Si gioca come si vive, dicono in Argentina. In questi giorni più che mai vale anche per Roma e per la Roma. Città in decadenza e società alle corde. L’addio di Totti, lo sbarco di Sarri, il senso di essere professionisti e un’escursione oltreoceano per i primi botti della Copa America: da qualsiasi Punto (di vista) lo si guardi, è stato un inizio di settimana di calcio molto turbolento…

1. Da anni non si vedeva una conferenza stampa così lunga (75’) e soprattutto diretta, aperta e senza filtri come quella di Francesco Totti. Gestita in un contesto paradossale non da un rappresentante dell’AS Roma ma da un (eccellente) giornalista, Paolo Condò di Sky e Gazzetta dello Sport, al Salone del CONI e non nella sede della società. È proseguita con momenti imbarazzanti per la categoria dei giornalisti, con gli applausi di parte della sala alle dichiarazioni della leggenda che contemporaneamente dichiarava il suo amore eterno per la Roma e la picconava senza pietà. Il sentimento ha prevalso sulla ragione, nell’impossibile confronto tra la visione manageriale americana e quella passionale tottiana, che in fondo fa un po’ rima con romana e anche con italiana. Non sempre i numeri bastano per analizzare le performance e le qualità di persone/gruppi di lavoro; mai passione, conoscenza dell’ambiente (“conosco ogni angolo di Trigoria”) e senso di appartenenza bastano da soli per gestire una società e un’azienda.

2. Alcune critiche del Capitano, che per il popolo romanista non sarà mai “ex”, sono condivisibili. La gestione in remoto del club con i “tre centri di potere” (cit. Walter Sabatini) e la distanza dalla quotidianità tolgono autorevolezza ai dirigenti e deresponsabilizzano: un po’ tutti meritevoli e un po’ tutti colpevoli, a seconda delle situazioni, significa anche tutti un po’ meno responsabili. C’è però un aspetto che Totti ha profondamente sottovalutato: la professionalità del suo ruolo, che non viene garantita automaticamente dall’immenso talento che ha manifestato nella sua carriera da calciatore né dalle scelte fatte per amore del club. E per professionalità non si intende solo la dedizione al lavoro ma anche la conoscenza/esperienza delle dinamiche cui si è sottoposti in posizioni importanti in un’azienda. Ognuna richiede competenze specifiche che non possono essere solo conseguenza del talento dimostrato in un ruolo affine ma comunque diverso.

3. Pochissimi ex giocatori hanno iniziato subito con successo a fare gli allenatori o i dirigenti in club di fascia top. Guardiola, Mancini e Conte, che pure ha avuto le sue difficoltà nelle prime esperienze; Javier Zanetti e Nedved che tuttora – dopo anni - rivestono ruoli rilevanti ma non così centrali come quello cui ambiva Totti. La conferenza stampa di addio di Buffon alla Juventus fu molto meno emotiva e ben più razionale/filtrata ma lasciò un messaggio distintivo di Andrea Agnelli: “Un percorso lontano dal campo di gioco come giocatore, qualunque sia il ruolo che uno deve andare ad assumere, passa attraverso una seria formazione. Vale per le persone che vengono dall'Università ed entrano nella nostra società e per chi lascia il campo e viene in società. Per avere competenza e consapevolezza del significato di gestione di un club a 360°”. In alcuni passaggi del suo testamento, Totti ha dimostrato di non avere ancora intrapreso questo percorso. Quando, ad esempio, ha sottovalutato l’importanza per un direttore tecnico di essere presente per tutta la settimana del derby e non solo nei due-tre giorni precedenti. O quando ha trascurato di condividere da subito con tutti i suoi superiori la volontà/iniziativa di contattare Antonio Conte. Certe scelte vanno concordate a più livelli senza che ciò significhi perdita di potere decisionale. Perché la forma, per quanto possa infastidire o sembrare superflua, spesso è anche sostanza. A Paolo Maldini sono serviti 10 anni prima di ottenere il riconoscimento di un ruolo prestigioso e di grande responsabilità: Totti ha iniziato subito con entusiasmo e in questi due anni ha capito/accettato molte cose che negli anni da calciatore non aveva nemmeno immaginato. È stato molto critico verso i dirigenti attuali: se sarà anche altrettanto auto-critico, prima o poi tornerà più preparato e completo al fianco della sua Roma. Dietro una scrivania e non in Curva Sud.

4. Il senso del professionismo e della professionalità è anche prof-ondamente radicato nella scelta di Maurizio Sarri di accettare la proposta della Juventus. Non può esserci tradimento se hai già divorziato e se chi hai amato non ti ha messo nelle condizioni di farlo ancora e in modo migliore. E nemmeno si può configurare il tradimento del proprio ideale calcistico, anzi: Sarri ha saputo imporlo così bene da conquistarsi la possibilità di farlo anche in un contesto storicamente opposto, incline a celebrare il risultato a prescindere dal modo in cui veniva ottenuto. Da Londra torna un allenatore più completo di quello che aveva lasciato l’Italia, forgiato dall’esperienza in un Paese diverso, con una proprietà umorale e un gruppo di giocatori non completamente adeguato al suo stile di gioco. E arriva a Torino dopo un percorso ben più articolato di quello di Maifredi nei primi anni ’90. Il periodo iniziale non sarà facile perché troverà calciatori impostati con una mentalità diversa da quelli che gli lasciarono Benitez a Napoli e Conte al Chelsea: se la società lo sosterrà come ha fatto per cinque anni con Allegri e gestirà i suoi eccessi dialettici, saprà conquistare anche i tifosi più scettici. 

5. Tra tante parole e rivoluzioni, si continua a giocare nelle altre parti del mondo: Gold Cup in Centro/Nord America, Coppa d’Africa e Copa America. Contro la Colombia, il Messia ha perso nuovamente i superpoteri: Dottor Leo e Mister Messi. Psicodramma personale e nazionale incombente, come nel debutto mondiale in Russia con pareggio e rigore sbagliato contro l’Islanda. Triste e solitario e stavolta nemmeno in finàl, come nelle ultime due coppe America e nella coppa del mondo del 2014. E isolato, certo, in un contesto di gioco bizzarro, con Lo Celso decentrato dopo 14 gol e 5 assist tra LIGA ed Europa League da trequartista/incursore centrale e il timido Matias Suarez preferito a Lautaro e Dybala per sostituire (!) Agüero. A differenza di quanto fa con il Barcellona, Messi non ha cantato (l’inno) e nemmeno portato la croce. Nudo senza mèta nell’eterno inseguimento al Sacro Graal. E il peggio deve ancora venire: per quanto si è visto nelle prime due partite, anche Paraguay e Qatar potrebbero essere troppo per questa Selecciòn.