E’ il weekend dello scudetto, del record e pure delle riflessioni. Festeggia la Juventus, si autoflagella la Lazio, si accontenta (e gode) l’Inter. Buona lettura e buona Pasqua a tutti.
 

  1. La Juventus scrive la storia della Serie A con l’ottavo scudetto consecutivo. Una pietra miliare ancor più imponente se si pensa che tutto è ricominciato nel 2007, appena 12 anni fa. Dalla Serie B al privilegio di potersi conquistare e godere Cristiano Ronaldo. No, non è stato facile né scontato. Chi pensa che vincere sia semplice, semplicemente non è un vincente. Questo campionato è stato dominato con la sola imposizione…dei piedi. Di Ronaldo, fuori categoria per la Serie A. E di una squadra solida, consistente, tremendamente efficace nell’azzannare i momenti che decidono le partite e la stagione. Le avversarie ne sono state soggiogate o l’hanno aiutata? Nel calcio come in amore tutto si fa in due. La Serie A “non allenante” è un falso storico: è il pubblico che non è allenato a vedere la Juve aggredita, pressata e sovrastata nel possesso palla e per questo ci si sorprende quando accade in Champions. Nè la Juve è allenata a giocare per segnare anche quando il risultato è al sicuro: sull’1-0 Barcellona, Liverpool, Manchester City e Tottenham non gestiscono, attaccano. Questione di stile, coraggio ovvero di eccessi di prudenza che tante medio-piccole pagano in Serie A e che i bianconeri hanno pagato in Europa.

  2. Allegri ha dato alla sua squadra un’impostazione molto italiana, nel senso positivo della ricerca dell’equilibrio. Sapersi adattare all’ambiente esterno e agli avversari è una dote che ci contraddistingue nel lavoro e nel calcio. Quando la estremizziamo, sfocia però in italianismo. E così la capacità di arrangiarsi diventa ricerca dell’espediente e lo studio “dell’altro” limita la nostra organizzazione/creatività. Vedo molte analogie con la Juventus di Capello, individualmente più forte di questa e allo stesso modo dominante in Italia e poi annichilita in Europa sul ritmo, la qualità e il gioco collettivo. E anche con l’Inter di Mancini che, come Allegri all’inizio di questa stagione, partì con un progetto offensivo e finì per affidarsi al totem Ibrahimovic. A volte, vederci come ci vedono gli altri può aiutare a migliorare la prospettiva e anche i risultati. Gli elogi che la Juve ha ricevuto dopo la strepitosa esibizione contro l’Atletico hanno reso l’idea di quanto il “come” si gioca possa influire sui giudizi. Per questo, contro l’Ajax è stato un fallimento per tre motivi: 1) le enormi aspettative dopo l’acquisto di Ronaldo, la rimonta negli ottavi e il sorteggio dei quarti, che aveva evitato incroci con tante big; 2) l’intensità di gioco limitata nonostante la passerella della squadra B a Ferrara e settimane in cui si è detto che si stava caricando la preparazione in vista della volata europea; 3) i modi: più attenzione all’avversario che alla propria proposta di gioco, la malagestione del caso Benatia, l’incongruenza tra investimento estivo e utilizzo primaverile di Cancelo, secondo giocatore più pagato ad agosto dopo Ronaldo (40 milioni) e in panchina sia a Madrid che al ritorno contro l’Ajax.

  3. Il 35mo titolo è l’essenza della filosofia di Allegri: si è divertito così tanto a comporre e scomporre il suo “Cubo di Max” che a parte Ronaldo, nessun altro giocatore d’attacco ha marchiato tutta l’annata con il suo nome.

 

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Mandzukic è stato decisivo nella prima parte del torneo come Dybala in quello scorso: il gol alla Mandzukic, testata sulle spalle del terzino avversario, ha deciso i big match contro Milan, Roma e Inter. Poi il croato si è eclissato esattamente come nell’inverno 2018 ed è stato addirittura Kean a piazzare l’allungo finale. Con l’esuberanza e la spensieratezza dei giovani, ha segnato e fatto sognare. Altri hanno alternato periodi di gloria a momenti bui. Bonucci si è ripreso dopo le difficoltà iniziali, Cancelo si è perso dopo gli slanci d’autunno, Pjanic si è confermato insostituibile ma meno continuo della passata stagione. Proprio lui, Bonucci e Chiellini, ko dopo mezz’ora, mancavano nel crollo di Bergamo in Coppa Italia. E con il bosniaco presente con la testa ma non con le gambe, la squadra è andata fuori giri contro l’Ajax. E’ infine il primo scudetto senza Buffon. Che lo ha sentito comunque – comprensibilmente— ancora un po’ suo.

 

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Szczesny, sul podio dei migliori della stagione dopo Chiellini e CR7, lo ha sostituito egregiamente. Oggi sembra scontato, ad agosto non lo era. Come (stra)vincere l’ottavo scudetto consecutivo.

  1. La lotta Champions perde virtualmente una concorrente. L’autolesionismo della Lazio si è sublimato nella follia di Milinkovic Savic, nell’occasione più mister Savic che dottor Milinkovic. 35’ di nulla contro il Chievo già retrocesso fino al calcione di reazione al polacco Stepinski. Un giocatore di questo valore, così importante per la sua squadra, non può permettersi tanta follia nel momento cruciale della stagione. Già dopo i Mondiali la taglia da 80-100 milioni era apparsa esagerata. E’ vero, è uno dei giocatori più entusiasmanti del campionato perché al talento unisce grande esuberanza fisica, eppure difetta di continuità e leadership. La Serie A dunque si è confermata un parametro limitato per valutare un giocatore. Il trampoliere serbo ci ha regalato perle notevoli, gol e assist, ma in fondo non lo abbiamo mai visto all’opera in Champions. Prima del golpe all’Olimpico, il Chievo aveva battuto solo il Frosinone e ottenuto due punti nelle precedenti 13 partite. Il trappolone della vigilia si è rivelato tale e Simone Inzaghi saluta il sogno ben prima del traguardo. La crescita di Correa non ha compensato la regressione di Immobile (metà gol e assist dell’anno passato, con l’attenuante di 8 pali colpiti) Luis Alberto e appunto Milinkovic Savic. Un punto tra SPAL, Sassuolo, Milan e Chievo è troppo poco per ambire alla grande Europa.

  2. La zona Champions è il torneo della consolazione per le rivali estive della Juve, che ad autunno avevano già abbandonato le ambizioni scudetto. Un girone infernale con premi veri in denari della UEFA, così consolatorio che tutte hanno compensato le loro carenze con le difficoltà altrui. In attesa dell’Atalanta, perde la Lazio e pareggiano le altre. L’andamento del Milan tiene viva la speranza della Roma, che a San Siro dura 60’, insomma va piano e non va nemmeno lontano. Ranieri però resta in corsa e almeno risolto due dei maggiori equivoci: per scelta il portiere (Mirante meglio dell’inaffidabile Olsen) e per necessità (infortunio del capitano) la convivenza Nzonzi-De Rossi. Alla fine del sabato del villaggio si accontenta e gode soprattutto l’Inter: appena due punti in 3 scontri diretti casalinghi con Lazio, Atalanta e Roma ma un equilibrio tattico e ambientale ritrovato. Al torneo della consolazione, c’è chi ha meno motivi per sorridere…