Dalla contea inglese alla vetta del Mondo: Simone Perrotta racconta il Mondiale 2006
Viaggio nella carriera di Simone Perrotta, dai primi passi su un campo da calcio fino alla vittoria del Mondiale di calcio del 2006 in Germania.
Nel 2006 ai Mondiali di Calcio in Germania l’Italia, partita con gli sfavori dei pronostici nelle scommesse calcio*, compì un’autentica impresa ribaltando ogni previsione.
In tanti credevano che gli Azzurri fossero ormai “bolliti”, allenatore e giocatore compresi, ma i fatti dimostrarono tutt’altro e l’Italia riuscì a conquistare il trofeo. La Nazionale seppe infatti esaltare i propri pregi e le proprie virtù, dimostrandosi un gruppo coeso, all’interno del quale riuscirono a distinguersi anche le cosiddette seconde linee.
Tra queste merita indubbiamente una menzione particolare Simone Perrotta; partito per la spedizione in Germania come potenziale riserva, l’ex giallorosso diventò poi un punto fisso della formazione di Marcello Lippi.
Una storia straordinaria di un calciatore straordinario. Su L’Insider l’intervista completa a Simone Perrotta, campione del Mondo nel 2006.
Verso i Mondiali 2006: l’infanzia in Inghilterra, e i primi passi da calciatore
Siamo ad Ashton-under-Lyne, una contea a due passi da Manchester. Nel silenzio più profondo della campagna del Regno Unito. Tanto verde e un piccolo campo da calcio di appena quattromila posti a sedere: il Tameside Stadium, che dal 2005 è la casa dell’Ashton football club. Nomi sconosciuti. Nel parcheggio all’esterno, tre statue, di tre Campioni del mondo: Sir Geoff Hurst, Jimmy Armfield e… Simone Perrotta. “Sì! Sono nato lì! Mio padre, calabrese, della provincia di Cosenza, all’età di 18 anni si è trasferito per lavoro e noi figli - in totale tre, io il più piccolo - siamo cresciuti in Inghilterra”. Giusto il tempo di partire con il ciclo scolastico e dare quattro calci a un pallone. “Ci sono rimasto poco, sei anni. Ho iniziato a giocare davanti casa di mio zio dove c’era un pezzetto di campo. Porto con me ricordi davvero vaghi. Flashback. Spesso si organizzava un due contro due insieme ai miei fratelli, che sono sempre stati bravi ma non hanno avuto la mia stessa opportunità di diventare calciatori professionisti”. Simone Perrotta non è mai più tornato da quelle parti. “Quando da giocatore mi è capitato di sfidare una squadra inglese in trasferta ho sempre avvertito qualcosa di speciale, un sentimento familiare, ma è chiaro che io mi senta al 100% italiano. Pensa che all’età di 13 anni ho avuto anche la possibilità di scegliere tra la cittadinanza inglese e quella italiana: non ho avuto nessun dubbio. Prima o poi però voglio tornare ad Ashton-under-Lyne altrimenti avrei mille rimorsi. Insomma, una statua tutta mia! Capisci? È un orgoglio troppo grande. Un anno fa sono andato a Londra con i miei figli a vedere una partita dell’Arsenal e fuori dallo stadio, come sai, ci sono diverse raffigurazioni di leggende del club. Davanti a quella di Tony Adams, il più piccolo mi dice ‘papà ma ce l’hai anche tu una statua!’. Ecco, è stato strano. Non so che tipo di sensazione possa provocarmi. Ma ci tornerò”. È una promessa.
Emozioni a confronto: Mondiale 2006 e derby di Roma
In quanto a sensazioni forti Perrotta è uno specialista. “Il mio cuore è abituato ormai e regge bene”, scherza lui. Ma di fatto, cosa c’è di più gratificante di vincere un Mondiale? Risposta piuttosto facile per qualsiasi calciatore. “Nulla”.
Un Mondiale ti fa perdere il sonno, questo è poco ma sicuro. “Dormi poco, sempre, quasi dall’inizio della competizione fino alla fine. Ognuno di noi aveva una camera propria, singola, ma a disturbarti erano le emozioni che ti circolavano in testa. Figurati prima della finale con la Francia! L’ansia era incalcolabile. Poi per uno come me, con la mia storia, per cui era già tanto pensare di giocare nella squadretta del mio paese in terza categoria. Mai avrei potuto immaginare di arrivare così in alto. Quando mi capita di rivedere quella partita, penso tra me e me ‘ma veramente ero lì? Veramente ho vissuto quei momenti in prima persona?’ perché la consideravo una situazione di vita professionale irrealizzabile. Quando la vivi poi, non ti rendi conto, credi sia una sfida normale, la preparazione alla gara è come tutte le altre. Sei concentrato su quello che devi fare, provi un po’ di ansia ma come lo sei generalmente prima di un grande evento. Fortunatamente è così perché se mi fossi soffermato su quello che rappresentava quella partita per me e per l’Italia intera forse non sarei nemmeno riuscito a correre”.
