Un gol da Pallone d’Oro (tranquilli: ne parliamo in fondo) per riconquistare il trono individuale e tenersi stretto quello della Liga. Lionel Messi ha piantato un’altra bandierina nel suo infinito Risiko negli stadi di tutto il mondo, segnando anche al Wanda Metropolitano dopo due precedenti senza gol. E se la partita di Champions contro il Borussia aveva rappresentato l’epifania del Barcellona di Valverde edizione 19/20, l’Imperatore è riapparso con tutta la sua magnificenza anche nella tana dell’Atletico.

  1. Per Diego Simeone, inchinatosi ad applaudire la rete del suo connazionale, questo ko assomiglia a una sentenza definitiva di esclusione dalla lotta per il titolo. È a -6 dalle due superpotenze con una partita giocata in più, a -5 dal Siviglia e addirittura fuori dalla zona Champions, ora presidiata da Real Sociedad e Athletic Bilbao. Gli episodi di domenica e i numeri del campionato fin qui confermano che il confine tra imprecisione e sfortuna spesso può essere labile. Fino alla vigilia di Atletico-Barça, i colchoneros erano secondi per produzione di chiare occasioni da gol ma solo diciassettesimi per percentuale di realizzazione. Nel primo tempo Ter Stegen si è salvato con due parate spaventose e grazie al palo sul tiro cross di Hermoso deviato da Junior Firpo. Uscito Joao Felix a metà ripresa, la produzione offensiva e l’imprevedibilità sono crollate.
    Senza il portoghese in campo, l’Atletico crea un’occasione e mezza in meno a partita.

  2. La trasformazione stilistica del Barcellona rispetto agli anni di Guardiola si è ormai compiuta in modo chiaro, però sempre nella continuità. Ovvero. Arthur, senza profanare il sacro e pur vestendo il numero 8 di Iniesta, ha raccolto l’eredità di Xavi. È il ritmista del club e della sua nazionale. Rakitic sta smarrendo il dinamismo degli anni migliori e da giocatore complementare di Busquets ne è diventato il miglior alter ego. Non a caso, dopo aver schierato De Jong da centrale nelle tre occasioni in cui era mancato dal 1’ “Busi” (3 ko) Valverde al Wanda ha scelto il croato. Che, protetto da Arthur e dall’olandese, ha dovuto coprire un raggio d’azione più limitato e ha permesso ai suoi due scudieri di accompagnare l’azione con più continuità. Il Barça ha comunque concesso e sofferto ma, in rapporto anche al valore dell’avversario, meno di quanto era accaduto nelle drammatiche trasferte di Bilbao, Granada e Valencia (1-3 col Levante).

  3. Nonostante le peripezie di inizio stagione, Real e Barcellona continuano a comandare. Si staglia all’orizzonte l’ennesima “Liga de dos”, corsa a due? Pare proprio di sì, anche perché la vittoria del Wanda, dove il Real aveva pareggiato 0-0, ha bilanciato i punti persi dai blaugrana contro squadre minori. Il Madrid ha vinto nella tormenta di Vitoria una partita di lotta, sudore e coraggio. Il simbolismo è accentuato dai nomi dei due marcatori, Carvajal e Penelope Ramos, che aveva costruito la tela con la rete dell’1-0 e stava per distruggerla con il fallo da rigore dell’1-1.

    L’anno scorso i blancos avevano perso tre partite su quattro nei Paesi Baschi e in generale erano emersi raramente vincitori da gare più lottate che giocate. Se il Real conquisterà la Liga, il successo di sabato con il centrocampo titolare delle finali di Champions di Cardiff e Kiev (Kroos-Casemiro-Modric) sarà ricordato come uno dei momenti chiave della stagione.

