Orlando, Florida. La posizione in tempo reale di Antonio Nocerino, 35 anni, ex calciatore di Juventus, Palermo, Milan &co e oggi allenatore, ci porta dall’altra parte del mondo, dove le strade possono avere anche sei corsie e le distanze tra città sono di ore e ore. Sempre senza voltarsi indietro, senza dover necessariamente avere la volontà di tornare in Italia: “Qui si sta benissimo, io e la mia famiglia abbiamo fatto la scelta giusta e non tornerei indietro”. Per alcune squadre è stato una scommessa, talvolta con i pronostici a sfavore proprio come nelle scommesse calcio*; per altre invece una vera e propria certezza: a L’Insider arriva l’intervista a tutto campo di Antonio Nocerino!

Serie A vs MLS: le differenze fuori dal campo

Serie A contro MLS, la premessa bisogna farla perché è decisiva: “Qui, in America, il calcio è giovane, giovanissimo rispetto all'Italia: quest’anno la MLS spegne 25 candeline. Poche, no? Altro dettaglio, importante tanto quanto il primo: non è lo sport nazionale. Non è quello che tutti sognano di praticare. Ti faccio un esempio, se cammini per strada troverai molti più bambini giocare a baseball oppure a basket che a calcio. In Italia direi che è esattamente il contrario. Anzi, gli altri sport sono praticamente a zero”. Il fattore culturale è evidente e Antonio Nocerino lo vive sulla sua pelle tutti i giorni. “Immagina questa scena: io in piazza Duomo. Qualcuno mi potrebbe anche fermare, per una foto o un autografo. Non so in quanti ma sicuramente qualcuno si avvicinerebbe. Ecco. Da queste parti mi considerano a mala pena! Poche domande, incrocio solo qualche sudamericano tifoso del Milan che mi ferma di tanto in tanto. Sei visto come una persona ‘normale’, tutt’altro che famosa, proprio perché il calcio è seguito molto meno rispetto all’Italia. Per dire, quello femminile ha leggermente più appeal del maschile”.

 

Due diversi modi di vivere il calcio

Dove l’America batte l’Italia, Nocerino puntualizza. “Qui ci staccano nettamente in due aspetti: sono rapidissimi nella costruzione di stadi di proprietà, un must per tanti, quasi tutti i club. Inoltre bisogna ammettere che l’evento specifico, ovvero la partita della domenica, è seguita con molta più partecipazione, con molto più attaccamento rispetto alla Serie A: è praticamente impossibile trovare uno stadio vuoto o più semplicemente posti liberi. Il sold-out è una regola non scritta. Da questo punto di vista l’MLS ha margini incredibili”. Altre differenze: sicuramente di stampa. Non per quanto riguarda la preparazione alla partita. Parla Nocerino. “I giocatori in Italia sono soliti a rispondere a 100 domande alla settimana, da queste parti ne capita una ogni tanto. La ‘settimana’ del calciatore, invece, è davvero simile tra i due campionati: “Anche qui ti alleni duramente - magari punti di più sull’intensità e sulla corsa e meno sulla tecnica rispetto alla A - e guardi video per studiare gli avversari ma ciò che cambia nettamente è la cura del dettaglio. In Italia siamo maniacali, pignoli all’ennesima potenza”. Nocerino ha degli esempi a portata di… carriera. I ritiri pre match cambiano? “Nì”. Ecco come sono in MLS: “Se giochi in casa niente ritiro, basta presentarsi al campo due ore prima dalla partita. Quando vai in trasferta allora sì, bisogna farlo. E’ necessario perché si tratta di viaggi molto lunghi, le distanze tra città sono infinite”. Non esattamente come nel nostro calcio.

