Il terzo martedì del mese Locos por El Futbol si concentrerà su una squadra.

Attraverseremo la sua storia per capirne lo spirito, e presenteremo allenatori e giocatori simbolo.

Oggi è il turno del Club Atletico de Madrid, l’Atleti, per tutti i suoi tifosi, l’altro club della capitale spagnola. Negli ultimi anni è diventato sempre più competitivo ad altissimo livello, e la sfida con la Juve in Champions League rappresenta l’ottavo di finale più nobile di questa edizione della maggiore competizione continentale.

Dieci titoli di campione di Spagna, altrettante Coppe del Re, l’Atletico Madrid è un club davvero unico, non foss’altro perché vive nella stessa città della squadra più nobile della storia del gioco, il Real. Nella capitale, il tifo è ripartito a metà, forse c’è una piccola preminenza del club di Santiago Bernabeu, ma siamo lì, come numeri. 

Lo spirito è chiaramente differente, e questo segna la vita del club biancorosso.
 

L’ANIMA 

Davide contro Golia.
Inevitabilmente. Non esiste nessun Golia migliore del Real Madrid, che è il Golia un po’ di tutti, un po’ per quel che ha vinto, un po’ per quello che rappresenta, in Spagna e nel Mondo. 

Di fronte alla grandezza del Real, non si può che condurre una battaglia di retrovia: intensa, costante, profonda. L’idea è sopravvivere, nella stessa città, contro un club che non fa altro che vincere, e che è l’espressione di un concetto che viene riassunto nel cosiddetto “Señorío”, una certa idea di hidalgo, di superiorità morale, aristocratica.

Una idea alta, superiore, resa visibile anche dal quell’elegante bianco della maglia, che va in contrasto con lo stiloso blau-grana del Barcellona.

All’Atletico, tocca essere quindi più terra terra. Il bianco e rosso li fa assomigliare ai materassi che si usavano in Spagna lustri fa, e il loro nomignolo più celebre evidenzia questo particolare: sono i colchoneros, i materassai.

Brutti, sporchi e cattivi. Spesso li dipingono così, un negativo del Real Madrid.

Differenti per forza, ma con un fascino che può anche riconoscersi intenso, perché se il Real è unico come fa a non esserlo il suo primissimo rivale?

Nell’angolo ma fieri.

Un po’ come indiani, costretti a vivere nelle riserve. Ma con tutta la dignità di un popolo, e infatti uno dei simboli dell’Atleti è proprio rappresentato dall’effigie del Pellerossa, come si vede in striscioni e bandiere.

Nella il club biancorosso ha assunto lo spirito del “Pupas”, come si dice in Spagna. Cioè di quel personaggio a cui tutte vanno sempre male, una specie di Calimero iberico.
Il grande aedo dell’Atletico è il più grande cantautore vivente di lingua spagnola, Joaquin Sabina, che ha anche composto l’inno del centenario dell’Atletico, dove appunto si celebra la figura del Pupas. D’altronde è lo stesso storico presidente Vicente Calderon ad aver accostato il Pupas all’Atletico. Negli ultimi vent’anni l’accezione legata a questo personaggio ha assunto spesso quei toni da malasorte cosmica che in qualche modo può essere apparentatile a quello che alcuni tifosi vip hanno appiccicato all’Inter, in Italia, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Insomma, se poteva capitare qualcosa di sfigato, all’Atletico, capitava.

La situazione è un po’ cambiata da quando a comandare le operazione sulla panchina è arrivato Diego Pablo Simeone.

media Diego Pablo Simeone, sulla panchina dei Colchoneros dal 2011.

L’ALLENATORE

Paradossi: una vita in contropiede, una vita ad attendere la mossa di Golia e poi via a controgolpear, e invece, guarda un po’, forse l’Atletico Madrid più esteticamente apprezzabile si è visto con Simeone in campo. Era l’anno del Doblete: una squadra nata all’improvviso, guidata da Radomir Antic e col Cholo in mezzo al campo vince Campionato e Coppa: stagione di grazia 1995/96. Ma siccome l’Atleti è il Pupas, ecco che quattro stagioni dopo quell’incredibile doppietta, il club retrocede in seconda divisione. Non risale nemmeno immediatamente ma deve farsi due anni di purgatorio. L’Atletico ritrova una stagione felice con la vittoria dell’Europa League nel 2010, con Forlan e il Kün Aguero in campo, ma la vera rivoluzione inizia quando sulla panchina si siede Diego Simeone.

