La Copa America, il trofeo per nazionali più antico del mondo, vive la sua 46esima edizione in Brasile. Il primo grande torneo dopo l’umiliazione del Mineiraço durante il Mondiale 2014. LPEF torna idealmente in quel posto baciato dagli dei del calcio, e non solo: perché laggiù tanto se non quasi tutto è calcio.

Ecco una serie di cartoline dal “Pais do Futebol”.

1. La Copa America che ha appena terminato la fase a gironi, è iniziata il 14 giugno. LPEF, che spera di essere sul posto per l’epilogo della manifestazione, è stato sollecitato da diversi colleghi europei che sono arrivati a Rio de Janeiro e hanno trovato ovunque bandiere del Brasile, e questo ci sta, ma pure cuore e cuoricini: “mi pare di essere in pieno San Valentino.”, ci hanno messaggiato.
In realtà, è proprio così. Cioè: non è San Valentino, ma è come se lo fosse. La data del 12 giugno è stata scelta per festeggiare il giorno degli innamorati, in Brasile. L’idea venne negli anni Quaranta a un certo João Doria, un commerciante poi divenuto senatore dello stato di Bahia.

Nel calendario brasiliano, latitavano le feste nel sesto mese dell’anno: bisognava crearne una. La scelta del 12 è curiosa: si è optato per questa data proprio perché è il giorno prima di Sant’Antonio, considerato da tutti il “santo casamenteiro”, quelli a cui ti affidi prima di sposarti. Ti innamori, ti fidanzi e ti sposi: in 48 ore... Il Brasile è il più grande Paese cattolico del Mondo, e l’ambito religioso si infila in diverse pieghe, e ovviamente pure nel calcio. Dopo l’ignominia del Maracanazo, la sconfitta nella gara decisiva contro l’Uruguay nel Mondiale del 1950, il Brasile abbandona per sempre la maglia bianca. Si presenta nel 1954, alla Coppa del Mondo organizzata in  Svizzera con una maglia gialla, partorita da un concorso pubblico, organizzato dal giornale Correio de Manha e vinto dalla proposta di Aldyr Garcia Schlee, all’epoca un diciannovenne illustratore della rivista Pelotas. Nel ‘58, però, il Brasile nota che la Svezia ha una maglia gialla, ed è costretta ad inventarsene una di un altro colore. Del bianco, nemmeno a parlarne. Si scelse il blu, per un motivo semplice: è il colore, e qui rientriamo nel religioso, del manto della Madonna Nera di Nossa Senhora Aparecida, patrona del Brasile (il cui santuario, poco fuori San Paolo, è il più grande tempio mariano del Mondo, ed è meta di continui pellegrinaggi). La benedizione celeste, fruttò, anche grazie alle giocate di un giovanissimo Pelè e di un imprendibile Garrincha il primo titolo mondiale.

Il bianco però è tornato: proprio in questa Copa America, il Brasile ha esordito con una divisa che richiama la primissima storia della Nazionale, ed è andata bene: vittoria netta, 3-0 alla Bolivia e boom di maglie vendute, anche perché l’azienda americana che l’ha disegnata ha fatto un vero capolavoro. Ora però tutti l’aspettano al varco: verrà usata in una ancora ipotetica finale?

2. Ecco appunto, chi vincerà? La Copa America non è solo la competizione più antica, ma anche quella più indecifrabile, tanto che il record nell’albo d’oro non è né del Brasile né dell’Argentina ma l’Uruguay, il più grande miracolo calcistico della storia di questo meraviglioso sport, tre milioni di abitanti e una scuola di futbol che non smette mai di produrre talenti.

In generale quindi, non esiste Copa America senza sorpresa (e occhio al Venezuela, in questo senso). Appena esce il risultato inaspettato a Rio de Janeiro e dintorni si tende a evocare un animale, la zebra: “saiu a zebra”, è uscita la zebra.

L’origine del termine adattato anche al calcio, visto che in Brasile, Futebol e società si mescolano senza una linea di demarcazione definita, è legato al gioco del bicho. Se visitate la capitale carioca vi capiterà di imbattervi in crocchi davanti a negozietti piuttosto anonimi: lì c’è gente dedita a questa strana lotteria clandestina, il jogo do bicho, che associa 25 animali a cento numeri (dall’1 al 4 lo struzzo, dal 5 all’8 l’aquila e così via), su cui la gente scommette. Il responsabile della riffa è il bicheiro, una persona rispettata e influente: è risaputo che alcuni bicheiros finanziano le grandi scuole di samba.

