Chi li ha inventati gli olandesi?
Ti aggiri sui canali di Amsterdam in un giorno d’inverno. Freddo artico, luce come se non avesse pulviscolo, accecante e adatta a farsi dipingere, come quella di Vermeer, che per aver il pennello che aveva, ha dipinto pochino.
Entri nella Nieuwe Kerk. La stessa luce si propaga dalle grandi vetrate verticali e congela l’istante. Il grande organo tace e non si sente un singolo rumore. C’è solo la luce che pretende rigore.
Gli olandesi difficilmente esagerano.
Pensi che il puritanesimo l’abbiano licenziato loro verso il mondo, che le loro donne nascano con la cuffia in testa e lì la tengano tutta la vita, che tutto sia un ordine geometrico fatto di numeri e linee rette che portano a Dio, assecondando un disegno preordinato, nei dettagli: una Weltanschauung che gli conferisce quella sicurezza che gli olandesi dimostrano sempre.
Tutto è forma e funzione.
Non fidatevi, del tutto, però.
Per ogni buon cittadino che sta per andar di ronda nel più celebre quadro di Rembrandt, ce n’è uno opposto a lui, solo che spesso abita nella stessa persona.

Prendete Johan Cruyff.


Comincia così l'autobiografia di uno dei più grandi di sempre, con una introduzione speciale scritta da Federico Buffa e dal sottoscritto. In vista della doppia sfida di Champions League* tra Ajax e Juve, LPEF si concentra, lanciando lampi sul suo inizio di carriera, sul giocatore poi allenatore che più di tutti ha cambiato l’idea del gioco: Hendrik Johannes Cruijff: l’anagrafe lo impose così, por per tutti diverrà Johan Cruyff.

Betondorp significa villaggio di cemento ed è un sobborgo popolare situato alla periferia di Amsterdam. Akkerstraat è una via del suddetto quartiere che dista poco meno di duecento metri dal De Meer, lo storico stadio dell’Ajax (oggi abbattuto: al suo posto c’è uno spazio abitativo pieno di riferimenti alla grande squadra bianco-rossa: visitatelo). Attorno a quell’area si è sviluppata tutta l’infanzia di Johan Cruyff, nato il 25 aprile 1947 da Manus, fruttivendolo, e Nell Draijer, lavandaia. I primi calci al pallone Jopie (così lo chiamava la madre) li tira per strada: entra in contatto per la prima volta con il mondo Ajax quando il magazziniere del De Meer lo prende in simpatia offrendogli di fare piccoli lavoretti all’interno dello stadio: curare il manto erboso, tracciare le righe del campo, pulire le scarpe dei giocatori della prima squadra.

Johan frequentava da sempre De Meer perché il padre era un super tifoso dei bianco-rossi (la prima volta che fece indossare la maglia al figlio Johan questo aveva cinque anni, e lo fotografò nei pressi di Piazza Dam mentre passava la palla di testa al fratello) e non perdeva occasione di andare a vederli allo stadio. Leggenda vuole che Cruyff abbia ricevuto la lettera di ammissione nell’Ajax il giorno del suo decimo compleanno. avveniva solamente al termine dei provini, ma nel suo caso non ce ne fu bisogno perché lo conoscevano già tutti. Fin da giovanissimo era una presenza fissa, da spettatore, agli allenamenti dell’Ajax.

A 8 anni Cruyff appare nei cinema di tutta Olanda. Era stato scelto assieme ad altri nove ragazzi come testimonial di una marca di sigari, la Karel I. Un episodio doppiamente e inconsapevolmente profetico del suo futuro di uomo immagine, ma anche di accanito fumatore, prima e testimonial di campagne anti-fumo, poi.

Cruyff giocava anche a baseball. A 12 anni era nelle giovanili dell’Ajax, in squadra con lui c’era il futuro dg dell’Ajax Arie van Eijden e il futuro presidente della compagnia aerea KLM. Era abbastanza buffo in divisa: parliamo proprio di un mingherlino. Giocava come ricevitore, il corpetto gli saliva fino a oltre il collo e, se indossava la maschera protettiva, non si vedeva più nemmeno la faccia. Per raggiungere standard fisici adeguati per rimanere in un campo di calcio ha svolto parecchio lavoro nelle giovanili dell’Ajax. A 15 anni non riusciva a battere un calcio d’angolo, o meglio, se calciava con tutta la potenza che aveva in corpo riusciva a mettere la palla sul primo palo, al massimo. A 17, nel suo debutto da pro contro il GVAV Groningen, gli successe una cosa della quale si è sempre vergognato: e Cruyff si vergogna raramente. Venne liberato solo davanti al portiere, Tonny van Leeuwen, ma il tiro che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere una fucilata imparabile sotto la traversa gli uscì con la potenza di un retropassaggio che finì docile tra le braccia dell’estremo difensore: non dovette nemmeno tuffarsi per pararlo.

