l’altro rientrare Petr Mazek, che ha saltato - senza apparenti contraccolpi per Carolina, grazie alle belle prove di McElhinney - gara3 e gara4 contro gli Islanders. Statisticamente, i Bruins hanno segnato 40 gol subendone 28, mentre i rivali sono a 34 e 25. Boston è però nettamente avanti nella percentuale di power play sfruttata (28,6%, miglior dato dei playoff contro 10,5%) e questo può essere decisivo in una serie che presumibilmente sarà molto serrata negli altri dettagli statistici, anche se i Bruins sono molto migliori anche nei tiri a partita (35,7 contro 31,2).

A ovest, intanto, si va a gara7 tra San José e Colorado (notte tra mercoledì e giovedì) e tra St.Louis e Dallas (stanotte). Gli Avalanche hanon tenuto viva la serie vincendo lunedì sera 4-3 all’overtime, mentre i Blues avevano fatto l’impresa domenica, passando a Dallas per 4-1 e confermando di essere squadra più vivace in trasferta, in questi playoff, che in casa: attualmente il loro bilancio è di 5-1 fuori casa e 2-4 allo Scottrade Center. A quanto pare - ma è curabile… - sul ghiaccio di St.Louis i giocatori si fanno distrarre dal tifo, dal rumore e dall’atmosfera, ma ci sembra fuffa: nelle quattro sconfitte sono stati, semplicemente, inferiori.

La bella serie tra Dallas e St.Louis ha creato una di quelle situazioni che fanno tanto America, tanto tifo bello, tanto curiosità. Gara6 (peraltro vinta dai Blues) ha visto in tribuna, con la moglie, un pensionato 68enne di nome Dave Friant, arrivato anni fa dal New Jersey. Friant si era visto gara4 su un tablet, seduto al di fuori dell’American Airlines Center, con solamente un ombrello a proteggerlo da un diluvio vero, e basta guardare le foto online. Nei momenti peggiori, con minaccia di fulmini, Friant si era spostato sotto un telone, e con lui altri due tifosi che volevano semplicemente sentire gli effetti sonori provenienti dall’arena, mentre seguivano le immagini. Fotografato dal… meteorologo di una tv locale che però non sapeva il suo nome, Friant è stato identificato dagli Stars che hanno offerto a lui e moglie due biglietti per ottimi posti per gara6. Gli altri due tifosi hanno ricevuto il medesimo omaggio, dopo avere seguito gara5 in diretta sul megaschermo approntato dal club all’esterno dell’arena. E Friant? Beh, grazie alla generosità di un tifoso, aveva viaggiato a St.Louis per vedersela direttamente sul luogo.

 

LA NOTIZIA DELLA SETTIMANA. Con mille caveat, però. Con mille precauzioni, tanto per ricollegarci a quanto appena scritto. Uno dei fondatori della Apple, Steve Wozniak, guidando una Tesla (le celebri auto elettriche), si è fatto oltre 2000 chilometri per andare a vedere gli Sharks a Denver, con tanto di tweet (auto)celebrativo compilato tramite la app Swarm. Casacca di San José e cartello ‘#1 FAN’, Wozniak non ha ottenuto quello che voleva, ma si potrà consolare con gara7. Ora, avendo tempo e soldi, quello che ha fatto Wozniak lo faremmo in tanti. Bello che lo abbia fatto, invece magari di andare a spendere 1000 dollari in un ristorante, ma non è da santificare, per questo.

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