L’Atalanta e il peso dell’entusiasmo, Gasperini e il peso della pressione. Firenze e la solita, vecchia storia. Ancelotti e un secondo posto non scontato. Sarri, good job!

  1. Entusiasmarsi per entusiasmare. L’Atalanta è la squadra dell’anno per il rapporto risultati/qualità dell’organico. Mi aveva impressionato nel 4-1 all’Inter: quel giorno ero allo stadio e la lezione di velocità, intensità e resistenza fu impressionante. L’Inter arrivava dal grande sforzo di pochi giorni prima in Champions contro il Barcellona ed era solo la metà del girone di andata. I grandi dubbi erano: potrà giocare a questi livelli per un campionato intero? Reggerà la pressione quando i grandi obiettivi si avvicineranno? In quel momento, peraltro, non si poteva nemmeno ipotizzare che sarebbe arrivata in finale di Coppa Italia. Un carico di responsabilità in più, che Gasperini ha saputo trasformare in entusiasmo. Bergamo si esalta e rivive dopo 30 anni l’epopea di Mondonico, culminata nella semifinale di Coppa delle Coppe contro il Malines.

  2. Gasperini ha avuto la grande capacità di evolversi senza rinunciare ai suoi principi base. Aveva portato anche il Genoa a giocare alla stessa intensità, sublimata da interpreti notevoli (Milito e Thiago Motta su tutti). Con una piccola grande differenza: si raccoglieva più a ridosso della sua area e, quando conquistava palla, doveva coprire tanto campo per arrivare dalla parte opposta. Uno sforzo possibile in alcune fasi della stessa partita e per periodi limitati nello stesso campionato. Il blocco centrale dell’Atalanta è più avanzato e le conseguenze di questo atteggiamento sono evidenti: meno campo da coprire, ovvero giocatori più vicini, minor dispendio energetico, passaggi più semplici, pochi lanci lunghi, controlli più semplici, maggior velocità di gioco, giocatori più tecnici coinvolti con più continuità, maggiore senso di responsabilità, autostima. Tutti si esaltano in una chimica perfetta tra ambiente, società, allenatore, giocatori. Uno spettacolo.

  3. In attesa di capire se il sogno Champions diventerà realtà, il tema è: Gasperini può ripetersi in un club con più storia e ambizioni e con giocatori di grande personalità? La sua esperienza in Serie A all’Inter, poche settimane nel 2011, è un parametro relativo. Arrivò dopo l’addio improvviso di Leonardo a giugno, come terza scelta dell’allora presidente Moratti che gli avrebbe preferito Bielsa e Mihajlovic (per inciso: tre allenatori completamente diversi uno dall’altro…). Non venne mai realmente tutelato dalla società. Cercò di imporre molto velocemente le sue convinzioni pur avendo giocatori poco adatti. Si scontrò con uomini importanti dello spogliatoio come Snejider. Contestualizzata quell’avventura, iniziata male e finita peggio, è giusto chiedersi se le esperienze degli anni successivi lo hanno reso più pronto ad affrontare/gestire ambienti e club diversi di Genova e Bergamo, del Genoa e dell’Atalanta. Se e quando ne avrà la possibilità, molto dipenderà dalla sua capacità di gestire la pressione. Come diceva Al Pacino nel suo monologo ne “L’avvocato del diavolo”: “E’ la pressione che fa la differenza: c’è chi si esalta e c’è chi crolla…”.

  4. Fiorentina, the same old story. Era dal 1989/90 che non restava per 11 partite consecutive senza vincere nello stesso campionato. Si ripetono ciclicamente le situazioni che hanno condizionato il “progetto” della famiglia Della Valle: separazioni burrascose dagli allenatori (Pioli dopo Mihajlovic, Montella e addirittura Prandelli) e battaglie di posizione con giocatori simbolo, esposti alle ire della piazza quando decidono di andarsene, in assenza di prospettive rassicuranti (Montolivo, Jovetic, Bernardeschi e oggi, chissà, Chiesa). Con Montella in panchina, la Fiorentina ha ottenuto 1 pareggio e 4 sconfitte, compresa la semifinale di ritorno di Coppa Italia. La partita dell’anno in cui serviva la scossa che il cambio di allenatore non ha dato. Sapete che per me è importante analizzare le prestazioni oltre il risultato. E quelle di Bergamo (errore fatale di Lafont) ed Empoli non sono state così negative. Stavolta, però, la dirigenza ha sottovalutato un aspetto non “misurabile” ma che i grandi manager dovrebbero sempre percepire. Non hanno considerato che i giocatori e Stefano Pioli condividevano ancora valori importanti, pur in assenza di risultati nell’ultimo periodo. La tragica scomparsa di Davide Astori, più di un anno fa, aveva unito tutto l’ambiente. E non a caso la Fiorentina, di questi tempi, nonostante avesse perso il suo capitano (giocatore di qualità tecniche, non solo umane) era arrivata a vincere sei partite consecutive e a battere il Napoli per 3-0. Oggi quella chimica è svanita e il senso di appartenenza si è appannato. Ma come si può chiederlo ai giocatori, quando si ignorano i principi su cui quel valore si era fondato?

  5. Con il 2-1 al Cagliari, il Napoli è aritmeticamente secondo per la terza volta nelle ultime quattro stagioni, ma solo vincendo le ultime 3 partite potrebbe eguagliare gli 82 punti del primo anno di Sarri. Limitare il confronto a questo dato sarebbe però pretestuoso. Questa squadra si è garantita troppo presto il secondo posto e ha abbandonato altrettanto repentinamente il sogno scudetto. Questa “sospensione di adrenalina” ha condizionato le ultime giornate e di conseguenza il numero di punti ottenuti. Oltre il risultato, vedo una squadra che ha ottenuto il massimo in campionato, giocato a lungo senza pedine chiave (Ghoulam, Albiol). Sono stati rilanciati giocatori (Maksimovic) e valorizzati definitivamente altri (Zielinski). E’ mancato il salto di qualità in Europa nel momento cruciale. La nefasta notte di Londra ha oscurato un grande girone di Champions, gettato non con le big ma a Belgrado (0-0 contro la Stella Rossa). Al di là della Manica, sorride proprio il grande ex, Maurizio Sarri. I risultatisti obietteranno che è ancora fermo a zero tituli però la certezza della qualificazione alla Champions è un grande traguardo. Ha saputo adattarsi a lingua, mentalità e campionato diversi, pur senza contravvenire ai suoi principi. Ha esaltato il fuoriclasse Hazard, quarto nella storia della Premier a superare quota 15 in doppia doppia.

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Sarri è migliorato nella gestione delle risorse, arrivando in finale di Coppa di Lega (ko solo ai rigori contro il City) e almeno in semifinale di Europa League. Ha segnato molto meno delle squadre di Guardiola e Klopp e subito 17 reti in più di entrambe. Ha osato con David Luiz centrale a 4 e gli è costato parecchio nei big match, soprattutto lo 0-6 dell’Etihad. Ha rigenerato solo in parte Higuain e ha forzato la convivenza Jorginho-Kanté: più geometrie a fronte di minore efficacia negli inserimenti nonostante il record personale di gol del francese in Premier (4). Ha perso tanti scontri diretti ma mai la bussola. La stagione non è finita e tanto dipenderà dall’eventuale vittoria in Europa League. In fondo, un destino può essere spostato anche solo da dettagli. Lo sa bene proprio Carlo Ancelotti: pur con un background diverso da calciatore, dovette aspettare una vittoria ai rigori (Manchester 2003) per scrollarsi di dosso la fastidiosa e ingiusta etichetta di “perdente di successo”.