Meglio un Mondiale oppure un derby di Roma. “La settimana che ti porta a giocare un Roma-Lazio è qualcosa di speciale: tensione, adrenalina, la pressione dei tifosi che vogliono e ti chiedono solo di vincere. L’atmosfera pre derby è chiaramente differente da quella di un Mondiale, che per importanza è imparagonabile, ma resta unica nel suo genere. L’attimo più significativo, a mio parere, è la fase di riscaldamento, quando le due squadre entrano nel bel mezzo di un Olimpico stracolmo di passione”.
La convocazione ai Mondiali 2006: aneddoti e retroscena
Simone ci ricorda quei momenti partendo da un curioso retroscena.
“Faccio l’Europeo del 2004 con Trapattoni e poi esco dal giro dei convocati della Nazionale per un anno e mezzo. Firmo per la Roma, arriva Marcello Lippi come ct che però fa altre scelte. Parallelamente mio fratello inizia ad organizzare il suo matrimonio più o meno un anno prima del Mondiale tedesco e nell’estate 2005 chiede a me e mia moglie di fare da testimoni. ‘Quando fissiamo la data ufficiale della cerimonia?’, mi dice, sapendo dei miei impegni lavorativi. Io suggerisco giugno, lui mi ricorda che in quel periodo c’è il Mondiale, pur sapendo tutte le difficoltà che avevo avuto; il gruppo azzurro era consolidato, aveva vinto il girone a mani basse, c’era poco da sperare, sinceramente. Quando escono le date ufficiali del torneo lui mi chiama subito ‘ok, mi sposo l’11 luglio’, esattamene due giorni dopo la finale!”. Ottimista, pensa Perrotta. “Era così convinto che… alla fine è successo veramente”. Dalla convocazione alla vittoria finale, fino al matrimonio del fratello: un tour de force senza precedenti. “Il giorno 9 giochiamo e vinciamo contro la Francia, il 10 torno a Roma, festeggiamo fino a tarda notte e prendo un volo privato per Lamezia. Ero stravolto, credimi, perché non dormivo da tre giorni. Arrivo a Cerisano dopo le tre, praticamente dormivo in macchina”. E si infila dentro il letto? Macché. Ad accoglierlo una banda musicale tutta per lui con un paesino di 3.500 abitanti in delirio. “Foto, autografi, cori. Un’emozione incredibile. Tra l’altro, nel mio paese, sono sempre stato ‘Simone’ e mai ‘Perrotta’ ma da quella sera tutti mi hanno iniziato a chiamare per cognome perché ‘prima non avevi vinto un Mondiale. Nei giorni a seguire sembrava ci fosse una processione alla mia porta, tutti a suonare il campanello. È stato complicato da gestire ma credimi, quella Coppa mi ha cambiato la vita”.
Tensioni pre-Mondiale 2006: lo scandalo Calciopoli
Calciopoli li ha resi più forti. “La verità è che il gruppo, di base, era già molto unito, con dei valori importanti. Ma la vicenda Calciopoli ci ha sicuramente dato quello spirito in più che non avevamo. La contestazione a Coverciano prima di partire per la Germania, gli attacchi a Lippi e non solo, Cannavaro, Buffon… non è stato facile. Arrivati lì, in tanti credevano non dovessimo nemmeno partecipare al Mondiale. Tutto questo ci ha dato più forza, ci ha caricato, gonfiandoci di orgoglio. Il nostro allenatore è stato fondamentale perché ci ha difeso dall’inizio alla fine, ha avuto capacità e meriti tattici ma anche umani, il suo carisma ha fatto la differenza: ricordo alcune conferenze stampa senza troppi peli sulla lingua. Non si è mai nascosto. È un pregio che alla lunga ha i suoi effetti positivi all’interno di un gruppo di calciatori che sono soprattutto persone”.
Mondiali 2006: il rapporto con Marcello Lippi e la semifinale contro la Germania
Rapporto Lippi-squadra. “Con i giornalisti ringhiava, con noi scherzava. Il ‘mister’ è una persona alla mano che si fa rispettare, ha grande esperienza e sa quando fare una battuta piuttosto che un rimprovero. Noi eravamo un po’ come i suoi 23 figli che aveva scelto personalmente, ci trattata tutti allo stesso modo, con lo stesso affetto. Sembravamo una grande famiglia”.
