Un anno fa, dopo 5 giornate di LIGA, Barcellona e Real Madrid comandavano con 13 punti, 26 totali in due. Oggi sono separate da 4 lunghezze a favore dei blancos: 11 a 7. Hanno ottenuto 18 punti complessivi, 8 in meno del 2018/19 e appena 2 in più della loro somma più bassa dal 2000: 16 alla quinta giornata del 2001/02. Per analizzare l’ultimo weekend di LIGA, bisogna partire da qui.

  1. Quel campionato si chiuse con il trionfo del Valencia davanti al Deportivo La Coruña. Le due superpotenze si giocarono il terzo gradino del podio, occupato dal Real, e ai blaugrana restò solo il quarto posto. Cucchiaio di legno. In questi 18 anni la classe media spagnola ha resistito più che in altri paesi, l’Atletico ha rotto il duopolio e il Siviglia ha dominato l’albo d’oro dell’Europa League. Però la differenza di investimenti, oneri e onorari si è ampliata e vedere il Barcellona dietro anche ad Athletic (11 punti), Real Sociedad e Granada (10) e Villarreal (8) fa impressione.

  2. Cosa succede all’ombra della Sagrada Familia? A Granada, nella terra del palazzo arabeggiante dell’Alahambra, nemmeno l’esordio in campionato di un altro Patrimonio dell’Umanità ha evitato una sconfitta umiliante ai campioni in carica. Leo Messi è entrato all’inizio del secondo tempo, Piqué gli ha reso simbolicamente la fascia di capitano e Valverde ha ammassato tre attaccanti davanti a lui: Griezmann, Suarez e il 16enne Ansu Fati, fresco di passaporto spagnolo proprio mentre il padre dichiarava che sia lui che il figlio avevano sognato la maglia del Portogallo, il Paese che colonizzò la Guinea Bissau dove Fati è nato. Risultato? Un velo di Suarez per il sinistro centrale di Messi e poco altro. In mezzo, il fallo di mano con cui Vidal ha ingenuamente causato il rigore dello 0-2, proprio come era accaduto a Piqué a Pamplona. È finita così con il secondo ko in Liga dopo Bilbao, a certificare la peggior partenza dal 1994/95. Lontano dalla comfort zone del Camp Nou, il Barcellona si sfila il mantello di Superman e lo sguardo perso nel vuoto di Valverde ricorda quello intimidito di Clark Kent: tra la fine della scorsa e l’inizio di questa stagione, 7 trasferte senza vittoria e peggior serie degli ultimi 18 anni.

  3. Nella settimana che porterà al derby madrileno, il Barcellona tornerà subito in campo contro il Villarreal e poi viaggerà verso la capitale. Non per assistere alla sfida del Wanda Metropolitano ma per affrontare il Getafe, la squadra più ruvida e tignosa della Liga. Nel calcio di oggi, una settimana è un’eternità e possono succedere tante cose: Messi può migliorare la sua condizione, ora al 50%, Griezmann può calciare in porta anche in gare esterne (0 tiri in trasferta finora) e Rakitic e Dembelé possono ritrovare ritmo e continuità. Sono stati per settimane in partenza e poi li hanno tirati giù dall’aereo per Parigi quando è saltato l’affaire NeymarTra straniamento, motivazioni e condizione fisica da ritrovare, sono i simboli del Barça che arranca.

  4. Programmazione e orgoglio. Per ora la Liga parla basco e…andaluso. Per la prima volta dopo 14 anni, comanda per differenza reti l’Athletic Bilbao (2-0 nel derby contro l’Alaves) e insegue la Real Sociedad dei giovani talenti Isak e Oyarzabal. Ma è il neopromosso Granada, 3 vittorie e 1 pareggio, la vera rivelazione di questo avvio di campionato. Ha battuto il Barcellona con ragazzi che fino ad agosto non avevano ancora giocato in Liga, come il 23enne terzino sinistro Carlos Neva, mai titolare nemmeno in Segunda Division. Un trionfo storico, meritato premio al lavoro di Diego Martinez, 38 anni, l’allenatore più giovane del torneo. Giocava nella cantera del Celta Vigo, poi capì che non sarebbe diventato un calciatore top e si dedicò alla carriera universitaria. Allena da quando ha 25 anni, Monchi lo portò nello staff di Emery al Siviglia e l’anno scorso ha guidato il Granada al ritorno nella massima serie. Il suo motto? “Non ci sono stelle, la stella è la squadra”. Ne risentiremo parlare…
  1. Non solo una settimana, come si diceva, ma già 4 giorni possono stravolgere lo scenario nel calcio postmoderno. Il Real Madrid era uscito a pezzi dallo 0-3 di Parigi ed è rinato a Siviglia, grazie al terzo assist in 4 presenze di Carvajal e al quinto gol in cinque partite di Benzema, con movimento a elastico dal primo al secondo palo e colpo di testa in controtempo sul portiere avversario: uno spettacolo. Zidane ha dato fiducia e responsabilità agli stessi che erano crollati a Parigi con un solo ma sostanziale cambio: il ritorno del leader Sergio Ramos. Caricato dai fischi dei suoi concittadini ed ex tifosi, ha contribuito a una delle prove difensive più solide degli ultimi 13 mesi del Madrid: zero tiri in porta concessi, primo clean sheet per Courtois dopo 15 partite e quasi 8 mesi. È impensabile che campioni sulla breccia da così tanti anni come quelli di Zidane possano mantenere la stessa intensità e concentrazione per 60 partite all’anno. Il cambio di chip a seconda dell’importanza dell’avversario, più o meno consapevole, va messo in conto. Ma i blackout non possono essere sistematici, come accaduto l’anno scorso e in questo avvio di campionato. Dodici mesi fa la trasferta di Siviglia segnò l’inizio della fine di Lopetegui, ora Zizou “nella partita che mi ha soddisfatto di più da quando sono tornato” ha interrotto una serie di 4 ko consecutivi su un campo sempre avverso al Real. Il derby dirà se sarà vera riscossa.

Bonus Track. Un weekend così carico di contenuti in Spagna non deve oscurare il messaggio scandito da un altro derby, quello di Milano. L’Inter ha vinto e convinto più di quanto aveva fatto contro Udinese e Cagliari e molto di più rispetto al match con lo Slavia. Troppa differenza con il Milan, in tutto: valori individuali e collettivi, forza fisica, energia, ritmo, intensità, esperienza (impressionante Godin nella gestione del mismatch fisico con Leao). E rete fantastica di Lukaku per strapotenza fisica e tecnica applicata a uno dei suoi fondamentali migliori, il colpo di testa. Il Milan si è perso nella sfida ideologica di Giampaolo, ovvero imporre agli stessi giocatori dello scorso anno uno stile di gioco diverso. In campo dall’inizio c’erano troppi portatori di palla (Çalhanoglu, Kessie, Rodriguez, Conti e soprattutto Suso) per sperare in un calcio fluido e intenso come piace all’allenatore. Una controprova e una rivincita morale ex post per Gattuso, che facendo di necessità virtù si giocò alla pari i due derby dell’anno scorso, letteralmente fino all’ultimo secondo.