La legge dei derby, quella della Champions e quella di Cristiano. Logica e irrazionalità si fondono in un weekend di cui ci ricorderemo a fine campionato, quando si chiuderà il bilancio della zona Champions.

1. Dopo una settimana da Dio, la Juventus senza il divino Cristiano cade per la prima volta in questo campionato a Marassi. La fatal Genova non ha tolto scudetti ai bianconeri come Verona al Milan, ma escluse dall’Europa la squadra di Maifredi nei primi anni ’90 e resta un territorio di poche conquiste e tante battaglie, spesso perse. In questo stadio, magnifico quando in 35mila bocche da fuoco caricano a pochi centimetri dal prato, Allegri aveva perso per l’ultima volta in trasferta in Serie A. 26 partite e 16 mesi fa dopo il ko con la Samp, è arrivato quello firmato dall’ex Sturaro, rete col secondo pallone toccato dopo 10 mesi di inattività, e dal feroce Pandev, ottava rete in carriera ai bianconeri. Nessun effetto sulla classifica né sul morale della squadra ma la conferma che la legge della Champions è implacabile: prosciuga muscoli, testa, attenzione ed energie. E se l’impegno successivo non fornisce motivazioni naturali immediate (un big match, una sfida storica o decisiva per il campionato) è molto difficile non subirne le conseguenze. Era successo anche al Real Madrid, al netto delle sue recenti difficoltà tecniche e di equilibri interni: dopo la sofferta vittoria di Amsterdam nell’andata degli ottavi, crollò in casa contro il Girona, in lotta per non retrocedere in Segunda Division.

2. Questa Juventus ha più profondità di organico e più equilibrio del Real di Solari (allenatore nel periodo citato) e questo Genoa ha più storia ed esperienza del Girona. Però, dopo un inizio in controllo, la caduta della capolista è sembrata via via inevitabile, tale era la differenza di motivazione tra le due squadre. Date tutte queste premesse, ha senso trarre indicazioni tecniche da Genoa-Juventus? In ogni caso sì, perché il campo lascia sempre dei messaggi. Quello positivo, per la spettacolarità della sua prova e per le casse del Genoa, è che Kouamé ha potenzialità molto interessanti. E’ un talento ancora grezzo, deve imparare a gestirsi nei 90’ per essere più lucido al tiro e può migliorare tecnicamente. Però ha un passo impressionante e resiste fisicamente pur con un fisico più da gazzella alla Eto’o che da stuntman alla Drogba, i suoi due idoli d’infanzia. Il secondo post-it è dedicato a CR7. Senza di lui la Juve aveva sofferto (in 10) a Bergamo in campionato e dopo il suo ingresso l’aveva recuperata. A Genova proprio non si è presentato e la Juve di Dybala (2 gol in 3 mesi) e Mandzukic (ultima rete il 22 dicembre 2018) è stata fiacca. L’ultimo messaggio è sul valore di alcune seconde linee della rosa bianconera. Perin, dopo le incertezze contro il Parma, ha compiuto due grandi parate nel primo tempo per poi farsi sorprendere dal tiro di Sturaro. E’ un secondo di lusso, ma non ancora quanto lo fu l’anno scorso Szczesny, vero e proprio titolare bis. L’altra nota negativa è stato Rugani, che già nel passato campionato soffrì a Genova la fisicità di Galabinov e Zapata e stavolta è stato smascherato nei suoi limiti in impostazione e negli spazi. Già travolto a Bergamo in Coppa Italia, quando avrebbe dovuto guidare una difesa priva di Bonucci e a gara in corso pure di Chiellini, ha confermato ex post il motivo delle scelte di Allegri, che non ha mai puntato realmente su di lui come titolare fisso.

3. Il VAR non ha solo effetti tecnici ma anche psicologici sullo sviluppo delle partite. Un gol segnato e poi cancellato dal VAR o una situazione ribaltata (è il caso del gol della SPAL trasformato in rigore/gol per la Fiorentina dopo la revisione del contatto Felipe-Chiesa) rappresentano vere e proprie scosse emotive, che non tutti gli allenatori e giocatori sono ancora in grado di assorbire completamente. La differenza sostanziale rispetto al passato è lo spazio temporale dilatato, che in maniera naturale fa decantare emozioni e stati d’animo e poi all’improvviso li stravolge. Questo effetto di straniamento è ancora più evidente allo stadio che in tv, perché l’attesa viene esasperata dall’assenza di immagini in tempo reale su monitor o tabelloni. L’annullamento del gol di Dybala per fuorigioco di Emre Can è stata una decisione corretta ma nessuno allo stadio aveva avuto il dubbio che la rete potesse essere messa in discussione. Di conseguenza, nel giro di un minuto, il Genoa si è rimesso in piedi come Lazzaro e la Juve, già ai minimi termini di rendimento, non è riuscita ad accettare l’idea di doversi invece rimettere in discussione per vincere (o non perdere) una partita che in caso di gol regolare era ormai convinta di poter gestire in discesa. Credo che lo sviluppo tecnologico applicato al calcio renderà queste onde emotive sempre più frequenti e che giocatori e allenatori dovranno allenare la mente in modo specifico e mirato, per non cadere in stato di choc dopo decisioni ribaltate dal VAR.

4. Milan-Inter è stato un derby di adrenalina pura ed è finito con la meritata vittoria dell’Inter, grazie a una prova sorprendente dopo il tracollo europeo. Si è così confermata una volta di più la legge dei derby, a ogni latitudine: arrivarci da favoriti è uno svantaggio, molto spesso fatale. Il Milan aveva un match point per la Champions ma è stato sorpreso dalla ferocia iniziale dell’Inter, che rispetto al ko con l’Eintracht ha ritrovato giocatori e anima. Dimostrandolo coi fatti sul campo, che contano molto più di parole in tv e foto sui social (rif. Icardi e c.). Chapeau a Spalletti per il 4–1-4-1 iniziale e Vecino falso trequartista, sostenuto da una delle migliori prestazioni di Gagliardini con l’Inter.

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Lautaro Martinez ha illuminato la scena con un grande assist per l’1-0 e potenzialità da top: tecnica, fisico e...huevos, che servono per calciare un rigore così pesante, pur se a occhi chiusi e in modo tecnicamente poco pulito.

5. Il Milan ha reagito con enorme orgoglio: non era affatto facile rimanere in partita fino al 96’ dopo il doppio-doppio svantaggio (0-2 e 1-3). Ma è stata una reazione quasi solo di nervi, a folate, dopo che Romagnoli era stato sorpreso sui primi 2 gol e Bakayoko si era intestardito alla ricerca di incursioni personali, portando troppo il pallone. E’ un centrocampista di grande energia e forza fisica, ma non ha i tempi di gioco per guidare la squadra come potrebbe fare Biglia. In generale, la sensazione è stata quella di una squadra priva delle qualità e della personalità per gestire la pressione del pronostico nelle grandi partite. Çalahanoglu il più incisivo, Suso il più fumoso, sempre un tocco in più a frustrare i movimenti di Piatek. Che è stato servito poco ma si è mosso pochissimo. E non ha mai aiutato in pressing sui difensori centrali o Brozovic, mettendo in difficoltà tutta la squadra in non possesso. L’annientamento tattico del Milan è iniziato da lì, perché nel calcio (post)moderno nessuna squadra può permettersi di regalare agli avversari un uomo, che gioca solo con la palla tra i piedi, suoi o dei compagni.