Titolo del primo weekend di campionato: “Il Gattopardo”. Sottotitolo: Tutto è cambiato perché nulla cambi (anche nelle storture arbitrali).

Titolo del posticipo del lunedì: “Qualcosa è cambiato”. Sottotitolo: L’Inter parte più veloce delle altre (anche sul piano atletico). Ma andiamo con ordine (cit.).

  1. La “nuova” Juventus vince con le caratteristiche dell’ultimo lustro: solidità, applicazione totale contro ogni rivale, concretezza, umiltà nei momenti di pressione avversaria. Pressoché inevitabile, se in campo ci sono 11 giocatori che hanno contribuito ai successi di Allegri. Fa effetto che gran parte della critica pretenda subito da Sarri ciò che raramente ha chiesto al suo predecessore, salvo dopo le eliminazioni dalla Champions: ovvero gioco offensivo, possesso palla prolungato, qualità estetica e ricerca del gol anche dopo il vantaggio, che Allegri pensava soprattutto a gestire, peraltro riuscendoci quasi sempre molto bene. È comprensibile e lo condivido, perché la scelta della società è funzionale a un upgrade del gioco e le esperienze di Sarri legittimano questa aspettativa. E perché ho sempre sostenuto che allenarsi settimanalmente a un calcio più offensivo ed europeo aumenta le possibilità di successo in Champions. Però serve tempo, a maggior ragione se il tecnico toscano non può dirigere di persona gli allenamenti a causa della polmonite.

  2. Rinunciare in partenza ai nuovi acquisti è stato per me un segno di intelligenza e rispetto verso il gruppo che ha conquistato 5 scudetti consecutivi. E di tutela nei confronti di chi è arrivato in estate e ha avuto poco tempo per assimilare i nuovi meccanismi. Cosa sarebbe successo se, ad esempio, De Ligt avesse commesso un errore decisivo? Le critiche avrebbero aumentato il già notevole carico di pressione su di lui. La fase di transizione tra le opposte filosofie, da Allegri a Sarri, non sarà semplice né breve. Società, allenatore e giocatori (Chiellini: “La nuova Juve si vedrà forse solo in inverno”) ne sono consapevoli. Ma pure gli avversari lo sanno e ci sperano. È su questi “tempi tecnici” di assestamento che Inter e Napoli possono contare per aggredire il trono nei mesi iniziali e provare a conquistarlo in quelli successivi.

  3. Il Napoli ha cambiato qualcosa ma anche la sua prestazione a Firenze ha ricordato quelle del passato più e meno recente. Grandi folate, giocate armoniose, tecnica in velocità; e pure difesa ondivaga e distratta. I passaggi a vuoto lo scorso anno furono pochi ma fatali: tracollo a Genova alla terza giornata, pareggio interno col Chievo, serate senza il sacro fuoco a Belgrado in Champions e col Milan in Coppa Italia. Agli 11 punti di distacco dalla Juventus aveva contribuito anche un finale di campionato tutt’altro che adrenalinico, però il margine c’era ed è stato scavato proprio dalla continuità e dalla ferocia, che ai bianconeri non era mai mancata. Il Napoli a Firenze si è rimesso in partita anche grazie a un rigore inesistente, per poi vincerla con i tenori Insigne-Mertens-Callejon. Allo Stadium servirà di più: non solo 30’ di fuoco come l’anno scorso.

  4. Juventus-Napoli arriva presto, il derby della Capitale prestissimo. Soprattutto per la Roma. Che Fonseca ha cambiato nella mentalità ma non negli uomini: apprezzabile il coraggio, non l’applicazione dei concetti da parte di alcuni interpreti. A centrocampo l’assenza di un equilibratore (o equilibrista, viste le voragini da coprire) ha pesato. In attesa di Veretout, Pellegrini e Cristante – assist per il sontuoso 2-1 di Dzeko – hanno acceso la manovra e scoperto la difesa. Esposti alla parità/inferiorità numerica, Fazio e Juan Jesus hanno sofferto tatticamente e atleticamente. Come Florenzi, costretto a diagonali chilometriche e stremato già al 70’, quando ha chiuso in ritardo sul 3-3 di Kouamé. Merito al Genoa, personale legge del “contro-contrappasso” per Andreazzoli: gli ha ridato la Serie A che aveva tolto al suo Empoli nell’incredibile finale dello scorso campionato. Ha giocato con mentalità aperta e ha saputo reagire tre volte ai gol bellissimi di Under, Dzeko e Kolarov. Fonseca, mocassino fashion e ciuffo impeccabile, merita pazienza e fiducia: la Roma ha mostrato la stessa impronta offensiva che il suo Shakhtar proponeva in Europa. Il tempo però non lo aiuta e la Lazio, devastante in campo aperto già a Genova, è l’avversario peggiore cui concedere il contropiede.

  5. Come al suo debutto sulla panchina della Juventus, Antonio Conte esordisce da tecnico dell’Inter con 4 gol. Il Lecce li subisce a San Siro come nel 2010 contro il Milan futuro campione d’Italia e come accadde nel 2011 allo Stadium al Parma, che segnò però su rigore. Un’occasione che anche i salentini avrebbero potuto avere, se La Penna avesse punito la rischiosa spinta di Asamoah nel primo tempo. Episodio (e occasioni) del Lecce a parte, l’Inter ha giocato con la furia identitaria del suo nuovo condottiero.Non subito arrembante ma gradualmente aggressiva e a tratti straripante negli spazi, soprattutto con Lukaku.  A dispetto di una preparazione estiva deficitaria allo United, il belga ha evidenziato una brillantezza sorprendente ed appare già come il manifesto del “giocatore funzionale” al gioco di Conte. La squadra gioca con lui, lui gioca per la squadra. Non sempre con scelte e tempi giusti (opzione di passaggio sbagliata in un paio di ripartenze) ma già con grande disponibilità. L’impatto di Conte su testa, gambe e piedi dei suoi giocatori è stato come sempre impressionante per immediatezza ed efficacia. La rosa è stata migliorata rispetto all’anno scorso e i tre giocatori d’attacco più importanti sono “fuori dal progetto” (cit.): Icardi, Nainggolan, Perisic. A conferma delle difficoltà che Spalletti ha dovuto fronteggiare, in campo e fuori. E della forza societaria ritrovata. Come sempre, Conte ha scelto il posto giusto al momento giusto per il rilancio. In attesa di avversari più probanti del Lecce, la prima dose di adrenalina è stata pompata nel cuore dei tifosi nerazzurri.