Il talento di Lee Kang In

Il Mondiale under 20 entra nella stretta finale, oggi iniziano i quarti di finale. Le tre favorite della vigilia, Portogallo, Francia e Argentina sono state eliminate e sarà un campione inedito a sollevare la coppa il 15 giugno a Lodz. LPEF è in Polonia però anche per testimoniare circa talenti e storie che sempre la competizione giovanile più importante del gioco più bello del mondo, regala.

Una di queste riguarda un ragazzino nato in Corea del Sud, dal nome comune per le sue parti, Lee, a cui si aggiunge un meno usuale Kang-in, che ha scelto questa competizione per presentarsi definitivamente a un mondo che presto lo vedrà grande protagonista.

Nel racconto della sua storia ricorre spesso il termine “predestinato”, invece quello che dovrebbe avere più evidenza è “sacrificio”. E’ la volontà di diventare calciatore di alto livello, che in questa vicenda fa la differenza, oltre al talento naturale, ma lì c’entrano mamma e papà Lee che gli hanno donato i geni e di più, sostanzialmente la loro vita.

Un giugno caldo di alcuni anni fa, il responsabile per il reclutamento dei giovani giocatori del Valencia tramite un interprete aveva richiamato papa Lee. Voce bassa, come quando devi annunciare qualcosa che non ti va: “Le abbiamo vagliate tutte le possibilità, ma proprio non ne esiste una che il ragazzo possa trasferirsi definitivamente da noi, al Valencia. Ha un talento unico, diventerà un grande giocatore, ma il regolamento ci vieta di tesserarlo. A meno che, naturalmente voi vi trasferiate dalla Corea in Spagna.”

Papà Lee ha ringraziato per come era stato trattato il ragazzo in quelle settimane. Era arrivato a Valencia quasi per caso. Delle doti di questo baby fenomeno avevano molto parlato le tv sudcoreane, era stato invitato a un reality, tipo un “Saranno famosi” del calcio. Avendolo vinto il giovane e la sua squadra, avevano ricevuto in premio un viaggio a Manchester, dove giocava il giocatore più forte della storia sudcoreana, almeno fino all’avvento di Son, Park Ji-sung.  Di lì, il gruppo di decenni, si erano trasferito a Paterna, la sede del settore giovanile del Valencia e avevano fatto un provino, di quelli un po’ formali, tanto per. Xavi Mocholì però è subito rapito dal ragazzino più piccolo, un vero prestipedatore. Ora, di giocatori talentuosi tra i bambini se ne vedono tanti, ma l’occhio del talent scout è rapito dai dettagli, e l’innamoramento tecnico è scattato immediatamente: Mocholì parlò poi della personalità notata in quel provino: non roba da tutti i giorni. Anche perché il provino viene effettuato, ma questo si ricostruirà più tardi, coi 2000, mentre lui è nato nel febbraio del 2001: non erano presenti mediatori culturali né interpreti e il cattivo inglese di entrambi non poteva essere un compromesso adeguato tra castigliano e coreano. Nei 2000, per di più, ci giocano due super talenti cresciuti nel “Che” (il nomignolo del club, anzi di qualunque cosa giunga da Valencia, si riferisce proprio all’intercalare poi reso celebre nel mondo dagli argentini, ma gli argentini si sa, la sanno più lunga di tutti): Ferran Torres, oggi nelle rotazioni di Marcelino, e Abel Ruiz, scippato qualche anno dopo dal Barcellona e oggi in forza al Barça B, a breve esploderà.

Lì, Lee Kang-in fa un figurone e al Valencia attivano tutto il reparto amministrativo per trovare un modo di tesserarlo.

Niente.

Passano sei giorni dalla sopracitata chiamata, stavolta il percorso è contrario, l’origine è coreana, e a comporre il numero c’è il signor Lee. Che dice sì. Al Valencia se lo fanno ripetere perché non vogliono che l’entusiasmo li abbia messi sulla strada sbagliata. “Signor Lee, lei quindi decide di lasciare il lavoro per venire qui con tutta la sua famiglia a vivere?”

“Sì.” Allora sono certi. “Vogliamo dare a Kang-in la chance di diventare calciatore professionista”

In campo è subito una meraviglia, fuori un po’ meno. L’inizio è davvero complicato, la lingua è davvero una barriera invalicabile. Per cercare di capire sempre tutto, il ragazzo si porta con sé ovunque, il traduttore automatico, ma questo non fa che rallentarne l’apprendimento ed è continua fonte di imbarazzo.

Ma la disciplina del giovane coreano è davvero encomiabile. Perfetto in campo, perfetto a scuola, mai un ritardo e poi ogni volta che tocca il pallone, al Valencia si riempie il cuore: i suoi genitori avevano fatto tutto per lui, e per lui questa era una motivazione ulteriore, la maggiore di tutti. Per cui, ecco un esercizio in più, ecco una corsa in più, ecco un sacrificio in più. E tutto ciò nella testa di un ragazzino che ha appena scollinato i dieci anni.

Merce rara.

E di questo se ne accorgono tutti.

Il Valencia gli sottopone il primissimo contratto, 250 euro al mese: per la benzina e poco più. Le grandi di Spagna, e anche fuori dal Paese cominciano a interessarsi, anche perché per vedere il suo enorme talento in campo non ci vuole un genio, a certificare il tutto la crescita di trofei giovanili vinti dal Valencia.

Rufete, all’epoca direttore tecnico del club, presto gli sottopone un aumento ma alla famiglia la vera ispirazione risiedeva ancora in quella telefonata della svolta. “Grazie per come avete trattato mio figlio.”

I Lee non se ne sarebbero andati dalla città di Calatrava. Nemmeno quando da responsabile del settore giovanile, José Ramon Alexanko, ex gloria del Barça, gli impone di giocare nella categoria della sua età e non uno o due anni avanti, come aveva sempre fatto senza problemi. Solo che non tutti capiscono. E infatti il compagno di stanza di Kang-in, Nabil decide di andarsene al Manchester City; “fermate la crescita del ragazzo”, dissero al Valencia sbattendo la porta.

Il contratto del coreano venne ritoccato ma la clausola di 8 milioni era troppo bassa per quel sedicenne talentuoso, che continuava a mostrare meraviglie. Tanto che anche Alexanko dovette arrendersi, probabilmente anche per qualche consiglio superiore. E allora eccolo salire sempre più, fino al Mestalla, la squadra B del Valencia, e lì scatta anche il feeling con Marcelino, attuale tecnico della prima squadra e allenatore che ha riportato, il 25 maggio scorso un titolo prestigioso al Che, la Copa del Rey, vinta in finale contro il Barcellona. Nella lista dei convocati figuravano, da una parte Abel Ruiz, dall’altra Ferran Torres e Lee Kang-in: gli stessi di quel fatidico provino di molti anni prima.

I tre avevano già fatto bene con le loro nazionali, Lee non ha mai rinunciato alla chiamata della Sudcorea, e oggi è ancora qui a giocarsi il titolo Mondiale dopo aver messo ko l’Argentina nella fase a gironi (super gara col 10 sulle spalle) e steso il Giappone negli ottavi, la vittoria sempre più gradita per il popolo coreano.

Finita l’avventura in Polonia, Lee Kang-in sarà aggregato per il ritiro al Valencia di Marcelino. La prima squadra e il calcio vero: insomma, ce l’ha fatta, il ragazzo coreano.

Recentemente ha detto: “il Valencia è quasi la mia vita”.  Lo ha detto in uno spagnolo quasi perfetto.