La semifinale contro la Germania: uno contro tutti. Nel calcio, in campo, ma con risvolti sociali importanti anche fuori. “Dalla nostra parte avevamo, lì in Germania, tutta la struttura del piccolo albergo in cui alloggiavamo, che era a gestione familiare. Fatalità calabresi. Siamo riusciti a creare un legame speciale con tutti loro, dai camerieri (italiani) agli chef. Tant’è che prima della partita contro i tedeschi ci dissero ‘per favore, perdetele tutte ma non questa, per noi significa molto, moltissimo’. E quando siamo tornati, vincitori, ci hanno accolto piangendo, in ginocchio. Questo mi ha fatto realmente capire cosa significa, per un italiano, vivere in un posto in cui spesso sei visto come straniero. Non ti nego che quella sensazione l’ha respirata anche mio padre. La vittoria del Mondiale è stato un riscatto per noi ma anche per loro. Una grande soddisfazione”. Ma entriamo più nel dettaglio della sfida. Dortmund, Germania-Italia. Quattro luglio. “Sai quando abbiamo capito che lo stadio era interamente di tifosi tedeschi? Durante l’inno. Ma questo non ci ha condizionato minimamente. Eravamo abituati, chi più chi meno, a giocare partite così. Di quello spessore, di quel livello. È andata bene, anche se al 118esimo già ci stavamo preparando per andare ai calci di rigore”. La festa negli spogliatoi? C’è stata ma la nostra testa era già alla finale. Il giorno dopo bisognava già tornare ad allenarsi per vincere quella partita. La più importante di tutte”.
La testata di Zidane in finale ai Mondiali 2006
La testata di Zidane a Materazzi. “Non l’ho vista. Ero già uscito dal campo, sostituito, e da fuori non mi sono accorto di nulla. Penso sia stato il primo episodio involontario di VAR perché nessuno si era accorto di nulla, ad eccetto di Buffon e del delegato FIFA che aveva un monitor a bordocampo in cui ha rivisto il replay, avvisando poi l’arbitro. Non ho mai chiesto a Marco cosa sia successo sinceramente, posso solo dire che alle volte, presi dalla tensione e dall’agonismo, capitano reazioni incontrollate. Alla fine della partita io ero così felice che non ci ho più pensato. Certo, mi è dispiaciuto che uno come Zidane, con cui ho anche giocato alla Juventus, chiudesse la carriera in quel modo, con quell’immagine. Rimane uno dei più forti di sempre".
Zidane vs Totti: il confronto tra i numeri 10 del Mondiale 2006
Una sfida da 10 in pagella: Zidane (appunto) contro Totti. Due ex compagni di Simone Perrotta. “Io e Francesco ci siamo conosciuti meglio, a fondo, perché abbiamo condiviso lo spogliatoio per nove anni alla Roma, più la Nazionale. È una persona spettacolare, umile, che si fa voler bene, simpatica. È proprio così come lo vedono tutti: non ha filtri. Con Zidane ho passato meno tempo, alla Juventus, io ero anche molto giovane. Ti posso dire che io arrivavo dalla Reggina, in Serie B, e mi sono ritrovato davanti ai miei occhi questo mostro che aveva appena vinto un Mondiale e stava per essere premiato con il Pallone d’oro. È stato uno shock. Lui comunque è un tipo molto sulle sue, disponibile e serio. Affrontava al massimo ogni momento della sua vita professionale, dall’allenamento alla partita. Tecnicamente Totti e Zidane non si discutono, che vuoi aggiungere oltre a tutto quello che è già stato detto e scritto? Però nei miei mesi alla Juventus ho scoperto anche un altro campione: Paolo Montero. La sua attenzione verso i compagni era pazzesca, ti difendeva sempre, in ogni situazione. Disarmante. Metteva il suo ‘io’ in secondo piano o addirittura in cattiva luce pur di fare del bene alla sua squadra. Leader vero. Mi ha insegnato tanto”.
Dai Mondiali alla Serie A: differenze e analogie tra Ancelotti e Ranieri
Ancelotti e Ranieri, due allenatori importanti nella carriera di Perrotta. Le differenze? “Carlo mi ha allenato per poco tempo, alla Juventus. Solo sei mesi. Arrivava dall’esperienza di Parma e non fu accolto benissimo dall’ambiente bianconero. Però è stato il primo che mi ha fatto giocare da trequartista, in uno spareggio per accedere alla fase a girone di Coppa Uefa contro l’Udinese. Mancava Zidane e mi disse ‘lo fai tu? Ce la fai, con le tue caratteristiche ma ce la fai tranquillamente. In attacco c’era Nick Amoruso e devo ammettere che tutto sommato non è andata male”. Il discorso su Claudio Ranieri invece, è ben diverso. “L’ho vissuto di più, tutto il periodo in cui è stato a Roma ossia più di 60 partite. Abbiamo sfiorato lo scudetto insieme, non so se mi spiego: penso sia il rammarico più grande. Ad ogni modo stiamo parlando di un gentleman, un signore in tutto e per tutto”. Un altro che, in Inghilterra, dalle parti di Leicester, avrebbe meritato non una ma forse anche tre statue.
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