La solita solfa, i soliti numeri a coprire il nulla, le solite statistiche: quanti chili di avocado sono stati schiacciati per fare la salsa guacamole in cui milioni di americani intingeranno tacos letali per la salute? Com’è come non è, dieci giorni fa un quotidiano messicano ha pubblicato in prima pagina la velina dei produttori, e tutti hanno capito che era ufficialmente iniziato il Super Bowl. Perché poi funziona così, perché poi la festa del sublime e del ridicolo evidenzia entrambi i lati con continuità assurda. Pensiamo al Super Bowl del febbraio 2013: Ray Lewis, linebacker e leader dei Baltimore Ravens, si riprende in tempi stretti da un brutto infortunio al gomito, e si appresta a giocare la finale contro San Francisco. Ha già annunciato il ritiro - era entrato nella NFL nel 1996 - e vuole uscire di scena alla grande. Capitano della squadra, ha tutti gli occhi addosso, per l’ultima recita e per il recupero pieno dall’infortunio. Roba seria, roba sublime, sportivamente e giornalisticamente parlando. E cosa accade? Che il giovedì, o forse venerdì, in sala stampa si diffonde la voce che fuori ci sia un tizio che possiede la sostanza, forse non lecita, con la quale Lewis ha potuto curarsi più rapidamente del previsto. Fuggi-fuggi dalla sala, tutti in strada dove il suddetto, uscendo da un’auto parcheggiata in modo precario, comincia a sventolare una bottiglietta di un estratto di corna di cervo magnificandone le doti curative. La scena dura parecchio, e trasforma il sublime nel ridicolo, in un batter d’occhio. Il tizio, a dirla tutta, sembrava uno di quei venditori che nel vecchio West cercavano di rifilare agli ingenui astanti olio di serpente in grado di far guarire da ogni male, ma questo è solo uno degli episodi curiosi che nascono dentro e attorno all’assurdità chiamata Super Bowl, e che lo caratterizzano al punto da permettere all’autore di questo articolo - che dal vivo ne ha visti tanti - che il Super Bowl va diviso in due: la settimana che lo precede, e la partita in sé.

 

La settimana del pre è un carnevale che la NFL cerca di gestire galleggiando un pelo al di sopra del minimo di dignità. Non negli incontri tra squadre e media, organizzati con cura quasi ossessiva e a volte un po’ rigida, ma nel resto. Una miscela di politicamente corretto - le classiche donazioni a scuole locali - e spettacolare, come le conferenze stampa degli artisti che si esibiranno nel prepartita o nell’intervallo, adatta a fasce di pubblico di ogni tipo, ed è anche per questo che il Super Bowl è così coinvolgente. In tutto questo, gli squarci di sport sono notevoli, non si perdono nel mare magnum degli eventi. Una divisione forte tra spettacolo e sport, che fa bene ad entrambi, a giudicare dalla competenza con cui vengono affrontate dalle varie emittenti e dai vari siti web le questioni tecniche e tattiche. E nella grande sfida tra Kansas City Chiefs e San Francisco 49ers, che si gioca domenica sera a Miami (collegamento in streaming su Dazn e sul canale 20 del digitale terrestre dalle 23.55), tali questioni abbondano.

 

La prima, fin troppo immediata: la difesa dei 49ers è stata efficacissima nei playoff, soffocando le intenzioni dei quarterback avversari Kirk Cousins e Aaron Rodgers, ma sarà così anche contro Pat Mahomes, che al contrario dei colleghi ha gambe fresche, capacità di improvvisazione e funambolismo tali da permettergli di lanciare con efficacia anche quando ha difensori alle calcagna? È realmente il tema più gettonato, il più immediato, il più forte, perché Kansas City ha un attacco rapido su due fronti: la rapidità intrinseca di molti giocatori e la capacità di segnare velocemente, in un arco di tempo ristretto, come è accaduto nel momento in cui i Chiefs in meno di un quarto di gioco sono passati dallo 0-24 al 28-24 nella prima partita di playoff, contro Houston. Il compito della difesa di San Francisco, dunque, e specialmente quello degli uomini di linea, fortissimi, non sarà solo quello di arrivare addosso a Mahomes, ma di farlo per tutta la partita: molli un attimo e prendi touchdown, e si badi che questo succede contro poche squadre, ma KC è tra queste.

 

Detto ciò, spesso nei Super Bowl l’elemento tattico più facile è quello che alla fine conta meno, perché se persino noi poveracci siamo in grado di analizzarlo figuriamoci gli staff delle squadre. Lo scorso anno, ad esempio, i lanciatissimi Los Angeles Rams, prolifici in tutta la regular season e playoff, segnarono la bellezza di… tre punti al Super Bowl, inchiodati da una preparatissima difesa dei New England Patriots. È il motivo per cui spesso le finali portano in superficie giocatori inattesi e storie inattese: due anni fa Philadelphia-New England (quella 2020 è la prima edizione dal 2015 senza i Patriots) fu contrassegnata da un’azione a sorpresa, detta Philly Special, che gli Eagles effettuarono con grande efficacia pochi secondi prima dell’intervallo, lasciando gli avversari a rimuginare per tutto il tempo del concerto e del riscaldamento prima del secondo tempo. Le squadre NFL hanno, nascoste nella memoria dei coach, azioni speciali, da far giocare una volta l’anno o anche meno di frequente, e quando riescono nel loro intento possono cambiare la sorte di una partita: proprio in questo sta l’imprevedibilità di una sfida che è impossibile da pronosticare.

 

Shoot-out, come dicono gli americani, cioé partita incerta ma ad alto punteggio, in cui gli attacchi segnano quasi sempre? Una gara invece in cui gli attacchi trovano difese preparatissime e non riescono a muoversi? Un normale svolgimento con attacchi di saltuario ma decisivo avanzamento verso l’area di touchdown? Ma non lo potrebberi indovinare neppure Kyle Shanahan o Andy Reid, cioé i due coach, figuriamoci noi mortali. A proposito di nomi, manca quello del collega e avversario indiretto di Mahomes: Jimmy Garoppolo. Italiano (e un po’ greco) di origini, viso sereno e scuro di uno che in Italia del sud o in Grecia abbia trascorso vacanze su vacanze, è in realtà nato e cresciuto in Illinois e ha fatto il college a Eastern Illinois, un ateneo minore ma produttore di altri personaggi famosi come Tony Romo, ex quarterback dei Dallas Cowboys e ora superbo commentatore televisivo, e Mike Shanahan… padre di Kyle, per la serie il mondo non è piccolo ma l’America sì. Garoppolo è per assurdo un punto di domanda di questo Super Bowl: nelle due partite di playoff ha lanciato in totale solo 27 volte, e con discreta efficacia, perché i 49ers hanno distrutto gli avversari con le corse - alla mano, per usare una similitudine rugbistica forse nemmeno precisa - e dunque non c’è stato bisogno del suo braccio. Ma allora una domanda, l’ennesima a cui si vedrà la risposta domenica, è questa: che succederà se i Chiefs faranno di tutto per fermare le corse di Raheem Mostert, Matt Breida e - se ripresosi dalla brutta grana alla spalla - Tevin Coleman, costringendo San Francisco ad affidarsi in modo massiccio a Garoppolo? A proposito di tattica, a proposito di imprevedibilità, a proposito di sublime e ridicolo, che al Super Bowl si sposano e fanno pure figli.

 

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