Inizia febbraio, è alle spalle anche l’All-Star Game con le sue peculiarità, ed è comprensibilmente il momento in cui si possono separare le squadre vere da quelle che finora hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi. Sia chiaro, sono ‘vere’, in uno sport così serio e fisico, tutte, ma alcune si staccano e prendono il passo dei playoff già prima. Lo scorso anno, ricorderete, a inizio gennaio i St.Louis Blues erano la peggior squadra della NHL, mentre cinque mesi dopo alzavano il trofeo di campioni: ma si tratta di un caso unico, di quelli per i quali occorrerebbe scrivere ‘non provatelo a casa’ perché irripetibile.

E non per nulla in questa stagione gli stessi Blues sono partiti bene e bene stanno proseguendo, primi con discreto margine nella Central Division della Western Conference nonostante l’infortunio dell’ala russa Vladimir Tarasenko, fermo da fine ottobre per un guaio alla spalla e disponibile al rientro solo per aprile, in tempo per i playoff. È come se St.Louis avesse messo una marcia in più, negli ultimi 13 mesi, e fosse quasi indifferente agli incidenti di percorso.

Ma non è così, ovviamente, e a livello assoluto la prima squadra NHL al momento è Washington, con i soliti nomi capeggiati da Alex Ovechkin, che per tenersi fresco per gli ultimi mesi ha saltato il del resto inutile All-Star Game. Qualche dilemma sul portiere, con Braden Holtby ultimamente un po’ distratto e la sostituzione temporanea con il debuttante Ilya Samsonov, 22 anni, russo come Ovechkin. Washington è la vera favorita ad Est nonostante l’incombere dei Boston Bruins, finalisti lo scorso anno: rendimento simile, roster simile ma un David Pastrnak, che al conteggio della serata di giovedì 30 gennaio aveva 70 punti, cioé 37 gol e 33 assist. E Pastrnak non ha neanche 24 anni, garanzia di un rendimento di alta qualità per tanti anni ancora.

All’appello mancavano, all’inizio, i Tampa Bay Lightning, che però hanno risalito bene la scaletta e al momento sono secondi nella Atlantic, dietro a Boston, oltre ad esserlo pure nella statistica chiamata PDO: è la somma della percentuale di tiri e di parate, ed è una misura non particolarmente affidabile a lungo termine ma interessante nel breve periodo. Il guaio, per Tampa Bay e Colorado (che è prima nella lista) è capire se ‘breve’ coprirà anche i playoff. Nel caso della squadra della Florida, del resto, c’è la recente esperienza di una regular season dominata e di una immediata, disastrosa eliminazione nei playoff, per cui

Prevedibile che continui anche la risalita dei Pittsburgh Penguins, che hanno appena ripreso nel gruppo Sidney Crosby, assente da metà novembre a metà gennaio. Fuori lì, ed acciaccati altri, Pitt aveva l’obbligo di non restare troppo indietro per poi riprendere la corsa a organico ripristinato, ed è esattamente quello che è successo: dal 13 gennaio, data del rientro, Crosby ha cinque gol e tre assist, con una media sul ghiaccio di circa 20 minuti, identica a quella pre-infortunio. Retorica vorrebbe che si dicesse che una Pittsburgh in piena forma può fare paura a tutti, ma retorica e dato di fatto sono nemiche, e il timore dei tifosi Pens è che stavolta vincano i dati di fatto.

Pacific: tre canadesi in testa, con Vancouver, Calgary ed Edmonton, ma nessuna garanzia perché l’attuale distacco tra i Canucks e San José, fuori da zona playoff e wild card, è di soli 14 punti, mentre sono solo cinque quelli di vantaggio su Vegas, ultima squadra che ora sarebbe dentro. Vancouver è una squadra giovane e spettacolare, capace di giocare a velocità che generalmente la portano a vincere e ogni tanto a perdere, per incapacità di gestire i ritmi. Per cui non c’è certezza che possa mantenere l’andatura o che abbia la costanza necessaria.

Il caso di Edmonton è diverso: due giocatori su tutti, Connor McDavid e Leon Draisatl, e un gruppo attorno che si fa trascinare, ma è chiaro - almeno in questo momento - che gli Oilers, che bramano un titolo ormai da 35 anni e dal 2016 giocano nel Rogers Place, impianto che sembra fatto apposta per celebrare una Stanley Cup. Possibile che la certezza di playoff arrivi dall’esito di una delle tante Battaglie dell’Alberta, lo stato canadese di cui Edmonton è capitale ma che annovera anche Calgary, avversaria di questi ‘derby’.

E a proposito: lo scorso anno i Flames avevano vinto l’Ovest in regular season poi erano stati spenti (…) nei playoff, stavolta l’inizio è stato incerto, come se il gruppo si rendesse conto (erroneamente) che si può anche partire lenti, e dopo un po’ è arrivata anche l’uscita di scena del coach Bill Peters, coinvolto in accuse di linguaggio discriminatorio e licenziatosi il 29 novembre. Il suo sostituto, Geoff Ward, ex giocatore ma anche ex… maestro elementare, ha stabilizzato la situazione, dato fiducia e preparato Calgary ad aggredire i playoff con minori attese, e dunque minore ansia.

Era inevitabile, giustamente, che la morte di Kobe Bryant avesse ripercussioni anche nella NHL. Sono due leghe molto lontane su parecchi fronti, ma nel concreto quasi tutte le squadre di hockey che giocano in città con club NBA lo fanno nella medesima arena, e nel caso di Los Angeles è stato in comune fino al 2017 anche l’impianto di allenamento, il Toyota Sports Center, con pista di ghiaccio e parquet: frequentissimi gli incroci tra Kobe, che si era ritirato nel 2016, e i colleghi dei Kings.

Che in occasione della partita di mercoledì contro i Lightning, primo evento sportivo allo Staples Center di L.A. dopo la tragedia, si sono presentati tutti con una maglia numero 24 dei Lakers, mentre i giocatori della squadra ospite indossavano una t-shirt viola con un cuore giallo, i numeri 24 e 8 sovrapposti e i nomi ‘Kobe’ e ‘GiGi’, la figlia tredicenne. Commovente anche l’omaggio video, della lunghezza di quasi nove minuti, che ha cercato di dare bellezza e dolcezza a un dramma umano e familiare che - al di là delle legittime riserve sul minor peso dato alle altre vittime - è diventato davvero planetario.

 

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