5 squadre in 3 punti, però è ancora presto per dire addio al bipolarismo. Barcellona e Real Madrid restano avanti, +1 su Atletico e Siviglia e +2 sulla Real Sociedad pur con una partita in meno, che sarà il Clasico del 18 dicembre. Si giocasse oggi, tutte le inseguitrici e i commentatori neutrali tiferebbero per il pareggio. Ma per fortuna del Barça, c’è ancora più di un mese prima dello scontro titanico.

  1. A las 6.30 de la tarde di sabato, infatti, il Real Madrid ha mostrato il volto migliore della sua stagione: 4-0 all’Eibar con doppietta del nuovo Pichichi Benzema, 9 gol in 12 partite. Il Madrid ha vinto e convinto come nel 6-0 di Champions al Galatasaray, guidato dallo scintillante Rodrygo. Il 18enne brasiliano che da piccolo chiedeva la foto a Neymar al centro di allenamento del Santos è stato devastante, tripletta all’esordio in Europa che segue la rete lampo al debutto in Liga. Dopo Vinicius e Ansu Fati, un’altra baby face irrompe sulla scena. Lasciando la sensazione di essere il più tecnico e leggiadro dei tre, talento brasiliano con concretezza già europea.

  2. Zidane ha trovato l’equilibrio che a tratti mancava pure al suo Real tricampione d’Europa. Non avendo più Cristiano Ronaldo, non può permettersi di concedere troppe occasioni (e gol) agli avversari. Per questo, dopo il disastro di Maiorca, ha puntato deciso sull’uruguaiano Valverde a centrocampo: un 21enne che gioca con la personalità di un veterano e che pensa da grande (chissà se è un caso, tra qualche mese diventerà già papà). Il resto lo ha fatto la crescita costante di condizione di Hazard, alla migliore esibizione in blanco sotto la pioggia di Ipurua, pattinando sull’erba tra rabone e colpi di tacco. 20 giorni fa il Madrid era uscito a pezzi dalla gita di (dis)piacere alle Baleari e a Courtois girava ancora la testa dopo i fischi del Bernabeu a fine primo tempo col Genk. Ora ha un piede negli ottavi di Champions e il portierone belga è imbattuto da 533’, quinta miglior serie nella storia del club, ad appena 2’ però dal 3° posto. Todo cambia…

  3. Nell’era degli algoritmi e della misurabilità esasperata, Valverde si fa forte dei numeri per consolidare la sua posizione, rafforzata anche delle dichiarazioni pubbliche di appoggio del presidente Bartomeu. Ma in campo contano anche le percezioni e comanda sempre l’Imperatore Leo Messi. Il Barcellona deve a lui il ritorno al successo (4-1) sul Celta, che nei primi 46’ lo aveva narcotizzato grazie alle intuizioni del neo allenatore Oscar Garcia, ex centrocampista del Barça di Van Gaal. Poi al Camp Nou è sbarcato ancora l’alieno, che ha trasformato una punizione maestosa prima dell’intervallo e ha cambiato completamente il quadro psicologico della partita. Valverde ha fatto il resto inserendo Dembelé per l’intimidito Ansu Fati e poi Suarez per il rattrappito Antoine Griezmann. Il calcio in Catalogna è l’opposto di quello che si gioca nel feudo colchonero e lui pure sembra un altro calciatore. Decisamente peggiore, come testimoniano gli appena 2 gol segnati col club negli ultimi due mesi e mezzo.