Il gioco fu inventato nel lontanissimo 1892 dal barone Joas Batista Vianna Drummond che era pure responsabile dello zoo di Rio de Janeiro. In questo zoo c’erano proprio 25 animali e il barone associava gli animali ai biglietti. Nel frattempo uno degli animali era in una gabbia coperto da un panno. A fine giornata colui che aveva il biglietto corrispondente all’animale nascosto vinceva un premio. In questo modo le visite allo zoo aumentarono. In seguito poi i 25 animali furono rappresentati come figure chiave per scommettere nel lotto clandestino. Tra le figure presenti non c’è però la zebra. Per tale motivo il risultato incredibile e inaspettato ha le sembianze di questa strana bestiola.

 3. I tifosi in Brasile si chiamano torcedores. Un termine inventato, agli albori dello sviluppo del futebol, allo stadio di Laranjeiras, la sede del Fluminense, una delle grandi squadre di Rio de Janeiro. I tifosi e le tifose del club appartenevano all’alta borghesia della città e andavano a vedere le partite vestite di tutto punto, guanti compresi, anche se qui la temperatura difficilmente scende sotto i 15 gradi. Il giornalista Coelho Neto, si fissò proprio su quell’indumento e notò come a ogni azione le donne, rapite dalle emozioni della gara, usassero stringere, torcere i guanti, con forza. Da lì termine, torceadores, quelle che torcono. Ancora oggi, qui a Rio, il Fluminense è considerata la squadra dei quartieri alti. Uno dei tifosi più celebri della squadra è il genio musicale, oggi artista tout court (consigliatissimi i suoi libri), Chico Buarque, che ha vissuto anche l’umiliazione dell’esilio durante il periodo della dittatura negli anni Settanta (e ha regalato a Mina, alcune pezzi celebri, tra cui il famosissimo “ La Banda”). Il padre di Chico (diminutivo brasiliano per Francisco) è Sergio Buarque de Hollanda, il più importante antropologo della storia di questo Paese: impossibile capirne tutte le se sfaccettature senza leggere il definitivo “Raizes do Brasil”, Radici del Brasile, un libro degli anni Trenta ma ancora attualissimo. Flu, ma non solo, a Rio. Il Flamengo è il “time” del popolo. Ha grande seguito anche il Vasco, nato come club degli emigrati portoghesi ma ora raccoglie simpatizzanti in maniera trasversale: è la quarta torcida del Paese dopo quelle di Flamengo, Corinthians e San Paolo.

 

Finale

La meraviglia di James Rodriguez, il suo assist, e il bel colpo di testa di Duvan Zapata per il gol più bello della prima parte della Copa America.

Come si dice in Brasile, un “gol de placa”, una rete eccezionale, che meriterebbe una targa, “placa”, appunto. L’espressione nasce nel 1961 in occasione della partita tra Fluminense e Santos. Pelè si libera di sei (sic) avversari prima di depositare la sfera alle spalle del portiere. Dopo attimi di stupore, il Maracana applaude. Un giornalista presente, Joelmir Beting, reporter di “O Esporte”, inventa la definizione e propone l’esposizione di una targa per celebrare la segnatura. Da quel momento la definizione si utilizza quando ci si trova di fronte a reti di pregevole fattura. Esistono altre definizioni particolari, nell’ampia terminologia che ruota attorno al futebol. La rovesciata è chiamata “bicicleta”, e il copyright del gesto appartiene a Leonidas che lo esegue, pare per la prima volta, il 24 aprile 1932, vestendo la maglia del Bonsucesso. Se visitate il Museo do Futebol, il più bel museo del mondo dedicato al calcio, è a San Paolo, allora troverete una statua sospesa, intenta a realizzare una rovesciata: è lui, il Diamante Negro: Leonidas, che segnerà un numero incredibile di gol, con la maglia del Tricolor Paulista. La specialità di Didì era invece la punizione, dal limite dell’area, una sentenza: “gol de folha seca”, è definita questa particolare figura del fuoriclasse, che vinse il primo Mondiale del Brasile, nel 1958.

Il “gol de letra”, è invece quello realizzato di tacco incrociando le gambe e toccando la palla col piede, inizialmente, più lontano dalla sfera: gesto da bomber d’area di rigore.

@pizzigo