Sbattere la testa contro un muro. Fa notare, ogni anno, l’esaltazione che possono procurare i playoff della NHL rispetto alla prevedibilità di quelli NBA - stesso periodo, per questo si fa il paragone - e vedere però che il messaggio in molte nazioni non passa. Questione di approccio, questione di gregge, di conformismo che corre dietro agli urli e alle mode, e certamente la NHL ha sempre faticato ad esserla. Meglio così, per molti versi, ma dispiace vedere che solo alcuni paesi al mondo riescono ad apprezzare la bellezza senza fiato della postseason dell’hockey su ghiaccio. Poi, ci sono i dissidenti… interni, peraltro finti: un sito ben fatto come ozy.com, che ha da poco aperto una sezione sportiva, si chiede se un equilibrio come quello che si vede anno dopo anno sia davvero utile alla causa della Lega, notando che il commissioner della NBA Adam Silver avrebbe già lanciato un segnale di allarme in caso di eliminazione precoce dai playoff di superstar come Giannis Antetokounmpo e Steph Curry. Un elogio travestito da critica: la NHL si fonda sulla squadra e sul gioco di squadra e ogni partita di playoff - citiamo - «può essere decisa da un qualsiasi barbuto», mentre dall’altra parte ci si aspetta sempre che sia la stella di turno a togliere le castagne dal fuoco, in casi memorabili come il canestro da 11 metri di Dame Lillard che ha promosso Portland a danno di Oklahoma City.

 

Ora, dai playoff NHL sono già usciti personaggi importanti, ma non è questione di strategie: hanno perso, e basta. Anche Silver fossero usciti (e uno rischia di farlo adesso) i due giocatori di cui sopra potrebbe in realtà fare poco. Perché il bello delle leghe professionistiche americane non è solo che il campo decide, ma che decide in base a politiche di mercato dettate dal primario interesse dell’equilibrio competitivo. È noto ma vale ripeterlo: là non possono esistere la Juventus o il Bayern di turno, che fagocitano puntualmente i nuovi giocatori di talento dei club piccoli perpetuando il proprio potere, e soprattutto i cosiddetti club piccoli di fatto non esistono, perché se competono nelle leghe hanno una base di pubblico e sostegno economico che consente loro, se ben gestiti, di battere i grandi. Che dire ad esempio dei Carolina Hurricanes? Etichettati come ‘branco di idioti’ da Don Cherry, ex coach e notissimo commentatore televisivo - che a dire il vero da molti detrattori viene descritto più allo stesso modo… - per i festeggiamenti preordinati ed esagerati dopo un gol e una vittoria, sono entrati ai playoff in maniera avventata, come squadra wild card, e hanno eliminato al primo turno Washington. Oltretutto in sette partite: e con gara7 a Washington, vinta 4-3 dopo due tempi supplementari. Come dire che il branco di idioti tanto idiota non è, e sicuramente possiede gli attributi. Tanto da avere aperto il secondo turno di playoff con due successi esterni su due, a New York, o meglio Brooklyn. In gara2, domenica, vantaggio degli Islanders nel primo periodo poi pareggio e sorpasso di Carolina nell’arco di 48 secondi del terzo, nonostante l’uscita per infortunio del difensore Trevor Riemsdyk dopo pochi minuti, e dell’attaccante Saku Maenalanen verso fine gara. Ma soprattutto era dovuto uscire il portiere Petr Mrazek dopo 6’ del secondo tempo, e il suo sostituto Curtis McElhinney ha avuto 17 parate. Di fatto, ora gli Hurricanes hanno vinto le loro ultime quattro partite di playoff e sei delle ultime sette, dopo avere iniziato 0-2 la serie contro i campioni in carica di Washington. Ora si torna a Carolina e l’ambiente sarà assurdo, memorabile. E gli Islanders, che non hanno l’ottimo difensore Johnny Boychuck per l’intera serie, non possono più attaccarsi alla superiorità dimostrata durante la regular season: nel primo turno, cinque delle otto squadre che avevano il fattore campo favorevole sono state eliminate, e lo 0-2 a Brooklyn racconta già tutto.

 

Nelle altre serie, 1-1 ovunque. E in TUTTI e tre i casi chi giocava in casa - a proposito - ha vinto gara1 per perdere poi gara2. Nel caso dei Boston Bruins, rimasti ora la squadra con la miglior classifica di regular season ancora in corsa per vincere il titolo, addirittura in doppio overtime, contro Columbus. Imprevedibilità, come sempre. Una disperazione per chi deve fare pronostici, una manna per chi vuole, ogni giorno, una sorpresa.

 

LA NOTIZIA DELLA SETTIMANA. Gara7 di una grande serie tra San José e Vegas. A metà del terzo periodo Vegas vince 3-0, c’è un ingaggio tra il centro degli Sharks Joe Pavelski e il suo pari ruolo Cody Eakin, che lo perde ma subito spinge l’avversario con la stecca tenuta orizzontale. Pavelski si sbilancia all’indietro, finisce contro Paul Stastny dei Golden Knights e cade sul ghiaccio di faccia, restando immobile e cominciando a sanguinare. Gli arbitri parlano tra loro poi infliggono a Eakin una penalità di cinque minuti per aver colpito alla testa l’avversario: sbagliato, perché il colpo era arrivato all’altezza del petto. In quei 5’ di superiorità numerica San José segna quattro gol, anche se Vegas pareggerà portando la partita al supplementare, ma nell’overtime segnano e passano gli Sharks. A distanza di alcuni giorni, la NHL si è scusata con i Golden Knights per l’errore arbitrale, decretando inoltre che due arbitri di quella partita, Dan O'Halloran e Eric Furlatt, non vengano utilizzati per il secondo turno, aspetto particolarmente grave nel caso del primo, che ha all’attivo 212 partite di playoff. Come hanno reagito a Vegas? Ecco qui il general manager George McPhee: «Ringraziamo per le scuse ma non perderemo il sonno per questa polemica. Non faremo le vittime. In partita succedono tante cose, quello che faremo è staccare lo specchietto retrovisore e guardare solo avanti, pensando a come migliorare la squadra. Non gireremo con una valigia piena di ‘ieri’». Serve altro? Beh, ad esempio notare che una volta raggiunto il supplementare Vegas poteva tranquillamente vincere e non l’ha fatto, ad armi pari, e che era andata in vantaggio 3-1 nella serie e l’avrebbe potuta chiudere in gara5 e gara6, ma non ci è riuscita. Deve insomma prima di tutto prendersela con se stessa e dunque McPhee, al contrario di esponenti di altri sport in altre nazioni, non si è attaccato a una decisione arbitrale, per quanto ingiusta, per coprire i propri errori.

 

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