A rileggerla, riparlarne, scriverla di nuovo, è sempre un’emozione, consapevoli forse che di favole così difficilmente ne rivedremo.

Bergamo, stadio Comunale, 12 maggio 1985.

Temperatura “british”, stadio stracolmo, squadra al completo: è tutto perfetto per l’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli, a cui basta un solo punto per conquistare matematicamente quella che sarebbe la vittoria della storia.

La Dea passa in vantaggio grazie ad un’invenzione di Roberto Donadoni sulla sinistra, che mette capitan Perico nelle condizioni di dover solamente spingere la palla in rete a porta vuota. Ma l’Hellas non ci sta, e al quinto del secondo tempo, su una sponda di Galderisi, Elkjaer “spacca” la porta regalando il pari che sa di scudetto.

Una squadra tosta quella del “mago della Bovisa” Bagnoli, che ha saputo guidare sapientemente una squadra sì umile, ma coesa e piena di talento.

A partire dal numero 1 Claudio Garella, destinato poi a conquistare un altro tricolore nel 1987 con il Napoli di Maradona, artefice durante l’anno di parate fondamentali (una su tutte quella sul colpo di testa di Mark Hateley).

Passando poi per i difensori Tricella, Fontolan, Marangon e soprattutto Hans Briegel, una montagna di muscoli al servizio della squadra e autore di ben dodici marcature.

Per non parlare dei centrocampisti Sacchetti, Volpati, Di Gennaro e il “fantasista”/ala Pietro Fanna, capaci di abbinare quantità e qualità.

Fino ad arrivare al già citato tandem delle meraviglie di attaccanti: Giuseppe Galderisi, detto “Nanu”, capocannoniere di quell’incredibile stagione gialloblu con 11 goal in 29 partite e il gigante danese Preben Elkjaer, otto gol e tante “sportellate”.

Il centravanti scandinavo fu colui che con il gol all’Atalanta decretò ufficialmente la vittoria dello scudetto per il Verona, ma anche quello dell’indescrivibile gol realizzato alla Juventus calciando senza una scarpa… Sì, senza una scarpa, tutto documentato!

Niente di speciale direte per uno soprannominato “Cavallo Pazzo”, non avete torto.

In quel magico 1985, quel pazzo danese fu secondo solo a le roi Michel Platini nella classifica del Pallone d’Oro. Altri tempi davvero…

L’indimenticabile stagione si aprì il 16 settembre 1984 con la netta vittoria per 3-1 sul Napoli del neo acquisto Diego Armando Maradona, alla sua prima partita in serie A.  

La prima sconfitta arriverà invece soltanto nell’ultima gara del girone d’andata, allo stadio Partenio, contro l’Avellino di Ramon Diaz che lotta per non retrocedere (alla fine gli irpini si salveranno).

I più maligni iniziano con i soliti «normale che prima o poi perdesse»,«è durata fin troppo», «non può lottare per lo scudetto»…

Sulla carta non poteva lottare per lo scudetto, ma l’Hellas non lo sapeva e continuava a macinare gioco e punti.

Lo vincerà con 4 punti di distacco (43 punti totali, nell’era dei due punti a vittoria e in un campionato a 16 squadre) su un altrettanto stoico Torino allenato da Gigi Radice (arrivato secondo a 39), e cinque sull’Inter guidata da Ilario Castagner.

Sì, era tutto vero: il 12 maggio di trentacinque anni fa il piccolo Verona di Bagnoli diventava campione d’Italia, entrando di diritto nella leggenda.

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