I trascorsi di un giovane Nocerino

Da allenatore a allenatore. Nocerino scava nel suo passato e ricerca un esempio da seguire. La giostra ha un nome ben preciso: Zemanlandia. L’ha voluto in Serie B all’Avellino quando aveva 17 anni e nemmeno una presenza tra i professionisti. Il come è andata sembra scritto nelle stelle: “Il mio allenatore mi racconta della proposta di Zeman ed io non ci volevo credere, con 0 presenze in Primavera pensavo di non poter nemmeno giocare in C. ‘Mal che vada torni qui da noi e fai il capitano della Primavera del prossimo anno’ mi dissero. Sai cos’ho replicato? ‘Mal che vada io non torno perché male non andrà’. Ero troppo carico e convinto di poter far bene”. Detto, fatto. Nonostante una preparazione fisica massacrante. Alla Zeman, appunto. “Mi ha sfondato, nel vero senso della parola. Allucinante credimi. Facevamo i ‘gradoni’ con un giocatore di pari peso sulle spalle. Ma quella era tutta forza sulle gambe che poi si trasformava in energia in campo: noi volavamo rispetto agli avversari. Avremmo potuto giocare anche tre volte a settimana. Lui ci ripeteva spesso ‘la fatica la combatti lavorando’ perché più fai fatica più abitui il tuo corpo a sopportarla. La preparazione di Zeman penso possa allungare la carriera di un calciatore perché ti trasmette qualcosa in più anche a livello mentale". 

Edison Cavani, Ibrahimovic e Pippo Inzaghi: i compagni di una vita

Se ne intende anche di attaccanti, Nocerino. Da una parte mettiamo Zlatan Ibrahimovic, ai tempi del Milan. Dall’altro lato del campo invece il Cavani di Palermo. “Ho avuto l’onore e il piacere di averci a che fare con entrambi. Edy era giovanissimo, appena ventenne, e giocava più da seconda punta esterna che da ‘9’ reale, quello che poi è diventato con Mazzarri al Napoli. Ricordo ancora il suo primo gol in rosanero, contro la Fiorentina: una botta da fuori di una potenza davvero rara. Correva come un maratoneta tant’è che si allenava insieme ai centrocampisti! Tre sue caratteristiche: umiltà, ambizione e nervi. Voleva diventare uno dei più forti e ce l’ha fatta”. Passiamo allo svedese. “Ha la stessa mentalità vincente di Cavani, la stessa fame di vittorie e di gol ma a livello tecnico è diverso, si avvicina a un numero ’10’. Zlatan è show e spettacolo, lui si carica così”. Non si può non menzionare “Pippo Inzaghi, che faceva gol anche con una pietra” e “Totò Di Natale, fenomeno assoluto con cui ho giocato in Nazionale”. Di compagni forti, tecnici e belli da vedere ne ha conosciuti tanti Nocerino. “Te ne devo dire uno solo? Javier Pastore forse più di Josip Ilicic. Se stesse sempre bene saprebbe fare ancora la differenza, come ha dimostrato peraltro quest’anno con la Roma.

Passione e fede: tra Premier League e religione

Poche battute, parliamo di vita. Sei mesi in Premier League. “Penso che un calciatore debba fare almeno una partita in quel campionato nella sua carriera. Ti lascia una scarica di adrenalina senza precedenti”. Qualche intoppo con l’inglese. “All’epoca non sapevo nemmeno dire ‘ciao’ ma io sono uno che non si vergogna di niente, sbaglio, mi correggo e vado avanti”. Nel nome della fede. “Il mio nome, Antonio, deriva dal famoso Santo morto a Padova. Ti aggiungo altri particolari più personali; quando ero piccolo mia mamma mi portava spesso a Lourdes, ci sarò andato per ben sei o sette volte. Poi un giorno io le feci una domanda, secca, diretta ‘ma Padre Pio mi fa diventare calciatore?’ e lei mi replicò ‘tu prega, credici e vedrai’. Ogni anno andavo a Benevento a trovarlo, per pregare insieme a lui”. Ancora. "Il 23 è San Pio ecco perché, spesso, il mio numero di maglia nel mondo del calcio è stato quello. Pensa che mio figlio si chiama proprio Francesco, in suo onore”. Più devoto di così. Con passione, cuore e amore per tutto quello che fa e in tutto quello a cui crede. Antonio Nocerino si è raccontato in esclusiva ai nostri microfoni. Anche dall’altra parte del mondo: Orlando, Florida. 

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