Calcio giocato e parlato, assuefazione alla vittoria, ricordarsi da dove si viene, i tempi di gioco e della festa di Juve e Barcellona, ante Messi e post Messi, avanti Cristiano e dopo Cristiano. Il Punto tra ideologie e…punti di vista.

  1. Il duello televisivo tra Massimiliano Allegri e Lele Adani su Sky Sport, al termine di Inter-Juventus, ripropone un dibattito eterno: per analizzare e criticare, è necessario aver dimostrato capacità specifiche nell’attività oggetto di critica? Ovvero, chi parla di calcio in tv deve essere stato giocatore o allenatore di alto livello per essere credibile? Secondo me esistono diversi livelli di analisi. Ci sono giornalisti altamente competenti ai quali allenatori e giocatori riconoscono autorevolezza anche perché riconoscono il limite fino al quale possono spingersi nei loro giudizi. Su un altro piano stanno gli ex protagonisti “di campo”, che in tv possono far valere la loro esperienza per giudicare e criticare. Conosco commentatori che, pur non avendo ottenuto risultati lusinghieri nelle loro esperienze da allenatori, sanno formulare analisi tecniche accurate. Per essere un buon fantino, diceva Arrigo Sacchi, non devi essere stato un cavallo. Per “sapere”, insomma, non è fondamentale “saper fare” al massimo livello. Vale per il calcio e per tanti altri settori professionali in cui esiste il diritto di critica. Ex calciatori/allenatori e giornalisti restano categorie distinte e con una formazione differente, eppure ognuna è legata alle sue ideologie/convinzioni. Il caso Allegri vs Adani, come Allegri vs Sacchi in passato, è esemplare e conferma che ormai l’ideologia è più forte nel calcio che nella politica, dove si cambiano idee e alleanze con più rapidità.

  2. Questo approccio ultra-ideologico si scontra con uno sport logico quanto imprevedibile, che dà credito alle tesi più opposte. È difficile negare che “giocando bene si possono produrre più occasioni e avere più possibilità di vincere” ed è altresì complicato contestare chi mette sul tavolo il peso dei risultati ottenuti. Nel caso del Sacro Graal della Champions League, poi, i due poli estremi di queste ideologie si ritrovano con lo stesso numero di vittorie (0) negli ultimi 5 anni e con lo stesso carico di rimpianti. Sia Allegri che Guardiola sono usciti dal torneo proprio per situazioni conseguenti al loro credo. L’eccessivo offensivismo di Pep è costato al City 2 gol nei primi 10’ al ritorno contro il Tottenham. In ossequio alla sua filosofia ne aveva concessi 6 in due partite al Monaco negli ottavi 2017 e uno decisivo in contropiede, in vantaggio e in casa propria, nella semifinale Bayern-Atletico del 2016. Parallelamente, nelle tre edizioni in cui non è arrivato in finale, l’eccesso di prudenza/equilibrismo di Allegri nei 180’ è stato punito in modi diversi e crudeli da Bayern, Real e Ajax.

  3. Dal punto di vista che mi riguarda più da vicino, ossia quello“televisivo”, credo che la legittimità delle critiche derivi dall’onestà intellettuale di chi le porta. Essere coerenti e rispettosi è fondamentale per essere rispettati. Altrettanto importante è esporre le proprie idee all’intervistato negli stessi termini in cui si parla di lui quando non è presente. E non sempre succede. Molte volte, nei dieci anni in cui ho condotto pre e post partita di Serie A e Champions League su Mediaset Premium, mi è capitato di esprimere/richiedere opinioni con gli ospiti in studio in attesa di un allenatore per la sua intervista. E poi, al suo arrivo, di dirgli esplicitamente: “Ne abbiamo parlato poco fa, abbiamo dette questo, vuole replicare?”. In questo senso la forma è anche sostanza e i modi - educato o maleducato, pacato o aggressivo, umile o saccente, fermo o ossequioso - determinano lo sviluppo del discorso e le reazioni dei dialoganti/duellanti. Allenatori e giocatori non sono pagati per accettare critiche irrispettose, maleducate o addirittura insultanti. Però si ritiene che abbiano la capacità di gestire la pressione e contrastare le critiche intellettualmente oneste con equilibrio, dialettica, a volte anche ironia. Tentare di delegittimare la controparte alludendo a sue presunte o reali simpatie per un club (metodo Spalletti) o sminuendone la competenza (Allegri vs Adani) è semplicistico e poco rispettoso.