Ben presto orfano di padre, come tanti grandi sportivi, la figura chiave dell'esistenza di Johan è la mamma. Impossibilitata a proseguire la gestione del negozio fu costretta a chiuderlo. Trovò un lavoro come governante presso la casa di Vic Buckingham, l’allenatore inglese dell’Ajax, continuando a lavorare per il club. Anni dopo si sposerà con Henk Angel, il giardiniere dell’Ajax, grande amico del padre di Cruyff e amatissimo anche da Johan (era con lui che faceva i lavoretti al campo dell’Ajax). Con il patrigno Johan ha sempre avuto uno splendido rapporto, tanto da affermare di non ricordare una sola discussione con lui. Se il suocero Coster è stato il suo secondo padre dal punto di vista affaristico-commerciale (gli ha insegnato a gestire i propri interessi e i propri soldi), Michels quello dal punto di vista sportivo (ha lavorato tantissimo con lui sulla disciplina), Angel è stato il suo secondo padre di famiglia. Cruyff era di casa dai Buckingham: si fermava spesso a pranzo e tra quelle mura ha imparato l’inglese. Ma a scuola andava male (non ha preso nemmeno il diploma), lasciando l’istituto Frankendaal dopo soli due anni per andare a lavorare come impiegato in un negozio di abbigliamento sportivo sulla Ceintuurbaan, il “Perry van der Kar”. Ma non è durato troppo nemmeno lì, e lui si è trasferito in un’azienda tessile, la Harry Blitz. A 17 anni non riusciva più a conciliare il lavoro con il pallone, ed è stato totaalvoetbal.

Il debutto di Johan coi grandi avviene in un Oosterpark a Groningen, tutto esaurito, la data è il 15 novembre 1964. Ma il sold out non aveva nulla a che fare con l’arrivo dell’Ajax, squadra che veleggiava nella parte medio-bassa della classifica, quanto per il ritorno in città di di Klaas Nuninga. L’anno precedente aveva fatto grandi cose con la maglia dei bianco-verdi, e 17.500 spettatori sulle tribune non lo avevano dimenticato. Nessuno di loro poteva sapere che avrebbero assistito a un evento unico nella storia del gioco: il debutto del grande Johan Cruyff. Quel ragazzino di 17 anni non lo conosceva nessuno, tanto che nelle cronache del giorno dopo due quotidiani sbagliarono a scriverne il nome. Per l’Het Parool era “Kruyff”, per il Volkskrant “Kruijff”. L’Algemeen Handelsblad invece non aveva commesso errori, almeno riguardo al nome, ma poi era caduto sull’età del ragazzo: 18 anni. Tutti era comunque d’accordo che il giovane debuttante non è che poi avesse destato grande impressione. Anche se, scriveva l’Het Parool, il Cruijff sarebbe stato l’unico ajacide ad aver ricordato con piacere quella partita, persa 3-1 dall’Ajax, che sprofondava così in piena zona retrocessione. Aveva debuttato, si era mangiato una palla-gol. Quattro giorni dopo arriverà il debutto casalingo contro il Psv, schiantato con un secco 5-0 (la quarta rete porta la firma di Johan), era nata una stella, ma bella luminosa e avrebbe cambiato per sempre la storia del calcio.

Tutto nasce da lì, da un campo separato dalla strada solo da una modesta rete metallica verde. E, in fondo, rimane lì.

Perché il calcio non è una formula, né, come dice il tecnico argentino di César Luis Menotti, che ha preceduto Cruyff sulla panchina del Barcellona, una somma di prefissi telefonici.

Il calcio è prima di ogni altra cosa, divertimento. Abbiate prima di tutto rispetto, vivete lo spirito primigenio dello sport.

Ce lo insegna (perché Cruyff insegna, dalla cattedra, con noi tutti a bocca aperta), l’uomo che ci racconta, nei dettagli, della necessità del marketing.

Ma non è un paradosso: egli vive con profonda passione il gioco, ma è capace del massimo distacco dal gioco.

Ecco Johan Cruyff, l’unico che, rimanendo borghese, ha fatto la rivoluzione due volte, in campo e in panchina, come calciatore e come tecnico, con i piedi e con la testa.

Sintetizza e sincretizza, Johan.

Venera le regole, ma non fa nulla che gli venga ordinato.

Forma divina, funzione mondana.

Difficile dire chi li ha inventati, gli olandesi.

Sull’uomo che ha cambiato la storia del calcio, guardando al passato e al futuro, prima indietro e poi avanti, come in una ricezione a trequarti campo, magari prima di una Cruyff Turn, beh, abbiamo molti meno dubbi. 

 

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