E’ finita nel modo più incredibile una stagione paradossale: scudetto e secondo posto ufficiosamente assegnati a febbraio, quarta e terzultima posizione definite all’ultimo secondo su un campo dove si è lottato allo stremo e un altro dove non si è praticamente giocato.

  1. L’impresa dell’anno è dell’Atalanta. Chiude al terzo posto e tra pochi mesi sarà al tavolo delle big d’Europa. La stagione è stata logorante, iniziata a luglio con i preliminari di Europa League e subito segnata dal ko di Copenaghen. Dopo 8 giornate in Serie A era quartultima con una sola vittoria e un punto più dell’Empoli. Due anni fa Gasperini svoltò con scelte tecniche decisive: Petagna per Paloschi, Conti e Caldara titolari, Berisha in porta al posto di Sportiello. Dopo la sosta di ottobre 2018 il cambio di passo è arrivato grazie all’intensità ritrovata e 4 vittorie consecutive, fondate sui tre tenori Gomez, Ilicic e Zapata, protagonisti con 43 gol e 25 assist totali! Un attaccante sul quale Gasperini aveva qualche perplessità a inizio stagione e che lo ha poi convinto con grandi progressi tecnici e tattici. Viene premiata così una delle realtà più solide del calcio italiano, avviata a un’ulteriore crescita con la costruzione del nuovo stadio. Percassi ha straconfermato Gasperini, il tecnico valuta altre opzioni con un grande dubbio che pende sul suo capo: diventare il Gasperson di Bergamo o rischiare di appassirsi dopo aver lasciato l’Atalanta come tanti suoi ex giocatori?

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  1. La modalità thrilling con cui l’Inter conquista il quarto posto è un’altra pagina di interismo puro in una storia ricca di sospiri. Con una differenza non banale rispetto al passato: negli anni recenti l’ultimo respiro è spesso stato di gioia, dagli scudetti 2008 e 2010 alle qualificazioni Champions raggiunte da Spalletti. Il risultato finale coincide con l’obiettivo minimo della stagione ma è stato ottenuto con eccessive difficoltà. Milan e Atalanta hanno recuperato praticamente l’intero svantaggio accumulato a fine andata: -9 e -11 rispettivamente, un’enormità. L’arrivo di Marotta a metà stagione ha cambiato gli equilibri, imposto un maggiore rigore nei comportamenti ma anche creato incomprensioni con Spalletti. Si è viaggiato per cinque mesi sul filo di un evidente instabilità emotiva, equilibrata dal lungo lavoro diplomatico dell’a.d.. L’allenatore ha fatto da punching ball, attirando e respingendo critiche e disagi. Ha ragione a prendersi dei meriti per la seconda qualificazione europea consecutiva, perché è riuscito a mantenere credibilità di fronte alla squadra nonostante l’incombente/ingombrante figura di Conte. La fortuna lo ha assistito sull’auto-traversa di D’Ambrosio e ha valorizzato con il risultato finale le responsabilità che si era assunto: Keita in campo all’inizio del secondo tempo, Lautaro spesso preferito a Icardi nella volata finale. Decisione non banale, confermata peraltro da quella del ct argentino Scaloni, che ha convocato Martinez e non l’ex capitano interista per la Copa America. A conti fatti, la gestione di Icardi da parte di Wanda Nara ha prodotto soprattutto effetti negativi per il suo assistito/marito: ha perso la fascia di capitano, il posto da titolare, valore economico, l’affetto di buona parte dei tifosi, la stima di alcuni compagni, la Seleccion e la prestigiosa vetrina del torneo continentale. Difficile fare peggio…
  2. Finale surreale a Ferrara. I giocatori del Milan, invitati dal condottiero Gattuso, vanno sotto la curva Est del “Paolo Mazza” a salutare i loro tifosi, calorosi fino al 94’. In quel momento arriva la notizia del 3-1 dell’Inter sull’Empoli, il saluto è mesto quanto onorevole. Mentre la squadra si incammina verso gli spogliatoi, il VAR annulla la rete di Brozovic e riaccende speranze che si riveleranno vane per i rossoneri, cui resta il miglior piazzamento/risultato degli ultimi cinque campionati. Dopo Allegri si sono succeduti sei allenatori e solo uno, Seedorf, ha ottenuto una media punti superiore a Gattuso, peraltro con un numero decisamente inferiore di partite disputate (19) per l’olandese. Ringhio ha attraversato tormente notevoli, societarie e di spogliatoio. Eppure, “rispetto a Pisa e all’OFI Creta qui per me è stato un paradiso”. Quest’anno ha perso in estate il difensore più carismatico (Bonucci) e a gennaio l’acquisto più importante (Higuain). Ha dovuto inserire in corsa due ottimi giocatori, Piatek e Paquetà, cambiando però sistema di gioco e adattando le caratteristiche di altri, da Suso a Çalhanoglu. Ha finito con Borini esterno d’attacco per aiutare il turco, Kessié guardiano del centrodestra in assenza dei rientri di Suso e Bakayoko bodyguard davanti alla difesa per ridurre gli spazi di intervento di Musacchio. Un gioco di equilibri(smi) non sempre apprezzato. Poteva giocare un calcio più manovrato e ritmato? In alcune fasi della stagione certamente sì ma non può essere giudicato senza considerare i fattori extra-tecnici che lo hanno condizionato. Non a caso a fine partita Gattuso ha individuato proprio nel post derby il periodo più traumatico e decisivo. Non per il risultato ma perché i casi Biglia-Kessié e Bakayoko-Acerbi hanno tolto energie alla squadra. Cambiare allenatore avrà senso solo se potranno essere assecondate le esigenze dell’eventuale successore: ma il Milan, senza i 50 milioni della Champions e con la mannaia del Fair Play sulla testa, sarà nelle condizioni di allestire un progetto tecnico così preciso?

