La contemporaneità a orologeria, Tutta la Liga minuto per minuto, il Barcellona sotto choc, l’enigma Coutinho, l’antifùtbol del Getafe, Valverde e Allegri travolti dallo stesso, inesorabile destino. 90’ alla fine della Liga, 180’ prima dei verdetti di Serie A*. Palpitazioni estreme…

  1. Ogni maledetta fine di campionato, a convenienza alterna, emergono lamenti sulla mancanza di contemporaneità tra le partite delle squadre impegnate per lo stesso obiettivo. Prima del palpitante 3-2 al Sassuolo, Walter Mazzarri confessava di non digerire le troppe gare all’ora di pranzo del suo Torino. Per fortuna non pioveva (cit.) e i granata hanno vinto lo stesso, con il gol limited edition di Belotti: rovesciata nella stessa porta contro la stessa squadra e lo stesso portiere, a un campionato di distanza. Nelle stesse ore, il Milan chiedeva, in modo peraltro molto elegante, di poter giocare contro il Frosinone alla stessa ora di Juventus-Atalanta. Richiesta negata. Da anni la Lega, ovvero i club, ovvero le stesse entità che poi a turno auspicano la contemporaneità, ha stabilito che solo nell’ultima giornata si giochino alla stessa ora partite decisive per definire titolo, piazzamenti europei e salvezza. Anche gli altri campionati top d’Europa sono ormai abituati a questa dinamica.
  1. In Bundesliga l’Eintracht è sceso in campo (perdendo) dopo tutte le altre rivali in un match fondamentale per la corsa Champions. E così dovrà definire il suo destino nell’ultimo turno, quello sì in contemporanea totale. Lo farà contro il Bayern, cui serve un punto per essere campione. In Premier League, il Manchester City aveva sudato e sofferto 70’ nel posticipo del lunedì per abbattere il Brighton alla penultima giornata. E’ finita in trionfo per Guardiola: con 97 punti e una sola sconfitta, il Liverpool ha perso un titolo che avrebbe vinto in tutte le altre edizioni della Premier tranne…le ultime due. Off limits. Il giro d’Europa in 90’ si chiude in Spagna. Il fascino di Tutta la Liga minuto per minuto è andato in onda domenica alle 18.30: troppe squadre ancora in corsa per le coppe e per la terzultima posizione. Grande fascino e grande pathos, certo. Anche qui, però, il calendario è stato aggiornato solo due settimane fa. E domenica sera, subito dopo la fine delle partite, aggrappandosi a previsioni meteo con “meno di 25 gradi previsti su tutti i campi”, la LIGA si è affrettata a spacchettare gli ultimi 90’, inizialmente previsti per tutti alle 20 di domenica 19. Si giocherà sabato e domenica, in orari sfalsati. Per i tifosi che avevano già organizzato viaggi, hotel e impegni in base al programma originario, una bella pacca sulla spalla. Adios.

  2. Una delle poche fuori dalla bagarre era il Barcellona, già campione e in altre faccende affaccendato, almeno fino a martedì scorso. Erano solo in 57mila per l’ultima stagionale al Camp Nou eppure i riscontri dell’applausometro sono stati chiari. La gent blaugrana ha mostrato indifferenza verso Valverde, appoggio per Rakitic e disappunto per Coutinho. Il croato era stato criticato per essersi mostrato sorridente alla feria di Siviglia poche ore dopo il tracollo di Anfield. Lesa sacralità del lutto calcistico popolare. La sostanza del campo però ha contato più della forma e la sua grande stagione è stata apprezzata. Coutinho è invece il simbolo della disillusione. A inizio campionato aveva rappresentato la vera arma/novità tattica del primo Barça post Iniesta. Da interno sinistro garantiva tecnica, imprevedibilità e anche gol. Poi lui ha esaurito l’energia dell’onda lunga dei Mondiali e Valverde è tornato a privilegiare l’equilibrio con Arthur nuovo “8”. L’ex interista si è rabbuiato e demoralizzato e l’esplosione di Dembelé da esterno offensivo lo ha relegato in panchina fino a Liverpool, dove è stato disintegrato dalla valanga rossa. Contro il Getafe l’applausometro ha recuperato dopo i fischi iniziali: la sua domenica era iniziata male ed è finita comunque peggio, con un infortunio muscolare psicosomatico che potrebbe tenerlo fuori dalla finale di Coppa del Re di sabato 25 maggio, contro il Valencia.

  3. Ecco, il Getafe. E’ stato giustamente celebrato come una delle grandi rivelazioni del calcio europeo: con uno degli ultimi budget e monte stipendi della Liga, è già qualificato per la prossima Europa League e può ancora sognare la storica qualificazione in Champions. E’ una squadra con una forte identità e uno stile ben definito: 4-4-2, linee compatte, aggressività e gioco iper verticale. Al Camp Nou è arrivato 4 volte in area del Barça: un tiro alto, un gol annullato per fuorigioco dal VAR, un palo e una parata di Cillessen. E’ la squadra con la seconda miglior difesa, la media più bassa di possesso palla (40% a partita) e di passaggi (meno di 300), la più fallosa e la seconda per numero di espulsioni. Il suo allenatore, José “Pepe” Bordalas, ha rivisitato in chiave ultra difensiva il sistema di gioco sacchiano. Proprio nel campionato più palleggiato e tecnico d’Europa. Uno stile in controtendenza totale, che ha generato un forte dibattito in Spagna.

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Si giocherà il quarto posto con il Valencia, che ora è davanti a parità di punti grazie al miglior bilancio negli scontri diretti: 1-0 e 0-0. Al Camp Nou non ha avuto la forza (o il coraggio?) di affondare gli assalti contro un Barcellona sotto choc, almeno nella prima mezz’ora. Come accade a tanti individui, la sua dote migliore (equilibrio e compattezza) si è rivelata un limite. Pur contro un avversario nettamente superiore, avrebbe potuto/dovuto osare di più.

  1. Uniti da un insolito destino nel mare di maggio (semicit.) Ernesto Valverde e Massimiliano Allegri attendono di conoscere/svelare il loro futuro. Entrambi, contratto in scadenza a giugno 2020, hanno tutelato i loro giocatori fino all’ultimo: lo spagnolo ha difeso Rakitic dalle accuse di scarso attaccamento alla maglia, l’italiano ha protetto i suoi dopo il fallimento con l’Ajax. Il dominio del campionato non ha evitato a nessuno critiche feroci. Entrambi hanno avuto un rapporto ottimo con la loro superstar, Messi e Ronaldo. Però non averla valorizzata per vincere la Champions, e nemmeno arrivare in finale, è considerata un’onta. Hanno rose ultramilionarie e giocatori fondamentali ai quali il fisico inizia a chiedere il conto di carriere logoranti (Busquets, Suarez, Chiellini, Mandzukic). E hanno, soprattutto, una credibilità minata dalla disavventura europea. Per entrambi continuare è più rischioso che lasciarsi. Valverde e il Barcellona hanno una clausola bilaterale che permette a ogni parti di salutare l’altra pagando una penale. Allegri e la Juventus, no. E’ l’unica sostanziale differenza tra due allenatori che hanno saputo integrare il loro DNA personale e quello del club, senza riuscire però a conquistare il Sacro Graal della Champions League.

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