I dejà vu di Juventus-Milan, la Juve sempre 20’ avanti agli altri, i limiti di Fabbri, i meriti di Spalletti. Rizzoli spiega gli errori, ma dovrebbe motivare le sue scelte (fuori tempo). Ecco il meglio (e il peggio, ahinoi) dell’ultimo weekend di Serie A.

1. Juve-Milan è stata tirata e ben giocata a fasi alterne da entrambe le rivali. Ha vinto la Juventus perché è complessivamente molto più forte, ha una rosa molto più profonda ed è più abile a interpretare le tante partite nella partita: dote in cui Allegri e i suoi eccellono, in Italia e in Europa. E’ stato un dejà vu della sfida di Supercoppa e di quella dell’anno scorso in campionato, che si giocò allo Stadium sempre all’alba della primavera. Il Milan era sul punto di sbocciare oggi come allora, ma è appassito quando si è alzata la temperatura. Dodici mesi fa Çalhanoglu colpì la traversa sull’1-1 e poi non chiuse su Cuadrado nell’azione dell’1-2. Sabato il folle intervento di Musacchio su Dybala (spalle alla porta in posizione laterale!) e l’errore di Calabria in avvio di azione hanno generato il sorpasso, sublimato dalla verticalizzazione di Pjanic per il predestinato Kean.

2. La rimonta avvicina la Juventus all’ottavo scudetto consecutivo, solo apparentemente scontato. Vincere non è mai banale e non stanca mai. Società, allenatore e squadra hanno saputo re-innovarsi con lungimiranza, determinazione e feroce volontà di progredire. Nel cubo di Max c’è sempre posto per un ingranaggio diverso. Allegri ha mentalità da leader e colpi da numero 10 della panchina, ultimo ma non ultimo la gestione di Kean e il suo lancio nel momento ideale. La superiorità sulle rivali è stata schiacciante, la prima sconfitta è arrivata alla 28ma giornata e quella contro il Milan è stata l’ennesima partita in cui gli avversari hanno retto fino ai 15-20’ finali prima di arrendersi. Sembra una differenza minima, è un’eternità che scava il solco con le avversarie.

3. Un match vivace e avvincente lascia dietro di sé molti veleni. La direzione complessiva di Fabbri è stata assolutamente negativa e la gestione – se possibile - ancora peggiore delle singole valutazioni degli episodi. E sembrata, insomma, una partita più grande di lui e il danno subìto dal Milan nella bagarre Champions potrebbe essere decisivo. I motivi di protesta/rammarico sono fondati, l’obiezione “tanto hanno segnato subito dopo il mancato rigore” è ridicola così come lo è sostenere che non bisogna analizzare gli episodi arbitrali quanto il fatto che “il Napoli non riesce nemmeno a battere il Genoa in 10 per più di un tempo”: il campionato è andato da settimane e l’atteggiamento di chi insegue ne è inevitabilmente influenzato. Il bilancio arbitrale delle 3 sfide stagionali contro la Juventus è penalizzante per il Milan: a fronte del fischio anticipato che ha inibito l’eventuale intervento del VAR sul gol di Kean (errore enorme) ci sono la mancata espulsione di Benatia all’andata e i rigori non concessi nel finale in Supercoppa e sul mani di Alex Sandro al ritorno, unito all’eccessivo permissivismo verso Mandzukic. Alle società interessano poco le ammissioni dei vertici dopo le omissioni in campo. Né si può pensare che la soluzione sia sempre tenere un arbitro lontano per mesi da una squadra penalizzata in precedenza da sue decisioni. È un metodo vetusto, che alimenta invece di annientare le congetture sull’incapacità degli arbitri di gestire condizionamenti e pressione. La loro forza dovrebbe essere quella della credibilità assoluta, che consiste anche nell’assorbire/maneggiare le pressioni: Fabbri sabato ha fallito e la sua prestazione è simbolica delle carenze tecniche della generazione post Rizzoli, Rocchi, Orsato.

4. La forza di un allenatore è però quella di gestire le risorse in maniera oculata e di scegliere il momento giusto per lanciare i giovani. A 7 giornate dalla fine, si può affermare che la stagione di Rizzoli da allenatore degli arbitri non è stata positiva. Gli emergenti Maresca, Fabbri e Abisso hanno mancato i loro esami più importanti e, fatto piuttosto grave, i big Rocchi e Orsato sono rimasti lontani da grandi partite e grandi squadre. Negli ultimi due campionati, Rocchi ha diretto la Juventus solo due volte: fu esemplare in Juve-Napoli dell’aprile scorso, lo è stato meno nella difficilissima sfida di questa stagione al San Paolo. Anche con gli azzurri la frequentazione è stata minima: appena due partite, contro Lazio e appunto Juve. Orsato, dopo il pessimo Inter-Juve di fine aprile, ha arbitrato la capolista solo a Firenze  e addirittura mai i nerazzurri e il Napoli. Inaccettabile.

5. L’Atalanta conferma i suoi enormi progressi ed esce indenne da San Siro pur senza il cecchino Duvan Zapata. Anche l’anno scorso – per scelta – Gasperini giocò a San Siro senza centravanti di ruolo ma venne trafitto da una doppietta superba di Icardi. L’ex capitano interista (cit.) domenica ha fallito proprio in area, il suo privé. È stata comunque una giornata complicata per i sostenitori della tesi che “fa solo gol”, perché ha giocato una delle sue migliori partite per la squadra e ha confermato i progressi di questa stagione. E’ giunto quindi il momento di attribuire a Spalletti i meriti tecnici che gli spettano, al netto delle diavolerie dialettali che nuociono alla sua immagine e ai suoi rapporti interpersonali. A chi gli rinfaccia i cattivi rapporti con Icardi, Totti e finanche Hulk allo Zenit, va ricordata la case history dei giocatori ai quali ha fatto vivere i momenti migliori della carriera. Il folgorante talento di Totti è stato esaltato in zona gol come mai accaduto né prima né dopo l’anno di gloria 2006/07 (26 reti); il 2016/17 è stato l’unico campionato in cui Nainggolan è andato in doppia cifra (11); l’anno scorso Icardi ha migliorato il suo record personale (29) proprio come Dzeko nella stagione precedente. Quattro indizi blindano una prova (semicit.) e non è finita. A Spalletti va ascritto il merito dei progressi nella fase difensiva di Skriniar e De Vrij, su basi individuali già ottime, e di Brozovic falso regista. Una mezzala con la corsa da mediano e i colpi da trequartista, al quale il tecnico ha dato continuità e tempi di gioco. “Ci ho messo un po’ a trovargli il ruolo”, disse l’anno scorso: in tanti ci avevano provato prima di lui ma nessuno c’era riuscito.