Fa sempre più notizia la pioggia di fuoricampo di questa stagione MLB. È forse un argomento ripetitivo, ma è sempre lì in prima fila, perché i numeri sono così forti da fare impressione e far anche un po’ girare la testa. Due su tutti, quello dei fuoricampo stagionali e per una singola partita. Stagionali uguale Minnesota Twins, che ne hanno avuti 127 in 65 partite, e anche per questo motivo stanno segnando come non mai nella loro storia, nata nel 1961. Mantenendo questo ritmo, finirebbero la stagione con 317, superando il record assoluto stabilito dai New York Yankees nel… 2018, con 267. Una proiezione dati con un margine che fa pensare che i Twins possano farcela, e con la conseguenza primaria di vincere la division e andare allegramente ai playoff. Quanto ai record per partita, lunedì a Philadelphia gli Arizona Diamondbacks sono diventati la sesta squadra stagionale a battere almeno sette fuoricampo quest’anno, o meglio la quinta squadra, perché Minnesota l’ha fatto per due volte, battendone in realtà otto in entrambi i casi.

Se il ritmo dovesse essere quello attuale, a fine stagione i fuoricampo sarebbero dunque più di 6500, quasi 1000 in più rispetto al 2018 e quasi 500 in più del record assoluto di 6105 stabilito nel 2017. Ed è chiaramente un indicatore importante per chi debba fare analisi e previsioni: nel dubbio, meglio pensare che verrà un fuoricampo in più, piuttosto che uno in meno.

 

Tra le possibili cause di questa esplosione le più gettonate sono le… palline, e stadi con dimensioni particolarmente favorevoli ai battitori. Come noto, non esistono dimensioni obbligatorie per i campi: bisogna rispettare la distanza minima di 76 metri tra casa base e la recinzione, mentre quella consigliata dalla MLB è come minimo 98 metri a destra e sinistra e 120 per l’esterno centro. Quel margine di ben 20 metri racconta tanto, racconta perché ci siano stadi in cui è più facile battere fuori campo e altri in cui sia lievemente più difficile. C’è anche da considerare il diverso atteggiamento di molti battitori, che hanno lavorato molto affidandosi alle statistiche avanzate disponibili da parecchi anni: alla ricerca dell’angolo e della velocità di uscita ideali dalla mazza, con il solo rischio - ovvio - che invece di un home run venga fuori una semplice battuta alta facile da raccogliere per gli esterni, o che il lancio venga mancato del tutto. E a proposito, ma è argomento per altro articolo, sono diminuite le fastball, le palle veloci.

 

Le palline, dicevamo. C’è la percezione che abbiano qualcosa di diverso nella loro composizione e che si sia entrati in una nuova era di ‘pallina viva’, live ball, contrapposta alla ‘dead ball era’ di cento anni fa (!) giusti. Dal 1900 circa fino al… 1919, anno dell’esplosione del grande Babe Ruth, il numero di fuoricampo diminuì in maniera drastica, quasi incredibile: si pensi che Frank Baker si guadagnò il soprannome di ‘Home Run’ per averne battuti ben… due nella World Series del 1911 con la casacca dei Philadelphia Athletics e un massimo di 12 in una sola stagione, quella 1913 in cui si giocarono solo nove partite in meno rispetto alle 162 di oggi. I motivi erano tanti: dalle dimensioni grandi dei terreni di gioco all’introduzione della regola per cui le battute in foul contavano come primo e secondo strike all’utilizzo per gran parte della partita della medesima pallina o di pochissime, che con il passare del tempo si logoravano e avevano più attrito.

 

Un accenno va fatto a David Ortiz, 43 anni, noto a tutti come Big Papi. Il grande ex giocatore dei Boston Red Sox è stato ferito a colpi di pistola domenica sera, in un locale di Santo Domingo: una persona, poi arrestata, gli è arrivata alle spalle ed ha sparato un solo colpo di pistola, che ha perforato l’addome di Ortiz causando danni ad alcuni organi interni. Subito operato per oltre sei ore, è stato poi portato a Boston su un volo pagato dai Red Sox e sottoposto ad un altro intervento: si riprenderà ma la botta è stata fortissima da tutti i punti di vista, anche perché nel corso della prima operazione i chirurghi hanno dovuto rimuovergli la cistifellea per poter accedere con maggiore efficacia agli altri organi lesionati. Ortiz, tre volte campione con Boston, miglior fuoricampista di sempre come battitore designato, fu l’autore dello storico fuoricampo che portò i Red Sox alla vittoria in gara4 della finale della American League del 2004: i New York Yankees erano andati a un passo del vincere ed eliminare Boston 4-0, ma un punto segnato da Dave Roberts - attuale allenatore dei Dodgers - pareggiò, Ortiz batté il fuoricampo e i Red Sox non si fermarono più fino al primo di quattro titoli da quel 2004 ad oggi.

 

FENOMENO. Nello scorso weekend è andato in scena il draft della MLB, una cerimonia infinita, un’agonia per chiunque non sia davvero un addetto ai lavori: 40 turni, 1217 giocatori scelti. Bastano queste cifre per far capire il delirio di seguire tutto. A giochi fatti, come sempre, chi non è stato scelto ha potuto firmare un contratto da free agent, partendo ovviamente da una posizione di svantaggio perché viene dopo decine di altri giocatori indicati dalla stessa squadra. È il caso di Matteo Rocchi, il 22enne lanciatore nato a Parma e passato per la Fortitudo Bologna prima di andare alla University of Texas. Molti giocatori che vengono scelti al termine della carriera di liceo preferiscono firmare subito, saltando il college, perché viene offerto loro un cospicuo premio di firma: e in questa maniera accorciano il percorso verso la MLB, che può durare anche anni. Innovativa la decisione di Carter Stewart, 19 anni, che lo scorso anno era stato scelto da Atlanta al numero otto assoluto ma aveva preferito iniziare il college perché l’offerta dei Braves era troppo bassa, motivata da un presunto infortunio al polso. Proseguendo la carriera scolastica, Stewart si era reso nuovamente disponibile per il draft di quest’anno ma prima ancora di entrarci ha deciso, in accordo con il suo agent Scott Boras, di andare a giocare nel campionato giapponese: sei anni di contratto, sette milioni complessivi dai SoftBank Hawks di Fukuoka. Inizierà nella lega minore che è però di buon livello, e per il regolamento che governa i rapporti tra MLB e leghe nipponiche non potrà giocare negli USA fino a quando non avrà 25 anni, ma proprio questo è l’aspetto cruciale. Si tratta infatti di un’età nella quale spesso ancora non si è arrivati nella lega e si è passati per anni di partite di livello medio con stipendi mediobassi: in questo modo invece Stewart avrà alle spalle alcuni anni di competizione di buona qualità e potrà olttetutto scegliersi la squadra MLB più adatta.

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