Nel weekend più drammatico del terzo millennio per il nostro Paese, la Juventus urla tutta la sua tanto attesa forza nel silenzio dello Stadium. Alla Juve di Lippi e Zidane servirono 6 partite per irrompere nel campionato 1996/97, 2-0 all’Inter oggi come allora; a questa ne sono servite 20 in più. Scudetto e Champions restano orizzonti da definire, prima di tutto perché lo svolgimento delle competizioni è in forte dubbio: ma di certo i segnali sono stati chiari come lo erano stati solo all’andata, proprio contro l’Inter.

  1. Ha vinto la Juventus, ha perso però anche l’Inter. Nel senso che ai meriti della nuova/vecchia capolista vanno affiancati i limiti dell’avversario, che come tutte le squadre imperfette e incomplete crolla sistematicamente alla distanza. Era già successo contro il Barcellona, a Dortmund, contro i bianconeri a San Siro e contro la Lazio a Roma. Allo Stadium Sarri ha vinto grazie a scelte coraggiose e ormai inevitabili: Bentancur preferito a Pjanic e l’arretramento di Ramsey nel ruolo di mezzala, che da sempre predilige. Il gallese non ha la rapidità e l’inventiva per muoversi da trequartista e Sarri ha confermato a fine partita che anche il ragazzo glielo ha confessato: spesso, in posizione più avanzata, riceve palla spalle alla porta e perde il passo per inserimenti e giocate offensive. La sua qualità, unita a quella raggiante di Dybala, ha permesso ai bianconeri di rompere l’equilibrio della prima ora di partita, scossa da alcune volate entusiasmanti ma non finalizzate di Ronaldo.
  1. Lukaku e Lautaro hanno fallito un appuntamento cruciale della stagione ma troppo spesso, ancora una volta, si sono trovati troppo soli e con troppo campo da coprire per raggiungere la porta avversaria. Il salto di qualità che Conte invoca sistematicamente dopo ogni sconfitta (Dortmund, Roma, Torino) i tifosi e il club se lo aspettavano da lui: l’Inter ha oggi 7 punti in più dello scorso anno dopo 25 partite giocate ma la mancata evoluzione del gioco nella seconda parte di stagione è preoccupante. La rimontona nel derby doveva far decollare la squadra e invece da quel 4-2 sono arrivati solo i successi contro il Ludogorets e 3 sconfitte in sfide decisive: Napoli in Coppa Italia, Lazio e Juventus. Nessun club di Serie A ha fatto un mercato invernale così consistente, eppure il pezzo pregiato Eriksen non ha ancora un posto fisso nell’11 titolare. Nonostante le sue qualità di palleggiatore, ritmista e battitore da fermo manchino a tutti gli altri centrocampisti della rosa. Il suo ingresso troppo soft a Torino va spiegato anche con motivazioni psicologiche, non solo tecniche: come può sentirsi un giocatore che arriva da star e al quale dopo oltre un mese non è ancora stato assegnato un ruolo centrale?

  2. L’aspetto mentale, su scala collettiva, è stato determinante anche per la Juventus. Dopo Lione, Sarri aveva ribadito che la settimana di allenamenti gli aveva trasferito buone sensazioni, opposte a quelle arrivate poi in partita. Il palleggio sottoritmo e la fase difensiva lacunosa sul gol di Tousart erano stati i segnali più chiari. Serviva una svolta secca ed è arrivata appunto con l’esclusione di Pjanic e l’inserimento dal 1’ di Douglas Costa, elettrico come nella serate migliori ma senza la concretezza adeguata. A quella ha pensato Dybala, con il gioiello che ha chiuso la contesa. 2-0, proprio come nel 1996, quando sbocciò la Juve di Lippi e Zidane.

  3. Già, Zizou. Ora decisamente in altre faccende affaccendato. Il suo Real si era ripreso in mano il destino con la grande vittoria nel Clasico ma ha nuovamente disperso il vantaggio sul Barcellona, proprio come era accaduto alla vigilia del confronto diretto. Per la terza volta consecutiva, i blancos non hanno saputo sopportare la pressione di dover replicare a un successo dei blaugrana nelle ore precedenti. Dopo il pareggio interno col Celta (2-2) e il ko sul campo del Levante (0-1) ecco l’1-2 al Benito Villamarin, la tana del Betis Siviglia.
    Una sconfitta che preoccupa per la prestazione inconsistente del Madrid, che pure aveva pareggiato col rigore gentilmente concesso a Benzema (4 gol negli ultimi 3 mesi, 1 nelle ultime 10 giocate in Liga) da Sergio Ramos, che ha così rimandato la possibilità di raggiungere Ronald Koeman a quota 67, al primo posto tra i difensori goleador nella storia della Liga. Il Real è crollato nel secondo tempo per un errore proprio del francese, così ligio al ruolo di centravanti di manovra da trovarsi a impostare nella sua metà campo: sul suo passaggio centrale si è attivato il contropiede fatale, finalizzato dall’ex canterano del Barça Cristian Tello: 28 anni e un grande futuro alle spalle, preannunciato dal lancio in prima squadra con Guardiola.
  1. Dopo l’ennesima settimana turbolenta, a -1 dal Real e con lo svantaggio negli scontri diretti e le polemiche per l’impetuosa dialettica in panchina del vice di Setién, Eder Sarabia, il Barcellona si ritrova quindi clamorosamente capolista della Liga. Primato ancor più incredibile perché arriva dopo una delle peggiori prestazioni interne degli ultimi anni, contro la Real Sociedad, sublimata da un più che generoso rigore concesso a 10’ dalla fine e trasformato in scioltezza da Messi, che fin lì aveva inciso poco. L’inizio di partita, contro un avversario da Champions anche se indotto al turnover dall’impegno ravvicinato di Coppa del Re, aveva destato segnali poco rassicuranti: un palleggio eccessivo e ridondante, tanti rischi inutili sin dalle giocate di Ter Stegen nella sua area. Il Barcellona ha vinto ma non ha convinto: per ora gli basta così e pare difficile che possa migliorare sensibilmente da qui alla fine della stagione. In Spagna credono ormai che questa Liga andrà al menos malo, alla “meno peggio” delle due. Sono due le fondamenta su cui si poggiano le speranze di Setièn: il Camp Nou, dove la Real Sociedad ha perso per la 22ma volta di fila (!) e solo i blancos hanno fatto punti finora; e naturalmente Messi, 19 gol e 12 assist.
    Il gigante blaugrana dai piedi d’argilla ha traballato, è crollato e si è ripreso. E resiste, difendendo con orgoglio il titolo conquistato gli ultimi due anni.