Grazie anche al Mondiale di Calcio Femminile 2019, il movimento calcistico femminile continua ad acquisire visibilità. In Italia il settore inizia a svilupparsi nel 1968, quando viene organizzato il primo campionato di calcio femminile, fino al 1986, anno in cui l’organizzazione passa nelle mani della F.I.G.C. che a sua volta ne affida l’organizzazione alla Lega Nazionale Dilettanti. Dalla stagione 2018/19, la F.I.G.C. prende l’organizzazione diretta del campionato, occupandosi della Serie A e della Serie B, lasciando così alla LND l’organizzazione del campionato di Serie C, diviso in 4 gironi, e della Serie D, che si divide nei campionati regionali di Eccellenza e Promozione.

Nonostante questo progresso, c’è ancora un abisso che separa il calcio femminile da quello maschile professionistico. Ad esempio, guardando gli stipendi delle calciatrici italiane che hanno rappresentato la Nazionale al mondiale, prima di essere eliminate dall’Olanda, possiamo notare l’enorme differenza rispetto ai loro colleghi che rappresentano la Nazionale di calcio maschile.

Per capire meglio l’origine di questo enorme divario occorre fare una premessa; la Serie A, la Serie B e la Lega Pro maschili sono riconosciute come “leghe professionistiche”, ciò identifica anche tutti i tesserati, sia dirigenti che atleti, come “professionisti”. La legge 91 del 1981 disciplina i rapporti lavorativi degli attori professionisti del mondo sportivo (il calcio non è l’unico sport professionistico), regolandone i tipi di contratti, e facendo si che vengano tutelati come dei lavoratori subordinati. Automaticamente tutto ciò che viene escluso dal professionismo è classificato come dilettantismo. In Italia, lo sportivo dilettante non ha tutele lavorative, come il trattamento pensionistico, le assicurazioni lavorative e il versamento dei contributi. I calciatori dilettanti inoltre non possono firmare dei veri e propri contratti, ma solo degli accordi economici tra le parti.

Tutto lo sport femminile, in Italia, è riconosciuto come dilettantismo, ne consegue che tutte le calciatrici, anche quelle di Serie A e Serie B sono “dilettanti”. Fino all’anno scorso, le calciatrici potevano ricevere come compenso solamente dei rimborsi spese previsti da un accordo annuale con le società. Da quando i campionati di Serie A e Serie B sono passati sotto l’egida della F.I.G.C, ma anche grazie all’investimento sempre più importante di società di calcio professionistiche maschili nel settore femminile, le possibilità per le calciatrici di queste due Leghe sono leggermente migliorate. Ad i rimborsi spesa è stata aggiunta la possibilità di concordare un fisso definito con la società; gli accordi economici possono valere da uno a tre anni (prima praticamente tutti i contratti erano firmati annualmente), le calciatrici non possono ricevere più di 30.658 euro lordi per ogni stagione. Oltre a questa cifra, ricordiamo che negli anni precedenti era previsto solamente il rimborso spese, ora le giocatrici possono ricevere anche dei rimborsi spesa, sia forfettari che non, e delle indennità di trasferta, per un massimo di 61,97 euro al giorno, per 5 giorni alla settimana durante il campionato, e 45 giorni durante la fase di preparazione. L’ultima novità riguarda l’indennità da accordo pluriennale, nel caso le giocatrici abbiano un accordo che duri più di 12 mesi può esser loro corrisposta un’ulteriore indennità, definita fin dall’inizio e divisa per gli anni di contratto, è curioso come questa cifra, rispetto alle altre forme di remunerazione, non sia soggetta a particolari limitazioni.

Quindi da ciò possiamo concludere che una calciatrice in Italia può ricevere al massimo un compenso di 40.000 euro lordi all’anno (escludendo eventuali indennità da accordo pluriennale molto alte, come succede nella LND maschile), una miseria se confrontata allo stipendio medio di un calciatore di Serie A maschile, che è di poco inferiore ai 2 milioni di euro netti. Oltre all’enorme differenza di stipendi, l’altro grande problema, è che tecnicamente essendo considerato dilettantismo e quindi non come lavoro, le giocatrici non ricevono i contributi previdenziali. La principale motivazione di queste scelte è di carattere economico; il professionismo nello sport è estremamente costoso e necessità un esborso di denaro notevole, soprattutto per le società professionistiche. Tuttavia gli sviluppi degli ultimi anni lasciano ben sperare; l’entrata di società professionistiche maschili nel settore femminile, l’organizzazione passata alla F.I.G.C e la sempre più grande notorietà che sta acquisendo il movimento, sia in Italia che all’estero, lasciano pensare che nel breve futuro si possa trovare il modo di integrare il calcio femminile al professionismo anche in Italia.

 

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