Iniziarono a solcare i mari nel Trecento, i portoghesi. Loro, alla periferia dell'Europa, trovavano solo questo varco per aprirsi al Mondo. Avrebbero incontrato popoli, culture, modi di pensare totalmente differenti.

Non hanno mai smesso di andare in giro per il mondo, i portoghesi.

Non hanno mai smesso di confrontarsi con il mondo, quindi.

Con la caduta del regime autoritario e isolazionista di Antonio Salazar, il viaggio riprende. La Rivoluzione dei Garofani del 1974 cancella l'Estado Novo per far nascere un portoghese nuovo, che è poi quello di sempre, bramoso di conoscenza, solo incrocia di differente, rispetto ai grandi navigatori effigiati nel Monumento alle Scoperte in riva al Tago, a Lisbona, il secolo della modernità, il Tardo Novecento.

In giro per il Mondo con l’esigenza di respirare un'aria nuova, quando il clima nel Paese iniziava a farsi cupo, con le camicie blu, la polizia speciale di Salazar, a dettare legge. Il calcio, passione condivisa da sempre tra tutti i mais ou menos dieci milioni di abitanti lusitani, diventa valvola di sfogo, merito anche e soprattutto del Grande Benfica di Bela Guttman che vince due coppe dei campioni negli Anni Sessanta: in mezzo al campo di quella squadra attorno al quale nasce idolatria e accesa rivalità, quindi profonda passione, c’è il cervello calcistico superiore di Mario Coluna, e davanti, per ricoprire il ruolo di ponta de lança, come ancora oggi si chiama il centravanti in Portogallo, presto arriva il più grande calciatore della storia del Paese: il mitico Eusebio. Sono figli del Portogallo d’Oltremare, come pudicamente il regime prende a chiamare le colonie dove si accende il primo grande anelito rivoluzionario, tra i capitani stufi di ricevere ordini che pretendevano massacri e sfruttamento: maturava una coscienza rivoluzionaria anti-casta (ma per davvero).

Era l’inizio della fine per il regime, il Portogallo si (ri)apriva al mondo. Il desiderio di scoperta attraversava tutta la società lusitana e non è un caso che una delle prime generazioni cresciuta nell'éra post salazarista ha imparato a guardare il mondo in maniera più intensa e profonda anche in campo calcistico. Oggi troviamo allenatori portoghesi in ogni parte del mondo compresi i campionati di più alto livello. José Mourinho ha appena abbandonato la Premier League, dove ancora allenano i lusitani Marco Silva (Everton) e Nuno Espirito Santo (Wolverhampton), e rimane il capostipite più che il riferimento di questo nuovo mondo.

Nell'Inter del Triplete (il suo più grande exploit, almeno a dare retta alle sue ultime interviste) ci arrivò dopo i buonissimi anni al Chelsea e, soprattutto, la doppietta Coppa Uefa / Champions League col Porto tra il 2003 e il 2004.
Quel Porto che ritrovava il successo continentale dopo la magica notte del “Tacco di Allah” Rabah Madjer, che sconfisse il Bayern in finale di Coppa Campioni nella primavera del 1987, rappresentava un modello.

Un calcio d'avanguardia, con l'implementazione di nuove scienze applicate legate al gioco (riassunte nel detto mourinhano “chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”), nuovi metodi di allenamento (la nascita della cosiddetta “Periodização Táctica”), sempre più estese frontiere nella ricerca di giocatori. Grandi fiuto nella ricerca di talento e sublime capacità nell'arte di vendere i giocatori, in un periodo ancora precedente all'ingresso sul mercato di Jorge Mendes, oggi super influente procuratore che ha rimesso Lisbona al centro dei traffici di calciatori di tutto il mondo.

Il Porto ha attraversato un momento di crisi negli ultimi anni, all'interno dei quali c'è stato il tentativo di modificarne un'anima chiara, peraltro forgiata nell'éra pre Mourinho, da Fernando Santos, poi CT del Portogallo Campione d'Europa a Parigi, con una filosofia molto “spagnola”. Sono stati gli anni con Julen Lopetegui sulla panchina: anni di alti e bassi con prestazioni anche di buon calcio ma senza una grande continuità di risultati, soprattutto con nessun trofeo in bacheca. Il ritorno alle origini lo viviamo in questo tempo, con Sérgio Conceição sulla panchina. L'attuale sfidante della Roma in Champions League, ha iniziato un po' per caso e forse non del tutto convinto la carriera di allenatore in Belgio, nello Standard: l'accelerazione che ha avuto tra l'Academica di Coimbra (sua città natale) e il Braga lo hanno portato ai buonissimi risultati di Nantes e quindi a casa, al Porto dove era decollata la sua carriera di calciatore, deflagrata positivamente in Italia a cavallo degli Anni Novanta.