  4. Il weekend trascorso ha (ri)proposto un altro tema interessante. Lo spunto arriva dalla Liga, che ha coronato il Barcellona campione per l’ottava volta negli ultimi 11 anni e praticamente assegnato il secondo posto all’Atletico Madrid. Il Barça ha celebrato il titolo con grande entusiasmo, alimentato dall’attesa/speranza per le semifinali di Champions e un Triplete ancora possibile. Se la Juventus avesse festeggiato il suo ottavo scudetto (in 8 anni, nemmeno 11) essendo ancora in corsa per vincere la Champions, il coinvolgimento emotivo dei suoi tifosi sarebbe stato diverso da quello percepito nel giorno del 2-1 alla Fiorentina. I tempi - del gioco che della festa – fanno dunque la differenza. Il tempo dei successi rischia anche di far dimenticare ad alcuni tifosi da dove si viene. Il caso dell’Atletico Madrid è emblematico: sta per ottenere il decimo secondo posto della sua storia, unito a 10 successi, di cui uno negli ultimi 23 anni. In sostanza è stato fuori dal podio per 68 edizioni su 88 di Liga. Oggi ha 9 punti in più del Real ma una parte dei suoi aficionados è infelice: il ciclo del Cholo Simeone li ha abituati troppo bene? Una Liga, il confronto cittadino rimesso in discussione dopo decenni di sottomissione al Real, una Coppa del Re, due Europa League, due finali di Champions: di fronte a questa gioielleria, un secondo posto può essere motivo di insoddisfazione? La mia risposta è no, in senso assoluto e anche relativo alla forza dell’ultimo vincitore, il Barça dell’Imperatore Leo Messi. Altro è contestare il modo in cui questo risultato è arrivato: cioè con prestazioni spesso speculative, con 8 vittorie per 1-0 (56 totali in campionato nell’era Simeone!). Le ha spesso valorizzate il formidabile Oblak, miglior portiere del mondo in questo momento con Ter Stegen, finché i limiti di qualità offensiva non sono stati smascherati dai ko nel derby di ritorno, al Camp Nou e sì, anche a Torino. Il popolo colchonero aspettava questa Champions quasi come diritto divino, con la finale nel suo stadio. Il Cholismo ha portato l’Atletico al limite dei suoi limiti ed è imploso nei momenti clou della stagione, vittima del suo stesso essenzialismo.

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  5. Dopo un Mondiale deludente, Lionel Messi è tornato splendido e splendente. Ha segnato e deliziato, assistito e servito, corso e rincorso. È lui che ha reso normale lo straordinario.

 

Nella storia del calcio, esiste un a.M. (ante Messi) e p.M. (post Messi). Prima del suo arrivo, il Real Madrid aveva 11 titoli più dei blaugrana: oggi, nonostante l’epoca d’oro di Ronaldo, ne ha 3 in meno.

 

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Bonus track. Esistono anche un’epoca a.C. (avanti Cristiano) e una d.C. (dopo Cristiano). Era dal 2008/09 che il Real Madrid non perdeva 10 partite nello stesso campionato. Ronaldo doveva ancora sbarcare alla Casa Blanca, che dal suo addio ha perso la guida tecnica e spirituale. Zidane è tornato per gratitudine a Florentino Perez, senso di appartenenza, gratificazione economica, coraggio. Oggi più che mai, in attesa dei botti estivi, la sua scelta si preannuncia la più affascinante e rischiosa della prossima stagione.