Nato all'incirca negli anni Settanta del Novecento a Detroit (in una delle patrie del poker), l'Omaha è considerabile figlio del Texas Hold ‘em: all'inizio il gioco si chiamava "two by three”, ogni giocatore aveva a disposizione non 4, bensì 5 carte private. Ma questo limitava il numero massimo di giocatori per tavolo al numero di 8, a causa del dispendio di carte durante la mano. Presto quindi si ridusse il numero di carte private a 4, ancora oggi soprattutto nel Regno Unito e in Francia si gioca sia con 4 che con 5 carte private. La riduzione a quattro carte è stata comunque il punto di partenza per il successo dell’Omaha a livello mondiale. A quel tempo esisteva un gioco basato sul Texas Hold 'em che si chiamava con un nome in onore della città più popolosa del Nebraska: Omaha: il gioco prevedeva l'obbligo di usare tutte e due le carte private e tre carte comunitarie. Ma col tempo, a causa dell'affinità del gioco, in Nevada i due giochi si mescolarono: Omaha, ossia quello che conosciamo oggi; Greek Hold'em ossia la variante del Texas hold 'em con l'obbligo di usare tutte e due le carte private. L'Omaha ebbe la sua modellazione finale nel 1982. Da allora ha conquistato sempre più successo, pur non raggiungendo la diffusione del più immediato e popolare Texas Hold 'em.

Le regole dell’Omaha, simili (ma non troppo) a quelle del Texas Hold’em

Le meccaniche del gioco sono pressoché le stesse della specialità Texas Hold’em: al tavolo troveremo sempre un “piccolo buio” (SB) e un “grande buio” (BB) che sono obbligati a investire delle chips prima ancora della distribuzione delle carte: il giocatore alla sinistra del bottone (lo SB) è obbligato a porre una certa somma prestabilita mentre il giocatore che lo segue (il BB) pone il doppio della somma. A questo punto il dealer distribuisce quattro carte a testa, sempre una alla volta per ciascuno. I giocatori possono passare senza investire chips o vedere almeno il grande buio per entrare nella mano. Se tutti foldano, il grande buio ha vinto la mano; se nessuno rilancia, il grande buio può fare check. Se ci sono ancora giocatori attivi, il dealer “brucia” la prima carta nel mazzo e ne distribuisce tre scoperte sul tavolo a comporre il famoso “flop”.

Qui si apre l’eventuale secondo giro di puntate. Il dealer scarta nuovamente una carta e ne distribuisce una scoperta sul tavolo: il “turn”. Si apre poi un altro giro libero di scommesse. L’ultima “street” del board è il celebre “river” che consente ai giocatori di fare le ultime puntate prima dell’eventuale “showdown”, il momento in cui viene stabilita con certezza la mano vincitrice (o uno “split pot” in caso di parità). Lo svolgimento è quindi del tutto simile al classico poker texas hold’em, con la differenza delle carte in mano, che sono 4 e non più 2,  e del punto che deve essere per forza composto da almeno 2 delle carte in nostro possesso.

La differenza rispetto al Texas Hold’Em che (può mandare) in crisi i giocatori

La regola che mette in difficoltà i giocatori principianti di Omaha è quella che vincola il numero di carte private e comuni da usare -rispettivamente 2 e 3 - d'altro canto i giocatori di Texas Hold 'Em devono prestare attenzione alla valutazione della loro mano quando passano dal Texas Hold 'Em all'Omaha. Se sul tavolo ci sono quattro carte di quadri e l'asso di quel seme è l'unica carta di quadri che un giocatore ha, egli non ha il colore massimo, e anzi non ha affatto un colore, poiché deve usare due carte della sua mano. È molto diverso dal Texas Hold 'Em in cui, con un asso di quadri tra le carte combinato a quattro carte di quadri delle cinque carte comuni al centro del tavolo, si avrebbe il migliore colore possibile. Inoltre, per esempio, avere in mano tre K rende improbabile la possibilità di fare tris di K e rende impossibile realizzare un poker di K.

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