Nel nome del Mancio

È Tarcisio Burgnich, allora allenatore del Bologna, a lanciarlo tra i grandi contro il Cagliari ad appena 16 anni.

Un mese dopo segna il suo primo gol, contro il Como, rete che lo fanno piombare prepotentemente sul taccuino della maggior parte dei club italiani.

Ad esser folgorato completamente dalle performance del giovane jesino, che di nome fa Roberto e di cognome Mancini, è il presidente della Sampdoria Mantovani, che piazza un’offerta giudicata folle all’epoca per un giovane della sua età: due miliardi e mezzo!

Sembra una pazzia, invece… Sarà il primo tassello di un puzzle a tinte blucerchiate, che anni dopo si mostrerà superbamente al panorama calcistico italiano e continentale.

Pian piano si forma un gruppo formidabile, guidato sapientemente dal grande e indimenticato Vujadin Boskov, che in quegli anni stupirà tutti. 

Percorso che tocca l’apice nel 1990, precisamente il 18 novembre, al San Paolo di Napoli.

La Samp asfalta il Napoli di Maradona campione d’Italia in carica 4-1, candidandosi prepotentemente a ruolo di protagonista del campionato.

Due gol di Vialli, due gol di Mancini: persino i tifosi partenopei a fine partita sono in piedi ad applaudire i gemelli del gol.

È il preludio al primo meritatissimo scudetto della storia blucerchiata, che arriverà qualche mese dopo.

Un periodo meraviglioso quello per la Samp, guidato in campo dalla luce accecante del suo numero 10, Roberto Mancini.

Merito che il talento marchigiano gira in parte al suo amato tecnico.

“Mister Vujadin Boskov ha reso la mia giovinezza straordinariamente bella: oggi che non c’è più me lo immagino in cielo, seduto accanto a Mantovani…”

A Genova scriverà la storia, vincendo uno scudetto, quattro Coppe Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa delle Coppe, arrivando anche a giocarsi una storica finale di Coppa Campioni contro il Barcellona di Johann Cruijff e Pep Guardiola, persa per una punizione di Ronald Koeman ai supplementari.

“L’unico rimpianto della mia carriera…” dirà.

Sì, perché, avesse vinto anche quella, sarebbe entrato di diritto nella leggenda.

Ma dopo quindici lunghe stagioni e qualche fisiologica annata sottotono, a 32 anni, persa probabilmente la totale fiducia dell’ambiente, decide a sorpresa di cambiare, convinto da Sven Goran Eriksson e dal nuovo progetto Lazio.

Per molti è un giocatore finito, ma lui non è affatto d’accordo.

In biancoceleste (risolverà tante partite anche entrando a partita in corso) vincerà uno scudetto, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una coppa delle coppe e una Supercoppa Europea contro il leggendario Manchester United di sir Alex Ferguson.

Memorabile poi la rete a Buffon contro il Parma di tacco (fondamentale che usava spesso, quasi un suo marchio di fabbrica), una dei gol più belli ed emozionanti della sua carriera. “Fu bellissimo. Ricordo che Bobo Vieri mi gridava: ‘Tu sei pazzo, tu sei pazzo’…”

Già, solo un pazzo poteva pensare di fare un gol così.

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