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  1. Osservando il panorama delle squadre coinvolte nelle bagarre finali per Champions e salvezza, è evidente il peso che hanno avuto gli agenti esterni al campo. Prevenire i problemi è la ricetta migliore per risolverli. La Juventus è maestra in questo e le poche volte in cui non ci è riuscita, ha smarrito energie preziose con ricadute su risultati e prestazioni. Ultimo – e unico – esempio di questa stagione l’affaire Benatia, trascinato fino a gennaio e poi (non) risolto con la cessione in cambio del claudicante Caceres. Oltre alle milanesi, la Roma ha vissuto le ultime settimane scombussolata dalla pessima gestione del congedo a Daniele De Rossi, baluardo finale dell’Italia campione del mondo 2006. Dopo Del Piero, Totti e Buffon si chiude con lui una grande epoca del calcio italiano, segnata da giocatori di grandissima qualità tecnica ed enorme personalità. Le modalità dell’addio hanno oscurato la sostanza di una scelta che tecnicamente potrebbe anche essere comprensibile, per un giocatore che ha disputato solo 14 partite da titolare in questo campionato e 21 in quello precedente. Il Barcellona ha salutato Xavi e Iniesta, il Liverpool dopo l’addio a Gerrard ha saputo ricostruire un ciclo entusiasmante. Nulla è eterno nel calcio, purtroppo nemmeno lo stile dei presidenti di una volta.
  2. Due retrocesse su tre, Frosinone ed Empoli, tornano in B dopo una sola stagione. Si salvano Fiorentina e Genoa, che non meritano tutta la buona sorte che gli arriva in dote dal finale cult di San Siro. Strameritano invece applausi l’Empoli, che paga la scellerata decisione di sostituire Andreazzoli con Iachini a metà stagione, e la SPAL, riportata al grande calcio da una società esemplare, basata su equilibri forti e ruoli definiti: dalla proprietà del patron Colombarini al presidente Mattioli fino al direttore sportivo Vagnati. E a Leonardo Semplici, giunto probabilmente ai titoli di coda di un’avventura magnifica. Quattro anni e mezzo fa raccolse la squadra tra le macerie, come la città devastata dal terremoto e dalla crisi della Carife, la banca che per decenni aveva retto il sistema economico ferrarese. Ha infilato una serie di risultati favolosi: salvezza al primo anno partendo dal terzultimo posto, doppio salto dalla C alla A e doppia salvezza. Ha migliorato giovani promettenti, da Lazzari a Murgia e Bonifazi, e custodito un rapporto fantastico con i più esperti Schiattarella, Antenucci e Floccari. Molti di questi lasceranno in estate, lui ha ancora il contratto fino al 2021 ma appare difficile pensare di migliorare ulteriormente il suo curriculum estense. La sua determinazione a misurarsi con una realtà ancora più ambiziosa è legittima e i più grandi sono tali anche perché lasciano al momento giusto. Se finirà così, sarà il modo migliore per dirsi addio.