  4. Messi ha coronato una prestazione da kicker di NFL con la sua 34ma tripletta in Liga, come Cristiano Ronaldo: all’argentino però è servito quasi il doppio delle partite per raggiungere questo traguardo.
    Un rigore maradoniano (portiere seduto e spiazzato ancora prima che Messi toccasse il pallone) e due punizioni praticamente identiche (da 23 e 22 metri) hanno indirizzato la partita che i catalani hanno chiuso con la quinta goleada casalinga di inizio stagione: 5-2 al Betis, 5-2 al Valencia, 4-0 al Siviglia, 5-1 al Valladolid, 4-1 al Celta. Pur avendo saltato 5 partite per infortunio, Leo è il capocannoniere della squadra con 8 reti e il suo score su punizione è ormai stellare. Con le due trasformate sabato è a quota 52, -2 da Ronaldo. Ciò che impressiona è la clamorosa riduzione della forbice tra i due dal 2014 a oggi: Messi ne ha segnate 23 in più, 1 ogni 11 calciate, media dimezzata rispetto a quella del suo eterno rivale nello stesso periodo. Impressionante.
  1. Alle spalle delle superpotenze ci sono Siviglia e Atletico Madrid. Gli andalusi si sono aggiudicati El Gran Derbi in casa del Betis (2-1) grazie a due nuovi acquisti: il redivivo De Jong e il brillantissimo Ocampos , ex Milan e OM, 7 gol nelle ultime 10 giocate tra club e nazionale argentina. Contro il peggior Espanyol dal 2000 a oggi, penultimo e con l’ultimo attacco, l’Atletico ha invece sofferto tremendamente nel primo tempo. Come il Barça, si è salvato con un gol sulla sirena, quello dell’1-1 di Correa assegnato dal VAR dopo l’iniziale segnalazione di fuorigioco all’assistman Morata. Il solito intervallo alla Ferguson di Simeone ha scosso i muri del Wanda Metropolitano e una squadra incredibilmente apatica nei primi 45’, come è già successo tante, troppe volte quest’anno. Senza l’infortunato Joao Felix il tasso tecnico della squadra crolla drammaticamente. Lemar è stato fischiato al suo ingresso nel secondo tempo e si è preoccupato più di mostrarsi grintoso nei contrasti che di far cantare il pallone col suo sinistro vellutato. Il Cholismo balla sul confine tra integralismo e fanatismo ed esclude chi non lo abbraccia con piena convinzione. Però questa filosofia sta gradualmente oscurando il talento dei migliori, compreso Saùl, retrocesso ancora a terzino sinistro. Morata, sesto gol in sei partite, ha completato la rimonta ed eguagliato la serie realizzativa di Griezmann nello scorso torneo.
    Ora punta quelle del Kun Agüero (7), Forlan e Falcao (8). In attesa del ritorno di Joao Felix e di ricevere il Barcellona nella notte del giudizio del 1° dicembre. 

Bonus track. Cambiano gli allenatori ma non il risultato finale e la sua essenza. Juventus-Milan è finita come l’anno scorso e come due anni fa: i rossoneri nella loro migliore versione sono stati freddati nel finale, con i cambi ancora una volta decisivi. Quello di Dybala per Ronaldo ha fatto e farà rumore. È come se Sarri, resosi conto che il mercato (Ramsey e Rabiot) non gli ha ancora dato ciò che si aspettava e che la sua idea di gioco per ora resta tale (un’idea, appunto) stia cercando di alzare il livello medio con una competizione interna estrema. Che non risparmia nemmeno il totem portoghese, la cui reazione è stata scomposta e irrispettosa del tecnico e dei compagni. Da quando “è Ronaldo”, Cristiano si è sempre autogestito. Con Benitez, che stimava poco per il suo inesistente passato da calciatore e che gli spiegava come calciare le punizioni, arrivò allo scontro frontale. Zidane lo ha riportato a più miti consigli e compromessi, Fernando Santos in nazionale lo asseconda, Allegri lo aveva conquistato prima di essere immolato sull’altare della Champions persa contro l’Ajax. Per Sarri l’ideologia va oltre tutto e tutti: la squadra ha risposto compatta a Mosca e contro il Milan, un po’ di fortuna (vittorie cercate ma non meritate) ha aiutato la sua audacia. Ma il chiarimento si impone perché la convivenza forzata non può durare altri sette mesi e fra tre, a cavallo di primavera, un Ronaldo più riposato e rilassato può essere ancora fondamentale per il grande salto europeo.