Il Cholo aveva deciso di terminare la carriera di calciatore nel club per cui aveva sempre tifato da bambino, il Racing, El Primer Grande, come lo chiamano i suoi tifosi visto che è stata la prima squadra argentina a vincere la Copa Libertadores.
Lì, ad Avellaneda, inizia la stagione da tecnico, l’anno dopo aver appeso gli scarpini. Un breve periodo di transizione e l’anno successivo (torneo Apertura 2006) alla guida dell’Estudiantes trova già la vittoria dello “scudetto”. Vince il titolo anche al River Plate (Clausura 2008), poi inizia a Catania, in Serie A, la carriera europea. Una stagione poi un breve passaggio a casa e dall’estate del 2011 ridiventa colchonero. E prontamente dice che lui, nei panni del Pupas non ci vuole proprio stare: lo dichiara apertamente e trasmettendo un po’ di sconcerto in una delle prime conferenze stampa. E già si capisce che qualcosa sta cambiando: quella deriva pessimista aveva in qualche modo portato uno spirito di negatività, di accettazione supina dell’idea di sconfitta, da parte dell’ambiente. Era ora di cambiare. Attenzione: Simeone mantiene quello spirito di combattente di retrovia, accetta l’idea di essere contro tutti, rimane piccolo, a parole, di fronte ai colossi Barça e Madrid, e controgolpea appena può, però basta con Calimero, anche se poi si veste sempre di nero.

L’Atletico cambia e, come dicono in Spagna, “va da tu a tu” contro tutti: il Real Madrid lo guarda negli occhi, e la sconfitta, se e quando giunge, anche in finale di Champions arriva dopo una partita di autentica lotta, e dove in campo si è dato tutto.

L’Atletico Madrid col Cholo si è messo l’abito per competere ad altissimo livello. Real e Barcellona hanno un vero rivale. Continua a mantenere quella fama di brutto sporco e cattivo, ma è tremendamente competitivo ed orgoglioso: Diego Simeone sa cos’è l’Atletico, e il suo spirito più puro è diventato il grido di battaglia degli indiani, è diventato lo spirito di Davide contro Golia, e la fionda è sempre ben direzionata.

GIOCATORI

L’idea di Davide e Golia è paradigmatica per un popolo di eccellenza assoluta della storia del calcio, gli uruguaiani. Anzi, territorio circoscritto, popolazioni che a stento raggiunge i tre milioni, l’Uruguay ha due Golia ai suoi confini, il Brasile e l’Argentina. Eppure da sempre competono contro di loro e hanno, oltre a due mondiali in bacheca (ma per tutto il popolo della Celeste i titoli sono quattro: loro conteggiano pure le due medaglie d’oro alle Olimpiadi, dato che sono state giocate prima del 1930), anche il record assoluto di Coppe America.

Il capitano dell’Atletico Madrid, Diego Godin, oggi è anche il capitano dell’Uruguay. Lo spirito charrua è impersonato anche da un giocatore che non è nato sul Rio de La Plata ma ne ha assunto usi e costumi, Antoine Griezmann. Anzi, secondo Godin “è più uruguaiano di me!”.
E’ diventato campione del Mondo con la Francia ma beve solo mate e impreca in rioplatense, in campo ha qualità da vendere, con la maglia biancorossa ha già segnato 130 gol ma lo esalta la prossima entrata in scivolone e non disdegna i ruvidi contrasti.

media Antoine Griezmann, a contrasto contro Samuel Grandsir del Monaco.

Perfetto per l’Atletico Madrid, che ha ovviamente anche un robusto contributo di giocatori cresciuti nel club, con lo spirito di appartenenza e la vocazione a lottare contro i giganti. Contro la Juve  ci sarà Koke, punto di riferimento dello spogliatoio, ripresosi da un infortunio, e diversi ragazzi con l’anima colchonera come Saul e Thomas, pescato in Ghana dagli ottimi osservatori dell’Atleti, e con l’ultimo arrivato Rodri, ad oggi uno dei più grandi talenti del calcio spagnolo.

media Rodri in azione contro il Getafe lo scorso 26 Gennaio.

Era andato via dall’Atletico che non era ancora maggiorenne, ci è tornato da uomo, e ha le stimmate del fuoriclasse. Gioca, combatte e tifa. E’ l’urlo degli outsider per antonomasia, gente che non si arrende mai.