Icardi, Spalletti, Bonucci: meglio far parlare il campo. Per fortuna che Messi c’è…

1. La guerra di posizioni tra l’Inter e Icardi si è chiusa con l’armistizio di Genova. Una tragicommedia che ha logorato i suoi protagonisti, ognuno un passo di troppo e ognuno privatosi di qualcosa: lucidità (Spalletti), leadership (Icardi), energie (la squadra), valore patrimoniale (il club). Il limite di questa triste storia è stato rendere tutto troppo, esageratamente pubblico. Un dibattito debordante, in cui per settimane sono mancate le parole del personaggio chiave: Icardi, appunto, riemerso dal silenzio facendo parlare il campo.

2. Lo spogliatoio ha le sue regole come tanti ambienti di lavoro e l’armonia interna dipende da: spessore umano e professionale dei componenti, chiarezza e rispetto dei ruoli, competenze di chi li ricopre, capacità di lettura/adattamento alle varie situazioni. Spalletti ha ragione quando considera la disciplina come l’aspetto fondante dell’equilibrio interno: già, ma allora perché proprio lui ha sollecitato/avallato l’ingaggio di Nainggolan, troppo spesso indisciplinato dentro e fuori dal campo nella sua carriera? Fino al conclamato addio dell’estate prossima, Icardi è e resta un patrimonio della società: attaccarlo pubblicamente dicendo che “solo Messi e Ronaldo fanno la differenza” nel calcio mondiale poteva avere l’unica conseguenza di deprezzarlo più di quanto lui e il suo entourage abbiano già fatto. Infine: la credibilità di un leader, di uno spogliatoio, ufficio o redazione si misura sulla capacità di affrontare e risolvere le situazioni in prima persona. Un capitano vero si confronta direttamente con i compagni e non arriva a farsi rappresentare da un avvocato per contestare una mancata convocazione. A Genova sono arrivati palo, espulsione causata, rigore conquistato e trasformato. Baci e abbracci, con tutti e da tutti tranne che dalla curva. Che non necessariamente rappresenta il pensiero prevalente di una tifoseria e che si rifà a logiche retoriche di attaccamento alla maglia e fedeltà. Tutto fuori dai tempi e fuori luogo, ultimo atto di masochismo di una delle parti in causa in questo affaire surreale, che a Genova si è avvicinato alla sua conclusione, ma senza lieto fine.

3. La comunicazione è forma e sostanza. Spalletti è andato in cortocircuito più volte nelle ultime settimane, accerchiato dal rumore dei suoi nemici, presunti o reali. Le scivolate dialettiche condizionano il giudizio generale sul suo operato. All’Inter è mancata continuità, come se la squadra subisse le onde emotive dell’allenatore. Non si ricordano comunque sue dichiarazioni disastrose quanto quelle di Bonucci alla fine di Cagliari-Juventus. Un’altra occasione in cui sarebbe stato meglio far parlare solo il campo. Nulla giustifica attacchi razzisti come quelli subiti da Kean. E le reazioni arrivate dall’estero e dall’Inghilterra in particolare rendono l’idea dell’arretratezza della mentalità italiana sul tema. media media

Si difende una comunità (il presidente Giulini) quando invece bisognerebbe non farle pagare le colpe dei pochi razzisti che macchiano l’immagine di una tifoseria e di una città. E ci si riduce ancora a una graduatoria degli insulti quando invece andrebbe tutelato – senza se e senza ma - uno dei rari talenti che il nostro calcio ha finalmente prodotto.

4. Quella sporca ultima metà di partita a Cagliari ha oscurato la prestazione solida e compatta della capolista, che continua il conto alla rovescia per lo scudetto. L’anno scorso il Napoli lo perse in albergo (cit.) dove il prossimo o successivo weekend potrebbero festeggiarlo Allegri e i suoi giocatori. Il Napoli infatti giocherà in entrambe le occasioni dopo la Juventus e passi falsi degli azzurri potrebbero ufficializzare una resa che era stata anticipata ben prima della caduta nella fatal Empoli. Andreazzoli ha battuto il Napoli come già in passato avevano fatto sulla panchina toscana Sarri (2015) e Spalletti (1998) su un campo dove anche Maradona venne fermato nel 1987/88. Sono punti che pesano più per l’Empoli che per il Napoli, sospeso nella terra di nessuno al secondo posto e in attesa della chiamata europea finale.

London calling, giovedi prossimo c’è la trasferta all’Emirates e gli azzurri in Toscana hanno dimenticato il mantra della metro londinese: “mind the gap”, occhio allo scalino, a quello spazio che separa la piattaforma dal treno, le partite di Serie A dal viaggio europeo insomma. Giocare senza obiettivi concreti di squadra non è semplice, né lo è passare dalla trasferta calda di Roma a quella di Empoli. Avrebbero potuto comunque giocarsela meglio le seconde linee, Ounas e Younes. Entrambi troppo leggeri e immaturi, rimandati in attesa del verdetto definitivo del campo. E di Ancelotti.

5. È giunto il momento di rendere merito a Messi per la sua capacità di migliorarsi nell’arte delle punizioni. Un fondamentale in cui a inizio carriera era inferiore a Maradona e pure a Ronaldo. La ruota del calcio gira come i palloni accomodati all’incrocio da Leo, ora senza discussioni il miglior tiratore di punizioni al mondo. Ha segnato per la seconda stagione consecutiva almeno 6 gol su falta directa, un traguardo raggiunto in Liga solo una volta negli ultimi 25 anni precedenti, da Ronaldinho.

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Papa Francesco, proprio sicuro che non si possa chiamarlo D10S?