I Dragoni ritrovano una identità ripescando anche nella tradizione (sapiente guida tecnica e giocatori pescati in giro per il mondo, le cessioni cominciano ad essere importanti: Eder Militão preso a 4 milioni dal San Paolo e già venduto al Real Madrid per 50) e la vittoria, in campionato, nel 2017/18. E' con lui sulla panchina che si interrompe la striscia di titoli del Benfica. Con la nuova gestione dirigenziale targata Rui Costa le storiche Aquile di Lisbona sono tornate agli antichi fasti: oltre ad aver azzeccato una bella serie di acquisti il vero segreto di questi anni è stato il grande investimento sul settore giovanile. Nell'ultimo Portogallo campione europeo Under 19 (battuta in finale l'Italia di Zaniolo e Tonali), buona parte dei ragazzi erano stati formati nelle giovanili del club, dirette da un altro ex Fiorentina, Nuno Gomes. Non era presente in Finlandia perché assegnato all'under 21 (anche se potrà esserci al Mondiale under 20 del prossimo maggio), il Benfica ha oggi fra le sue fila probabilmente il miglior talento giovane mondiale, João Félix. A dirigere le operazioni in panchina è stato recentemente chiamato il tecnico del Benfica B, il quarantaduenne Bruno Loge (ha un passato da formatore, tra attività di base e giovanili): dietro gioca con Ruben Dias e Ferro, due classe '97 nati nel club, esattamente come i due centrocampisti centrali Gedson e Florentino, che però sono nati nel '99, il coetaneo João Félix agisce da seconda punta ma potrebbe sviluppare la sua carriera anche qualche metro indietro. Non si vedeva tanto talento in quella terra di periferia continentale dai tempi in cui il CT delle under nazionali, Carlos Queiroz, oggi neo tecnico della Colombia, perché i lusitani continuano a viaggiare e vivere calcio nel mondo, guidava i Figo e i Rui Costa alla vittoria del Mondiale giovanile,

Il Portogallo ha nuove idee di calcio, tanti giovanissimi giocatori interessanti in territorio lusitano o all'estero, e un grande sogno. Nel finale di un bel romanzo, “Sostiene Pererira”, scritto da Antonio Tabucchi, un grande intellettuale italiano che ha eletto il Portogallo a sua seconda patria, si parla di un sogno del protagonista, il dottor Pereira, un sogno che non vuole rivelare al lettore. Anche nel futebol portoghese vive un sogno, e riguarda il 2022 anno del Mondiale in Qatar, dove molto probabilmente chiuderà Cristiano Ronaldo, oggi l'immagine più luccicante del Paese: quel gruppo di talentuosi ragazzi insieme a CR7 sono pronti per una impresa. Un sogno irrivelabile, grande come quello di antichi navigatori che solcavano mari alla ricerca di nuovi mondi. Nessuno credeva sarebbero tornati con metalli preziosi e spezie. Dovettero ricredersi. I miracoli possono ripetersi, e in Francia, nell'Europeo c'è già stato un segnale forte.

Tocca fidarsi dei portoghesi.

 

Un libro: “Viaggio in Portogallo” di José Saramago.

Il Paese raccontato da un Premio Nobel, di cui rimane imperdibile anche uno straordinario romanzo: “L'anno della morte di Ricardo Reis”, il cui protagonista è uno degli eteronimi di Fernando Pessoa, uno dei più grandi poeti del Novecento.
 

Una canzone: “Lusitania” di Ivano Fossati

Tratta dall'album “Discanto”, memorabile lavoro del cantautore ligure uscito nel '90, racconta di un Paese unico troppo spesso dimenticato “ da pagine intere”, tra “tovaglie di pizzo e capelli sempre spettinati” ( e chi non ha mai trovato vento in Praça do Comércio, in centro a Lisbona?). Si parla pure di una Signora che “compare e scompare” ed è inevitabile l'accostamento a una tema forte della spiritualità portoghese, la Madonna di Fatima.

Un film: “Capitani d'Aprile” di Maria de Medeiros

Musa di Tarantino in “Pulp Fiction”, Laura Betti nel “Pasolini” di Abel Ferrara, la De Medeiros è attrice impegnata che ha voluto raccontare la tappa chiave del Portogallo contemporaneo: la Rivoluzione dei Garofani del 1974. Stefano Accorsi protagonista nel ruolo del capitano Salgueiro Maia. Una ricostruzione fedele, non certo un capolavoro alla Manoel De Oliveira, il più grande regista della storia del cinema lusitano.