“Il 9 luglio 1816 a San Miguel de Tucumán fu scritta, dai costituenti del Vicereame del Río de la Plata, la dichiarazione di indipendenza. Non la prima, a dirla tutta: la prima era stata annunciata durante la Rivoluzione di maggio del 1810, dopo che re Ferdinando VII era caduto prigioniero dei francesi. In diverse città si erano formate delle giunte che dicevano di governare in nome del sovrano deposto, detto «el Deseado». Una volta spedito Napoleone sull’Isola d’Elba, il re era tornato al suo posto, e di desiderabile, da parte dei sudditi, non aveva più nulla, dato che aveva prontamente cancellato ogni tipo di indipendenza e autogoverno e rinnovato l’assolutismo spagnolo.”


Sono le prime righe del nostro libro, Locos por el Futbol, che dà origine anche a questa nuova rubrica. Iniziamo da questa doppia indipendenza per certificare che, fin dalle origini, è sempre rimasta piuttosto indefinita l’identità dell’Argentina, anzi delle Provincias Unidas del Río de la Plata (nei documenti sopra citati non si cita mai l’attuale denominazione del Paese).

Nonostante gli ingenti investimenti di governi peronisti o meno, il mito dell’argentinidad, dell’identità argentina, si è raggruppato attorno al tango, al cinema, alla letteratura e, ovviamente, al calcio.

Il calcio ha scelto l’Argentina: in nessun altro paese si racconta con la stessa efficacia il gioco più bello del mondo. Facile: lo hanno inventato loro ( e gli uruguagi, i cugini orientali): gli inglesi ci hanno giusto messo le regole e portato i palloni, quando attraccavano nei porti di Buenos Aires e Montevideo.

Il calcio è centrale per l’Argentina, per la Capitale Federale.
E Boca-River, il Superclasico, è alla base dell’Argentina moderna.
L’ultimo atto di questo evento sarà ricordato almeno come l’attraversamento delle Ande del Generale San Martín o del ritorno di Peron dall’esilio. Storia.

La finale eterna, l’ha vinta la squadra che aveva una maggiore identità, una consapevolezza maggiore di cosa fare in campo e di come vivere l’evento.

Poteva andare diversamente?
Ce lo chiediamo osservando, pochi giorni fa, Ivan Marcone che davanti a una afflitta Bombonera, sventaglia, imbuca, imposta, regala qualità in abbondanza nella partita di campionato contro il Godoy Cruz come se questo Boca Juniors del neo tecnico Gustavo Alfaro, fosse una squadra fatta e finita, non un cantiere come in realtà è.
Oddio, cantiere: anno zero.

media Ivan Marcone contro il Godoy Cruz il 3 Febbraio scorso. Fatto espatriare presto nel ricco Messico, dove ha subito sedotto i tifosi del Cruz Azul e i palati fini del calcio di quelle parti, è tornato in patria nella sessione di mercato appena terminata.

Dopo la sconfitta nella recente finale di Copa Libertadores contro il River Plate, la più lunga e importante di sempre, è stato chiamato Nicolas Burdisso per rifondare il Boca Juniors.
Rifondare, lui che sanguina azul y oro ed è un uomo di visione di calcio superiore forse avrebbe sopportato poco quell’ultimo Boca, assolutamente riluttante alla proposta.

Basta, per certificare l’assunto, una sequenza, ripetuta più volte in quella partita. Una punizione dietro la linea della metacampo, la palla appoggiata con cura sul prato del Bernabeu, sede del grande match e, alla maniera di un mediano di mischia dei Pumas, la celebre nazionale di rugby argentina, un pelotazo verso l’area di rigore dove attendeva Wanchope Avila.
Un po’ troppo poco come strategia per una finale di così alto livello.

media Nicolas Burdisso (S) e il presidente Daniel Angelici (D) presentano il nuovo allenatore, Gustavo Alfaro (C).

Burdisso ha appena terminato la sua carriera di calciatore, uomo profondo, serio e competente, lo attende un compito davvero improbo: ridare identità al Boca Juniors.
Rifondare da Marcone, scegliere un giocatore così indica una nuova era, nella vita bostera dopo il SuperClasico madrileno.

