A stare fermi nel momento chiave della stagione ci si raffredda, ma è appropriato usare un termine del genere per chi gioca a hockey su ghiaccio? Meglio non chiederselo, in nessuna lingua, ma è un po’ la domanda che ci si fa sui Boston Bruins, che giovedì scorso, vincendo a Raleigh per 4-0, hanno chiuso la serie col medesimo punteggio eliminando i Carolina Hurricanes e ora sono nel mezzo di dieci giorni di inattività prima dell’inizio di gara1 della finale. Per affrontare meglio questo periodo di sosta, o perlomeno di sosta agonistica, i Bruins hanno chiesto consigli ai concittadini - o quasi, visto che lo stadio di football è fuori città di 40 chilometri - New England Patriots, che a certi intervalli sono abituati. Certo, con una notevole differenza: nel football già normalmente si gioca solo una volta la settimana, mentre nell’hockey possono anche essere quattro le gare, e dunque i tempi di attesa e recupero sono di base diversi. Per Boston lo stop arriva dopo playoff frenetici, come per tutti: sette partite contro Toronto, rimontando dal 2-3, un giorno solo di riposo, sei partite contro Columbus, due giorni di stop poi la serie contro Carolina. Ma per assurdo quella è la normalità, nei playoff. È stare fermi dieci giorni che non è normale: l’equivalente, nel football, dell’intervallo del Super Bowl, che per via dello spettacolo musicale dura fino a 45’ invece dei 25-40’ normali e va gestito in maniera molto diversa.

A preoccupare i Bruins, che apriranno la finale NHL in casa, è anche il dato degli attuali playoff, che pone a 2-12 il bilancio vittorie-sconfitte di squadre reduci da un 4-0 e dunque ferme più a lungo delle altre. Ma l’aspetto curioso è che due di quelle squadre sono Columbus e Carolina, cioé le avversarie appena eliminate da Boston, che ha quindi esperienza diretta del cosiddetto problema. Intanto, si fa quel che si può: allenamenti leggeri, recupero degli infortunati, precauzioni tramite i cosiddetti Black Aces, i giocatori della squadra di Providence della AHL, la lega minore, che nei loro playoff sono stati eliminati a fine aprile. Come accade nella MLB, a playoff in corso un club può allargare il roster includendo alcuni giocatori dell’affiliata: non possono allenarsi con la squadra maggiore ma solo a parte, non fanno le trasferte e possono giocare solo in caso di assenza di un membro del roster ufficiale, ma ci sono.

È del resto un mezzo privilegio poter assistere allo scannarsi reciproco delle due candidate a giocare la finale, San José e St.Louis. Che è in vantaggio per 3-2 e stanotte gioca in casa gara6. Con tanti temi e tanti scorci che rendono difficile un pronostico, anche perché per certi versi ognuna delle due squadre ha una propria ambizione che nasce dalla storia. Che - sempre bene ricordarlo - non influenza minimamente il presente, cioé le partite, ma entra in gioco nella narrazione. Quella dei Blues è più semplice: fanno parte della NHL dal 1967, l’anno del grande allargamento dalle Original Six (le sei delle origini) a 12, non hanno mai vinto la Stanley Cup e sono arrivati in finale tre volte, nel 1968, 1969 e 1970, perdendo sempre 4-0 (!) contro Montreal e contro i… Bruins. Nel caso della sconfitta contro Boston gara4 fu persa 4-3 e il gol decisivo in overtime fu segnato da Bobby Orr, il mitico difensore la cui esultanza nell’occasione è una delle immagini storiche dell’hockey su ghiaccio: Orr è praticamente in volo orizzontale, con le braccia distese e la stecca perpendicolare al ghiaccio, anche perché un istante dopo il gol era stato sgambettato da un avversario, Noel Picard. Dunque - sempre ribadendo che a chi va sul ghiaccio giustamente importa poco del passato - St.Louis ha come obiettivo primario quello di vincere e non portare la serie a gara7, e come obiettivo secondario quello di aggiornare in modo positivo una storia di finali perdenti e ormai distanti.

San José, invece, ha uno sfondo diverso. Negli ultimi 15 campionati ha vinto 681 partite, ovvero 31 in più della seconda di questa graduatoria, Pittsburgh, ottenendo 1504 punti, 55 più di Detroit. Sono andati ai playoff 14 volte su 15, saltando solo il 2014-15, vincendo 90 partite, secondi solo a Pittsburgh (97). E sono alla loro quinta finale di conference, qui però in compagnia numerosa (Pittsburgh, Chicago, Tampa Bay). Ma sono arrivati in finale una volta sola, nel 2015-16 eliminando… St.Louis ma perdendo proprio contro i Penguins. Come dire: molto meglio dei Blues a lungo raggio, ma anche loro hanno una storia ancora da definire.

 

Per gara6 partono dalla consolazione di aver vinto finora tutte e quattro le partite decisive dei playoff, quelle cioé in cui una sconfitta avrebbe voluto dire eliminazione, e questo non è un discorso di cabala ma di composizione solida del tessuto della squadra. Che - certo - tale solidità poteva anche mostrarla domenica sera, quando invece St.Louis è passata comodamente in California, 5-0, risultato originato in parte anche da una disattenzione difensiva iniziale che San José non ha saputo cancellare in fase d’attacco. Un problema vero potrebbe essere l’assenza, non confermata, di Erik Karlsson e degli attaccanti Joe Pavelski e Tomas Hertl, tutti infortunatisi in gara5: particolarmente grave l’eventuale assenza dello svedese, che era stato preso da Ottawa a settembre proprio per essere decisivo in partite secche ed ha il contratto in scadenza. Non facciamoci ingannare dalla propaganda, dagli spettacolini scenografici costruiti per impressionare chi guarda la tv e chi segue sui social media: all’Enterprise Arena stanotte non conteranno né il rumore dei tifosi né eventuali presenti vip ma solo l’abilità e la freddezza dei giocatori sul ghiaccio, e magari alcuni di loro avranno la motivazione in più che fa la differenza. Ne parleremo lunedì, analizzando la finale che sarà al via poche ore dopo.

 

LA NOTIZIA DELLA SETTIMANA. Ralph Krueger è il nuovo coach dei Buffalo Sabres. 59 anni, rientra su una panchina NHL sette stagioni dopo la sua breve esperienza con gli Edmonton Oilers, bilancio 19-22-7 (fu l’anno in cui il campionato venne ridotto a 48 partite per contrasti tra proprietari e giocatori). Non è però questa la curiosità, bensì il fatto che Krueger, tedesco-canadese con passaporto svizzero da meno di un mese, nell’ultimo lustro ha svolto un ruolo del tutto diverso, ovvero dirigente poi presidente del… Southampton, la squadra di Premier League, di proprietà svizzera fino al 2017, quando l’80% delle azioni fu ceduto all’imprenditore cinese Jisheng Gao. Krueger è considerato tra i personaggi più importanti nella storia dell’hockey svizzero, che con lui alla guida della nazionale, dal 1997 al 2010, ha fatto grandi progressi. Ora, Buffalo: peggior squadra NHL in tre delle ultime sei stagioni, nel 2018-19 ha fallito l’accesso ai playoff nonostante il primo posto NHL dopo 25 partite giocate.

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