La Juventus si sta sarrizzando, Sarri si è juventinizzato. La miscela perfetta tra la mentalità del club e l’estetica dell’allenatore si è sublimata in una grande prestazione, contro un’Inter fiera e orgogliosa ma alla fine inferiore. La differenza c’era, c’è ancora e si vede. Così come si percepiscono le incertezze della dirigenza del Milan sulla continuità di Giampaolo e si avvertono preoccupanti segnali di agitazione alla Roma.

  1. La prima Juventus di Conte fece sentire il suo primo vagito in casa contro il Milan campione in carica ed esplose a San Siro contro l’Inter, abbattuta 2-1 con una prova di organizzazione e personalità. La prima Juventus di Sarri si è mostrata all’Europa con un’ora di calcio molto promettente in Champions a Madrid ed è esplosa a San Siro, ancora con un 2-1 all’Inter. Nel calcio nulla si crea e nulla si distrugge, ma qualcosa si può trasformare. Con un solo giocatore diverso dalla scorsa stagione (De Ligt per Chiellini) i bianconeri hanno mostrato un volto nuovo, più entusiasmante e propositivo. L’arte della gestione di Allegri sta lasciando il passo allo spettacolo efficace di Sarri. Insomma: giocare bene (meglio) si poteva anche prima. E sarebbe stato molto utile in Europa.

  2. Sarri ha rivisitato e corretto un paio di intuizioni tattiche del precedente allenatore: Cuadrado fece il terzino già con Max, anche a Milano contro l’Inter, e Bernardeschi ne era il suo jolly offensivo più prezioso. Sarri li sta riproponendo con rinnovata vitalità e attenzione alla fase di non possesso. Il colombiano è già promosso, l’azzurro ancora no. Ma il suo pressing costante su Brozovic è stata una delle chiavi. I 22 falli dell’Inter, il triplo dei bianconeri, rendono l’idea della diversa impostazione del match: Juve più elegante e in palleggio, Inter più aggressiva. Come a Barcellona, però, i nerazzurri sono durati poco più di 45’ e coi cambi hanno ceduto campo e pallone agli avversari. La profondità della rosa bianconera è impressionante e non ha rivali in Serie A. Senza la verve di Sensi e la personalità di Godin, invece, l’Inter ha perso metri e sicurezze. Sarri ha letto magnificamente la partita, cambiando tre sistemi di gioco con gli spostamenti di Bernardeschi dall’esterno al centro, il tridente e l’inserimento di Emre Can. Conte ha cambiato giocatori negli stessi ruoli, senza mutare la disposizione. E ha rinunciato nel finale al suo attaccante migliore, Lautaro Martinez.

  3. È un paradosso però è andata veramente così: Inter-Juve è stata decisa in positivo da due attaccanti che sono stati in lista di cessione per tutta l’estate e in negativo dal centravantone che l’Inter ha acquistato dopo un estenuante inseguimento. Dybala e Higuain hanno abbattuto l’Inter, Ronaldo solo la traversa. Simbolica la rete dell’1-0, con CR7 a terra e Dybala a fulminare Handanovic: il pluri Pallone d’Oro resta fuori categoria, ma la Juve si sta allenando per dipendere il meno possibile dai suoi gol. Pur senza segnare, peraltro, Ronaldo ha giocato una partita di sublime intelligenza calcistica: mai un tocco in più, sempre i tempi corretti dei passaggi e dei movimenti. Quello che Conte chiede a Lukaku, pur con modi e piedi non da extraterrestre. Però proprio in questa capacità di “legare” la manovra è mancato il gigante belga. Troppi errori nelle scelte e nelle esecuzioni e la solita inconsistenza contro le big. In Premier League ha segnato solo 1 rete su 96 alle Top Six: “primato” subito eguagliato dal gallese David James con la rete al Chelsea nella sua prima esibizione a Old Trafford…

 

  1. Nel weekend in cui la Juventus assapora il gusto della vittoria non solo di “personalità e solidità” ma anche di “gioco e qualità collettiva”, nemmeno la vittoria garantisce tranquillità a Marco Giampaolo e all’ambiente. Molto si discute sulle scelte tecniche però il vero tema sembra la gestione della pressione. Il tecnico rossonero è apparso confuso nel pre e nel post partita, con una formazione senza brio poi provvidenzialmente corretta (Leao e Paquetà) e dichiarazioni non sempre lucide. Ho sempre grande rispetto e ammirazione per chi è partito dal basso e si è guadagnato grandi palcoscenici, il processo evolutivo del Milan richiede tempo e la qualità dei giocatori è tuttora inferiore a quella di altre pretendenti alla zona Champions. Questo resta il nodo cruciale. Solo una crescita collettiva potrebbe sopperire ai limiti individuali e Giampaolo era stato scelto proprio per questo. Ma se la società non è compatta nel garantirgli la fiducia totale, sarà schiacciato dalla pressione di un ambiente che continua a sentirsi da Champions, anche se manca dal grande palcoscenico europeo da ben 6 anni.

  2. Gran finale (si fa per dire) con gli inammissibili isterismi della Roma, già oltre la crisi di nervi dopo appena 7 giornate. Per quanto l’arbitro Massa sia stato poco chiaro nella comunicazione della non concessione del gol a Kalinic, nulla giustifica la reazione dei giocatori e soprattutto di Fonseca, del d.s. Petrachi e del presidente Pallotta. Sono le spie di un clima già rovente, che la squadra inevitabilmente assorbe. È inutile ambire a un modello di club internazionale, con strategie comunicative e di marketing moderne, se la voce della società è poi così anacronistica e fuori dai tempi come quella di Petrachi nel postpartita. Per fortuna sua e della Roma, ci sono ancora 31 giornate per migliorare sia il gioco che la mentalità dei dirigenti, intrappolati nella cultura del lamento e di stereotipi ormai ampiamente superati.