Roberto Mancini è il responsabile della maggiore rivoluzione capitata alla nazionale italiana in età moderna. A un anno di distanza dalla nomina a CT (14 maggio 2018), il Mancio, senza troppi proclami, ha indirizzato la barca azzurra finalmente verso lidi nuovi e differenti. L’ultima atto rivoluzionario riguarda proprio questi giorni, lo stage organizzato a Coverciano con tantissimi giocatori giovani e promettenti, tra i quali anche tre ragazzi nati nel 2001, Alessio Riccardi (Roma),  Paolo Iweru Gozzi (Juve) e Eddie Salcedo (in prestito all’Inter che quasi certamente lo riscatterà definitivamente dal Genoa, società di provenienza). Molti di loro hanno già fatto parte delle nostre nazionali giovanili: molti elementi sono nati tra il 1999 e il 2000 e saranno protagonisti del prossimo Mondiale under 20 che inizierà a fine mese: per questo era presente allo stage anche il CT di quella categoria, Paolo Nicolato, insieme a Gigi Di Biagio, che sarà invece tecnico protagonista del prossimo Europeo under 21.

Negli ultimi anni sicuramente il gruppo delle nazionali giovanili, grazie anche al lavoro indefesso e accurato del coordinatore Maurizio Viscidi, ha fatto passi in avanti da molti punti di osservazione: il livello competitivo dei nostri azzurrini è finalmente buono. Necessitava, il nostro movimento, di un ulteriore scatto, ed ecco comparire il Mancio.

Nello stage, il CT della selezione maggiore vuole osservarli bene da vicino questi giovani, dopo essersi letto i tanti dati disponibili, e definire una idea di quale saranno i successivi passi da fare in termini di convocazioni e accompagnamento della crescita. Mancini non ha nessun problema a portare nel gruppo dei grandi anche giovani e giovanissimi. Alla prima convocazione scosse buona parte del retrivo mondo calcistico italiano inserendo nella lista Nicolò Zaniolo che non aveva nemmeno debuttato in Serie A (a breve, sarebbe entrato in campo tra i primi undici anche al Santiago Bernabeu, in una gara di Champions della Roma). Recentemente ha chiamato e messo subito in campo Moise Kean, classe 2000, per il quale si vede abbastanza chiaramente come l’idolo del popolo sampdoriano abbia un debole, considerandolo già ora uno degli attaccanti migliori d’Italia.

L’opzione dei giovani non è la sola spesa in questo anno di debutto azzurro del Mancio, ed è perfettamente inserita nel progetto generale: l’offerta calcistica dell’Italia. In campo, sin da subito si è notata la differenza: gli azzurri hanno sempre cercare di fare un calcio propositivo, con una continua ricerca della porta avversaria.

Coraggio e idee. Potrebbe essere sintetizzata così la maggiore rivoluzione che si sia visto in azzurro dai tempi di Fulvio Bernardini e della sua “nazionale dei piedi buoni”. Straordinario tecnico (recentemente Mario Corso nel documentario di Matteo Marani “1964 Bologna Paradiso”, senza giri di parole elogia il tecnico romano definendolo superiore ad Helenio Herrera), il Dottor Pedata, come lo chiamava Gianni Brera non senza ironia (i due si prendevano pochissimo), ha sempre creduto in un calcio di proposta, vincendo anche in piazze meno abituate ad allori come Bologna, Firenze e Roma (una coppa Italia con la Lazio): iniziò con lui, dopo la debacle dei Mondiali del 1974, l’opera di ristrutturazione della Nazionale italiana: un percorso proseguito da Enzo Bearzot e chiusa nella magnifica notte nella notte del Bernabeu con il triplice urlo “Campioni del Mondo” di Nando Martellini.

Mancini rappresenta quella cesura necessaria nell’Italia calcistica attuale. Una cesura necessaria dopo diversi anni di stanco trascinamento che hanno portato la Nazionale sempre più in basso, fino a toccare il fondo della non partecipazione al Mondiale. Una logica conseguenza di una programmazione miope e di un investimento valoriale scadente che è perdurato per molti anni e che ha coinvolto anche la comunicazione del calcio italiano, stampa e tv, che, almeno in parte, oggi crede che addebitando tutte le responsabilità ad una sola persona, l’ex CT Ventura, pensa di salvarsi da processi che invece è necessario mettere in atto.

Senza proclami, ma esclusivamente coi fatti Roberto Mancini ha proceduto a fare il passo necessario in avanti. Tanto da diventare ipso facto un modello per tutte le nazionali azzurre, o almeno questa è l’idea. I risultati, come detto migliorati notevolmente sotto l’egida di Viscidi, devono ora essere accompagnati da prestazioni più coraggiose e quindi propositive. A cominciare da questo fine settimana, con il debutto dell’Under 17 nell’Europeo di categoria (noi di Locos Por el Futbol saremo a Dublino testimoni dell’evento).

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Mancini, abbiamo detto, rappresenta una cesura netta verso il passato prossimo azzurro, ma è un tecnico che può essere anche la migliore attualizzazione del calcio all’italiana. Il dibattito che si è riacceso in questi giorni deve avere basi storiche superiori a quelle proposte da alcuni organi di stampa in questo periodo: la disputa risultatisti contro giochisti è poco efficace già a partire da questi termini. In attesa di poter meglio approfondire, senza affondare nelle lotte di quartiere (comunque per noi la tradizione difensiva italica è meglio rappresentata dalla cultura difensiva proposta dai Delneri e dai Sarri rispetto, ad esempio a quella di Allegri), torniamo un momento al Mancio. Così come la proposta offensiva è chiara, così deve essere chiara la sua attenzione alla fase difensiva. Chi ha assistito almeno per qualche mezz’ora agli allenamenti di Mancini sa quanto è attento ai dettagli su postura e concentrazione degli uomini della linea dietro. Molte volte il tecnico jesino si posiziona al centro della difesa e mostra come ci si muove, spesso stupendo i suoi stessi giocatori (Mancini è stato spesso raccontato in maniera superficiale dai media). Da quel lavoro, continuo e scrupoloso, nasce tutto, poi ovvio l’intuizione di un genio di calcio rappresentato al meglio da quel 10 che ha sempre avuto sulla schiena in carriera, sono il di più. Mancini non è abituato a rilasciare dichiarazioni roboanti ed è consapevole che se anche l’Italia sta crescendo non è che da altre parti non ci si muove (e non solo nelle realtà maggiori: il Portogallo campione d’Europa possiede una magica generazione di ’99): c’è ancora molto da fare.

La sua illuminata scintilla merita di essere evidenziata, il suo lavoro supportato e accompagnato. E’ tempo di una nuova rivoluzione del calcio italiano. Inizia da Roberto Mancini.