In questa stagione frenetica è facile la tentazione di concedersi a giudizi frettolosi, rapidamente ribaltabili dai risultati successivi. Un mese però è uno spazio temporale già attendibile: la Serie A ha ormai scollinato il primo quarto del calendario e alcune tendenze sembrano consolidate. Ecco quindi i migliori e i peggiori di novembre, in attesa dei verdetti Champions e del doppio turno infrasettimanale prenatalizio.

    1. PAOLO MALDINI E STEFANO PIOLI – Nessuno vince da solo, né in campo né in panchina né tantomeno dietro la scrivania. E quindi il binomio vincente del Milan capolista è composto da due nomi che sono stati a lungo più “fuori” che “dentro” il progetto. E che invece ora ne sono i veri artefici. Dopo l’addio di Boban il domino sembrava inevitabile. Ma Paolo Maldini, nell’intervista rilasciata a Federico Balzaretti per DAZN, ha fatto capire bene cosa è cambiato: le due anime del club, la proprietà straniera e la direzione tecnica italiana, sono riuscite finalmente a integrarsi. E hanno indicato la via: ok ai giovani ma senza rinunciare a guide d’esperienza; ok a un calcio propositivo ma senza i dogmi del gegenpressing di Rangnick; ok allo scouting in giro per il mondo ma senza disperdere il riferimento prezioso degli italiani (da Donnarumma in giù). E poi, Stefano Pioli. Per lui l’aggettivo più immediato, non a caso utilizzato anche da Maldini, è “sorprendente”. Ha modi gentili ma sa essere duro, ha individuato le posizioni giuste per giocatori non facili da inquadrare (Calhanoglu, Kessie) e ha ribadito di possedere una dote sottovalutata nel calcio postmoderno: sa creare un gruppo compatto, in cui tutti riconoscono la sua autorità e si divertono. Se continuerà a viaggiare sottotraccia, senza pressioni eccessive, il Milan potrà rafforzare la sua inattesa candidatura al titolo.
    2. VINCENZO ITALIANO – Chi lo aveva seguito a Trapani e poi allo Spezia in B non aveva dubbi: può diventare un grande allenatore. E la scalata, graduale ma inesorabile, continua anche in Serie A. Lo Spezia è la vera rivelazione del torneo, ancor più se si pensa che non sta godendo del sostegno dei suoi caldissimi tifosi, che deve viaggiare a Cesena anche per giocare le partite casalinghe e che la rosa è stata completata/assemblata solo nelle ultime ore di mercato. Brava la società ad attendere l’esclusione del Trapani dalla Serie C per riportare Nzola in Liguria, bravi i calciatori a non scoraggiarsi dopo l’1-4 del debutto contro il Sassuolo. Da allora ha perso solo con Milan e Juventus e ha pure eliminato il Bologna in Coppa Italia: chapeau!
    3. MATTIA ZACCAGNI – Si può associare la parola “talento” a un calciatore di 25 anni? Nel caso di questo centrocampista tecnico e fisico, esplosivo e razionale, probabilmente sì. E non a caso Roberto Mancini, che di talento/i se ne intende, lo ha convocato in Nazionale. Nell’epoca in cui gli esterni pestano la linea laterale e poi si accentrano sul piede forte per andare al tiro, lui è capace di fare anche il percorso inverso. Da mezzala sa allargarsi e puntare il terzino avversario con tecnica e forza esplosiva: Calabria, che pure è cresciuto in questo campionato, lo sta ancora cercando dopo l’esibizione di San Siro contro il Milan. Ma anche i difensori di Benevento, Sassuolo e Atalanta (top gol con aggancio volante di tacco e destro angolato) sono ancora sotto effetto di analgesico. Uno dei tanti capolavori di Juric, che ora stimola tanta curiosità nei nuovi e numerosi fan di Zaccagni (anche 2 assist finora): come se la caverebbe in una big? I mesi restanti di questo campionato, anche se nella comfort zone di Verona, daranno una risposta definitiva.

    4. ATALANTA – Il modello Atalanta è stato giustamente celebrato negli ultimi mesi e anni: due qualificazioni in Champions e semifinale sfiorata alla prima partecipazione della storia; altri due piazzamenti in Europa League negli anni precedenti. Il tutto incorniciato da operazione tecniche (in entrata) e finanziarie (in uscita) impeccabili. Ora però si fa largo la sensazione che tutti questi impegni serrati, senza soluzione di continuità, stiano limitando proprio l’armata di Gasperini, che aveva fondato i suoi successi su un gioco di intensità travolgente. Ora che quei ritmi furiosi non sono allenabili con sessioni quotidiane estenuanti, la squadra sta perdendo le sue qualità più apprezzate.


      E così chi entra non è più decisivo come l’anno scorso (Muriel, a segno in 11 partite dalla panchina in Serie A 19/20); e chi gioca sempre (Gomez, 14 partite su 14 da titolare) perde lucidità e senso della misura, arrivando addirittura a discutere con il mentore Gasperson nella partita di Champions contro il Mydtilland. In 9 giornate ha perso altrettanti punti dal Milan, al quale è arrivato davanti in tre degli ultimi 4 campionati. No, questo non è proprio un ritmo da Atalanta dei miracoli.

    5. FIORENTINA – Una rosa sopravvalutata dalla dirigenza e dalla critica; un allenatore (Iachini) rimasto a furor di classifica (dell’anno scorso) e presto abbandonato al suo destino; un altro (Prandelli) richiamato a furor di popolo ignorando le sue personali classifiche (degli ultimi anni). Quello che sta tramortendo la Fiorentina è un cocktail potenzialmente micidiale, soprattutto in una piazza ambiziosa e che era convinta di aver trovato in Rocco Commisso l’uomo della svolta. Ma l’entusiasmo iniziale è stato sostituito da una crescente apprensione. Cesare Prandelli non ha (ancora?) ritrovato il tocco magico degli anni d’oro, Vlahovic non sboccia e Ribery è ai box, praticamente come ogni maledetta stagione dal 2013. Parlare di salvezza come primo obiettivo potrebbe sembrare allarmante. Ma i punti di vantaggio sulla terzultima sono appena due e il modo migliore per stare al sicuro è rendersi conto del pericolo. Prima che suoni veramente l’allarme.