  4. Questo 15° turno di campionato è l’occasione per allargare l’orizzonte a squadre di medio-alta classifica, che contribuiscono a mantenere la Liga a un livello di eccellenza pari alla Premier per stile, intensità e qualità generale delle partite (non solo dei top match). Valencia-Villarreal è un derby giovane, che si è disputato per la prima volta nel 1986 e che sabato si è giocato per la 50ma volta tra tutte le competizioni. Separate da poco più di 60 chilometri, sono entità unite dalla famiglia Roig: Paco ha presieduto il Valencia a metà anni ’90, subito dopo il fratello Fernando ha acquisito la proprietà del Villarreal e Juan gestisce con successo da anni la squadra di basket del Valencia. Il Villarreal arrivava da 1 punto in 4 partite, il Valencia dal 2-2 di Champions contro il Chelsea, con rigore fallito da Parejo. Il numero 10 valencianista, tecnica sublime e passo sudamericano, ha patito il pressing furioso degli avversari. Così è nato il gol del provvisorio 1-1, con palla sottratta dal camerunese Zambo Anguissa e volata verso la porta di Cillessen. L’importanza tradizionale e specifica del derby non ha impedito lo sviluppo di un gioco entusiasmante, con lampi individuali impressionanti. Tre nomi su tutti: il 20enne esterno offensivo nigeriano del Villarreal Samuel Chukwueze e i due centrocampisti canterani del Valencia, Carlos Soler e Ferràn Torres. Quest’ultimo in estate aveva deciso la finale dell’Europeo Under 19 con una doppietta, ora è nel giro della 21 e nel derby ha segnato il gol del 2-1. Gioca a destra e a sinistra con la stessa, disarmante facilità. Il contratto scade nel 2021, il rinnovo per il club è una priorità assoluta.

  5. Chiudiamo con il verdetto del Pallone d’Oro. Alcune premesse prima del mio personalissimo cartellino (cit.) ovvero podio.

    5.1 Il premio viene assegnato da un pool di giornalisti di tutti i continenti e formalmente fa riferimento all’anno solare. Le votazioni si sono chiuse l’8 novembre.

    5.2 L’incidenza del primo semestre dell’anno solare è superiore ai mesi successivi e la tendenza a considerare l’intera stagione precedente, con la coda dell’autunno 2018 per intenderci, appare comunque evidente

    5.3 I portieri sono stati inseriti nella classifica generale ma la creazione del Premio Yashin ha sostanzialmente alleggerito i votanti dal peso di considerarli in tutto e per tutto per il premio assoluto.

    5.4 Al di là di numeri e trofei, personali o di squadra, resta una valutazione soggettiva e ogni parere va rispettato.

    Tutto premesso e considerato, il mio podio è Messi, Alisson, Van Dijk. Ritengo che Messi abbia meritato il sesto Pallone d’Oro della sua carriera, legittimato ex post dalle ultime settimane e dal lampo accecante del Wanda Metropolitano. Banalmente, anche se fuori dal periodo di voto, verranno considerate come appendice al premio di quest’anno e non come l’inizio della rincorsa a quello del 2020.

    A prescindere da questa licenza poetica, il suo 2019 è stato comunque di altissimo livello, soprattutto in rapporto alle prestazioni di squadra del Barcellona, che lui ha letteralmente trascinato, e dell’Argentina. Anche nelle sconfitte di Liverpool (5 occasioni create), nella finale di Coppa del Re (gol e palo) e in semifinale di Coppa America (palo e assist per la traversa di Agüero) è stato comunque il migliore della sua squadra. Alisson, indipendentemente dal premio di ruolo, ha rappresentato il valore aggiunto del Liverpool che era stato sconfitto a Kiev per le follie di Karius: 27 clean sheet in 51 partite tra Champions e Premier sono un dato stratosferico.

    La vittoria della Copa America, pure lì con un solo gol subìto, lo colloca nel mio personale podio un gradino sopra lo straordinario Van Dijk, difensore completo e totale, trascinatore dell’Olanda anche nella prima fase di Nations League (2 gol contro la Germania). Quella cui Ronaldo non ha partecipato, limitando il suo decisivo contributo alla semifinale contro la Svizzera.

    Nemmeno lui, al pari di Messi, è stato aiutato dalla squadra nei momenti cruciali (Ajax e Atletico, vinta quasi da solo) ma ha potuto gestirsi a piacimento nel club e con la nazionale, giocando meno partite. Nonostante questo, ha segnato con una media inferiore sia a quella dell’argentino che dei suoi anni migliori: la proiezione a fine 2019 porterebbe al peggior bilancio realizzativo personale dell’ultimo decennio, con un quarto degli assist di Messi. Non accettare la sconfitta è sempre stata la sua forza propulsiva: basterà questa delusione per rilanciarlo alla caccia del suo sesto Pallone d’Oro?