Un SuperClasico a cui è arrivato invece con una precisa identità il River Plate. Che è stata una riscoperta, in realtà, delle origini.
L’epoca segnata da Marcelo Gallardo, tecnico dei Millonarios, richiama direttamente l’età della Maquina, la gloriosa squadra simbolo stesso del River: una squadra che negli Anni Cinquanta anticipava le rivoluzioni del calcio europeo, con straordinari interpreti, tra cui, Adolfo Pedernera, uno che, narrano le gazzette dell’epoca con stupore, abbandonava la linea a cinque davanti per raccogliere palla al limite dell’area e iniziare l’azione.

media Marcelo Gallardo, l’allenatore più vincente del River Plate, club che lo ha visto nascere: e non poteva nascere che lì, un allenatore così

Il suo erede in maglia River, avrebbe cambiato in un’altra vita la storia del calcio mondiale, e inventato quella che oggi è una delle squadre più famose del mondo: Alfredo Di Stefano sbarca a Madrid e dopo un paio di rimproveri e due dritte convince i compagni a adottare uno stilema che produrrà prestigio e vittorie.

Al centro di quella terra dove si incrociano i cammini e il mare, Filippo II inventava Madrid e la Spagna moderna, Alfredo Di Stefano il Real Madrid e il futbol della Nuova Era.

Lì, vicino alla casa della Saeta Rubia, nello stadio intitolato al primo mecenate della squadra pluricampione d’Europa, Santiago Bernabeu (che prima voleva Pedernera, poi virò su Di Stefano) il River Plate batte il Boca Juniors e il suo modo orrendo di proporre calcio e Marcello Gallardo, tecnico della svolta, fa debuttare il suo trentesimo allievo della scuola di calcio più celebre della terra, quella che ha fatto crescere Pedernera e Di Stefano.

Si chiama Julian Alvarez, classe 2000, e il suo percorso, prima di scendere in campo per i supplementari decisivi della finalissima, aveva conosciuto solo pochi minuti in campionato, ma la Puerta del Sol, il chilometro zero delle strade di Spagna, lo conosceva già.

media Julian Alvarez nella partita del River contro Aldovisi.

Su segnalazione di un osservatore del Real Madrid, l’undicenne Alvarez viene invitato dalla Casa Blanca per svolgere un torneo in cui i Blancos stendono in finale due a zero il Barcellona, che un argentino un filo più celebre lo avevano portato in Catalogna qualche anno prima. Alvarez segna due gol, e poi riceve la telefonata di Jorge Messi, il papà del giocatore più forte della storia: “vieni da noi, qui passiamo le serate parlando del SanCor”, che sarebbe la provincia calcistica più rigogliosa del Mondo, che raggruppa i dipartimenti di Cordoba e Santa Fe, quindi pure la Rosario di Leo.

La famiglia Alvarez tergiversa poi però non firma né per il Madrid, né per il Barça e torna in Argentina. Il River Plate, che Messi lo ha sfiorato e se non era per le ruberie e i pasticci di Menem e De La Rua e il conseguente collasso dell’Argentina magari gli metteva addosso la banda rossa, qui non si fa sfuggire l’occasione e Alvarez lo porta a Nunez.

Un ragazzo nato nel 2000 diventa protagonista nella finale più importante dagli anni della fondazione dei due club più celebri d’Argentina, laggiù a sud, nel porticciolo della Boca. E’ la storia del River che si rinnova, è l’opzione per la qualità che i Millonarios hanno ritrovato, e con essa la grandezza, dopo aver conosciuto l’onta della retrocessione.

Alvarez sta giocando in questi giorno il Sudamericano under 20 con l’Albiceleste. Ha iniziato sacrificandosi sul lato sinistro e ha poi giocato dietro la punta: Julian sente il calcio, sa muoversi per il campo, riconosce i tempi di gioco, possiede il gusto di scambiare palla coi compagni, sa dove farsi trovare, sa dove trovarli: è la scuola River.

È identità, è storia.
Puro futbol, pura Argentina.

 

3 consigli: 

Luogo: L’Antonio Vespucio Liberti, il Monumental, uno stadio che meritava di vedere la finale di ritorno (l’andata si è giocata alla Bombonera). Al fianco dello stadio c’è il Museo del River: all’ingresso c’è un grande ritratto, per i tifosi del River è una vera e propria icona: sono raffigurati i cinque uomini della delantera de la Maquina, Los Caballeros de la Angustia, che provocavano agli avversari

Film: Il segreto dei suoi occhi. Racconta, attraverso un debito rimasto irrisolto, uno spaccato della società argentina. E si parla di calcio. Ad interpretarlo due totem della recitazione, Ricardo Darin e Guillermo Francesca (quest’ultimo lo trovate spesso allo stadio Presidente Peron a tifare Racing)

Libro: Gallardo Monumental, è la biografia del tecnico del River. Scritto da Diego Borinsky. Prendete anche in mano Locos por el Futbol, è una storia del calcio sudamericano: non a caso lo ha scritto il responsabile di questa rubrica...