Quattro squadre MLB, al momento, non hanno ancora vinto una serie. Ovvero, hanno giocato due, tre o quattro volte di fila contro un’avversaria e non hanno mai vinto più partite di quante ne abbiano perse. Sono Miami Marlins, e ci sta. Toronto Blue Jays, idem. Colorado Rockies, e qui ci sta un po’ meno. Boston Red Sox, e qui non ci sta per niente, perché sono i campioni in carica e soprattutto sono una squadra completa e ricca di opzioni. Però capita che Chris Sale, il lanciatore, al 16 ottobre abbia già perso quattro partite (su quattro), ovvero tante quante ne aveva accumulate nell’intera stagione 2018, e commenti «sto facendo schifo». L’ultimo esempio di questa illuminante autodefinizione è arrivato martedì sera, quando dopo due inning incoraggianti Sale ha cominciato a subire, i e New York Yankees, oltretutto privi di parecchi giocatori importanti, hanno allungato fino all’8-0 finale, che li ha portati al bilancio di sette vittorie e nove sconfitte, facendo cadere invece Boston a 6-12. Fermate i buoi, come dicono in alcune regioni italiane: non è che adesso si debba mettere la croce sulla stagione dei Red Sox, ma le statistiche raccontano troppi elementi preoccupanti. I 114 punti subiti, ad esempio, peggior dato della intera MLB. I 74 punti segnati, per un differenziale di -40 che è il peggiore della American League e il secondo peggiore della lega dietro (di poco, tre) ai Marlins. Il fatto che la ERA (media di punti guadagnata sul lanciatore), nel computo di squadra, sia 6,09, ovvero la peggiore della MLB e unica sopra i 6, racconta di una situazione davvero pessima. Poi, nel baseball che è non solo sport di centimetri - praticamente tutti lo sono - ma di centimetri messi in gioco quasi ogni giorno, 162 partite l’anno, può anche capitare che un niente faccia la differenza: Sale, ad esempio, si farà schifo da solo ma intanto contro New York ha ripreso a lanciare la sua fastball (la palla veloce) a 97,5 miglia orarie, mostrando di avere superato i problemi mostrati durante il precampionato. E ripartendo dalla fastball può riprendersi, così come ha fatto il suo avversario newyorkese James Paxton: secondo Carlos Beltràn, l’ex giocatore ora consulente tecnico, Paxton nel corso di una pessima partita a Houston aveva compiuto gesti involontari che avevano permesso ai battitori di prevedere in anticipo i suoi lanci, dettaglio letale per un lanciatore. Dopo quella serata Paxton si era rivisto il filmato, aveva capito i difetti, li aveva corretti e contro Boston è stato quasi perfetto. Questione di centimetri, appunto. 

Sul versante opposto rispetto a Boston ci sono ora gli Houston Astros, che hanno vinto 10 partite consecutive, tre delle quali a Seattle, che in quel momento era la squadra più lanciata. A Oakland 9-1, con grande slam (fuoricampo da quattro punti) di Alex Bregman, il terza base che nel giro di pochi mesi si è operato al gomito sinistro, ha firmato un contratto da sei anni e 100 milioni ed ha ripreso con grande energia. È ovviamente solo un caso ma succedono cose strane in periodi vincenti, così come sembra che tutto sia negativo in quelli perdenti: il lanciatore Collin McHugh ad esempio è riuscito in modo improbabile a non farsi colpire da una battuta di Kendrys Morales, contorcendosi in un modo che ha ricordato una celebre scena del film Matrix, e alle sue spalle i compagni sono riusciti a chiudere un doppio gioco nonostante la sorpresa di veder spuntare all’improvviso la pallina (cercate sul web: McHugh + matrix). Facile al momento prevedere che i texani arriveranno almeno a 100 vittorie, mentre è meno ipotizzabile il resto della stagione dei Tampa Bay Rays, che ora con 13-4 e dunque una percentuale di vittorie del 76,5% sono davanti anche agli Astros. Tampa e il suo manager Kevin Cash continuano, sulla scia del 2018, ad usare ogni tanto un ‘opener’: ovvero un lanciatore che ha il solo compito di ‘aprire’ la partita, senza il classico obiettivo del partente di arrivare almeno al quinto o sesto inning. È il ribaltamento del concetto di closer, cioé del lanciatore che chiude la gara, e pur avendo dei decisi oppositori sul piano critico è un esperimento che sta riuscendo, se si considera che a livello di squadra i Rays hanno una ERA di 2,41, nettamente la più bassa e dunque la migliore della MLB, così come il numero di fuoricampo concessi, solo 12 rispetto ad esempio ai 33 (!) dei Red Sox. Dunque, contro di loro si segna poco: anche perché due dei rilievi/closer, José Alvarado e Diego Castillo, in 18 inning di ERA hanno esattamente… zero. Cioé, non hanno concesso neanche un punto.

FENOMENO. Ora, non è che sia molto corretto mettere in croce una persona per UN tweet, ma quando circa 15 mesi fa i Milwaukee Brewers cedettero ai Miami Marlins quattro giocatori di discrete speranze (i cosiddetti ‘prospetti’) per avere l’esterno Christian Yelich, un tifoso espresse il proprio sdegno in termini molto chiari, dicendo più o meno che non aveva senso ipotecare il proprio futuro per un presente incerto. Ahia. Nel 2018 Yelich - che ha compiuto 27 anni a dicembre, quindi non è ancora nel pieno della carriera - è stato l’Mvp (miglior giocatore) della National League, contribuendo a portare i Brewers a una partita dalla World Series, mentre quest’anno è partito in maniera esaltante: nella notte tra martedì e mercoledì ha sparato il suo nono fuoricampo della stagione, dopo averne avuti TRE (!) la sera prima, ma il bello è che, di quei nove, otto sono arrivati contro i St.Louis Cardinals, e il sito ufficiale della MLB è subito corso a verificare: in assoluto, il maggior numero di fuoricampo stagionali contro la stessa squadra è dell’immenso Lou Gehrig degli Yankees, che nel 1936 ne ebbe 14 contro Cleveland. All’epoca però ogni squadra giocava 23 volte contro le altre e solo all’interno della propria lega (American e National), mentre dal 1969, anno della creazione delle division, il numero uno è stato Sammy Sosa, che nel 1998 ebbe 12 home run contro Milwaukee. Sosa in quella stagione chiuse con 66, quattro dietro a Mark McGwire che stabilì un primato storico, ma va detto che su entrambi ha pesato e pesa tuttora la gravosissima ombra del doping, che anzi lo stesso McGwire ammise nel 2010, pagando - come Sosa - con la mancata inclusione nella Hall of Fame. Sta di fatto che Yelich è a nove, dunque -5 da Gehrig, e dovrà incontrare i Cardinals altre 13 volte in questa stagione. Occhio allora, su due fronti: perché è ovvio che continuando a sparare fuoricampo contro St.Louis l’esterno californiano non farà solo il proprio interesse ma anche quello dei Brewers, attualmente primi nella National League Central con 12-6, davanti a Pittsburgh (9-6).

 

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