Il razzismo logora chi lo ignora, la Champions continua a logorare chi ce l’ha. Il doppio messaggio che arriva dal weekend di Serie A è forte e inequivocabile. Eppure la commedia degli equivoci, dopo gli episodi di Verona, continua.

  1. Da anni frequento gli stadi d’Italia e d’Europa, unendo il dovere al piacere. Ho assistito anche a episodi di razzismo, cori di discriminazione territoriale, scioperi del tifo di vario genere. Non ho problemi ad affermare che non sempre, dalla tribuna e per di più con le cuffie da telecronaca, ululati, buu e insulti si percepiscono in maniera nitida. E spesso anche da bordocampo non è semplice distinguerli e individuarne la provenienza. Però questo non può sminuire nemmeno in minima parte ciò che accade, come a Verona. Anche un numero minimo di persone e atti razzisti deve essere condannato in maniera ferma, assoluta e totale: uno vale cento, mille, diecimila. Gli strumenti tecnologici a disposizione, per quanto costosi, devono essere utilizzati per individuare gli esecutori di tali scempi. Non era forse solo uno il “tifoso” del Liverpool che insultò Evra nel 2012 mimando gesti da scimmia? Venne individuato e punito con il divieto di entrare negli stadi per 4 anni.
  1. L’Inghilterra viene giustamente considerata un modello per come persegue la civiltà con il massimo rigore. Però è un percorso culturale impegnativo, che richiede coraggio da parte di dirigenti, allenatori, calciatori, media. È così nel nostro Paese e anche oltremanica. Proprio ai tempi degli insulti di Suarez a Evra, i giocatori del Liverpool si schierarono a fianco del compagno squalificato per 8 giornate, vestendo una maglietta con la sua immagine. Otto anni dopo, Jamie Carragher ha ammesso pubblicamente che fu un errore. Suo, dei compagni e del club. Schierarsi apertamente contro certi comportamenti è necessario e fondamentale. Ma per tutelare chi denuncia dalle ritorsioni dei “tifosi” più estremi, servono norme più rigide di quelle attuali, che rendono ancora la responsabilità oggettiva un’arma di ricatto per gli ultrà. FIGC e Lega Calcio possono e devono intervenire in maniera ancora più repressiva. Quanto alle società, fare meglio di Verona (sminuiti a semplice “ironia” i buu a Kessie e Balotelli) e Cagliari (ignorati gli insulti razzisti a Matuidi, Kean e Lukaku) certamente si può. La Roma, denunciando un atto di razzismo online di un suo pseudofan nei confronti di Juan Jesus, ha indicato la strada.*

  2. Torniamo sul campo. Siamo solo a inizio novembre e “il miglior campionato degli ultimi 15 anni” (multicit.) sembra già ridotto a una lotta a due. La terza candidata al titolo, il Napoli, è implosa tra equivoci tattici e di mercato. L’addio del professor Albiol (il Barzagli di Spagna per intelligenza tattica) è stato sottovalutato tanto quanto l’inserimento di Manolas è stato sopravvalutato: si è pensato che la sua velocità nei recuperi potesse bilanciare la trazione ultraoffensiva della squadra. Ha ragione il greco quando ricorda che lui e l’irriconoscibile Koulibaly hanno giocato solo poche partite insieme dall’inizio, ma il bilancio di queste 4 in campionato è impietoso: 2 vittorie contro Fiorentina e Verona e 2 ko contro Juventus e Roma con ben 9 gol subiti, media di più di 2 a gara. Però nel calcio postmoderno si difende da squadra e il Napoli non lo fa come negli anni di Sarri. Manca in rosa un’alternativa ad Allan, Zielinski vaga alla ricerca di una posizione e in ogni partita c’è quasi sempre un momento in cui Insigne pecca di attenzione: ultimo ma non ultimo, a Ferrara, il contrasto blando su Strefezza, lasciato libero di crossare per il pareggio di Kurtic.
  1. Il percorso di crescita di Juventus e Inter continua a strappi e a sprazzi. Il weekend pre-Champions non è stato fatale come per il Napoli ma il dado è ben lontano dall’essere tratto. Conte è entrato nel cuore dei suoi soldati, ma deve migliorare la qualità di gioco. Sarri ha le idee ma gli mancano ancora gli uomini per metterle in pratica: capisce e si adegua (semicit.) e la sua Juve vince con la mentalità che tanto apprezzava da avversario. “Era una squadra che dava sempre l’impressione di poter vincere e prima o poi, in ogni partita, ci riusciva. Vorrei che mantenesse questa caratteristica”, disse nella sua presentazione juventina. È ancora così. Però, come si diceva per la Juve di Allegri, per primeggiare in Europa servono una manovra più fluida e una grande potenza offensiva. Che dipende dagli schemi e dagli interpreti. In questo senso, il tema di dibattito più interessante da qui a febbraio sarà: Higuain può essere determinante contro i top club europei come lo è stato finora in Serie A? La sua rinascita è stata entusiasmante e sorprendente, probabilmente nemmeno Sarri se lo aspettava così tonico. Però, sia con l’Inter che con il Torino, è stato decisivo a gara in corso. Potrà esserlo anche in Champions? E se sì, sempre da Altafini 2.0 o anche dall’inizio, con gli avversari a pieno ritmo e al massimo della loro potenza?

  2. A ogni campionato la sua rivelazione, aveva anticipato profeticamente Gasperini alla vigilia di Atalanta-Cagliari. Da vero intenditore, peraltro, avendo letteralmente trascinato oltre i loro limiti prima il Genoa e poi l’Atalanta. Che domenica è sembrata prosciugata dallo sforzo di Napoli e da quello incombente con il Manchester City. A Bergamo ho assistito così alla candidatura ufficiale del Cagliari a rivelazione di questa Serie A. Dopo il mercato roboante quanto oculato dell’estate, non è una sorpresa assoluta. I valori sono consistenti, soprattutto da centrocampo in su. Sorprendono invece la personalità e la profondità della rosa di Maran. Organizzazione e compattezza hanno moltiplicato le qualità individuali: a Bergamo tra i migliori ci sono stati anche i due centrali Klavan e Pisacane. L’ampiezza delle scelte è stata certificata dalle prestazioni delle presunte seconde linee: Klavan, appunto, Cacciatore e l’uruguaiano Totò Oliva, che da oggetto misterioso del semestre scorso si sta trasformando in preziosa alternativa a centrocampo. Maran può cambiare non solo gli uomini ma anche, a parità di ruolo, le caratteristiche dei singoli e quindi del gioco. Con Oliva c’è più equilibrio, con Cigarini più geometrie; con Pavoletti ci sono stati e torneranno i cross, limitati con Simeone (20% in meno) e verticalizzazioni amplificate. E Olsen, sollecitato con più continuità nei 90’, diventa più efficace rispetto a Roma. Come con la Svezia e in passato al Copenaghen. A ognuno la sua storia e i suoi sogni. Quelli della Sardegna, a 50 anni dall’annata scudetto e quasi 30 dall’epopea di Francescoli e Oliveira, sono sempre più grandi e possibili.

*La stesura del post è avvenuta prima della decisione, apprezzata e condivisibile, dell’Hellas Verona di collaborare con la Questura per l’individuazione degli autori dei buu razzisti verso Mario Balotelli e della “sospensione di gradimento fino al 2030” nei confronti del capo ultrà Luca Castellini, reo di dichiarazioni denigratorie e irrispettose nei confronti di Balotelli e delle persone di colore.