Con 6 turni di campionato e 2 di Coppa Italia, gennaio è stato un mese denso di appuntamenti e giudizi. Ci siamo ormai abituati a cambi repentini di scenario e sentiment, per dirla col linguaggio dei social network. Guida, più del solito, la precipitazione. Che porta a esaltazioni e stroncature spesso esagerate. Tra Derby d’Italia e di Roma e in attesa di quello di Milano, ecco i promossi del mese.

    1. Simone Inzaghi – 5 vittorie, derby compreso, e 1 pareggio in campionato: bilancio strepitoso, solo in parte annacquato dall’eliminazione subita in Coppa Italia dall’Atalanta. Senza l’ingombro della Champions la sua rosa regge splendidamente. I momenti più alti del suo ciclo sulla panchina biancoceleste coincidono sempre con le migliori prestazioni dei giocatori simbolo: Immobile, Luis Alberto, Milinkovic Savic, Acerbi. A loro si aggiungono altre due colonne ormai portanti: Manuel Lazzari, decisivo nel derby e non solo, e Pepe Reina, portiere d’altri tempi tra i pali ma precursore dell’evoluzione del ruolo per la sua precisione coi piedi, sin dagli anni a Liverpool. Per spaventare il Bayern servono i superpoteri eppure anche solo l’idea di giocarsela con questa autostima sarebbe un successo.

    2. Davide Ballardini – Il Ballardini quater al Genoa, finora, è trionfale.

      Ok, l’avventura è iniziata a dicembre ma l’onda lunga ancora non si è spenta. E nemmeno moderata. Negli anni della gestione Preziosi il popolo rossoblu ha dovuto spingere all’estremo il motto “solo la maglia”, tanto è stato difficile/illusorio legarsi a giocatori o allenatori. Ballardini è l’uomo con cui i genoani si identificano di più, anche per alcuni tratti ruvidi del carattere di questo romagnolo atipico, schivo e in apparenza burbero, lavoratore esemplare, capace di interpretare con estrema rapidità le situazioni e di ribaltarle in positivo. Arrivato con il Genoa a pezzi dopo lo 0-2 di Benevento, -4 dalla zona salvezza, ha chiuso il mese di gennaio a +6 sulla terzultima. Un vantaggio rassicurante ma non così tanto da indurre Preziosi a smontare il giocattolo come in altri inverni più temperati. Anche questa, a suo modo, è stata un’impresa.

    3. Christian Eriksen – Voto di stima per un giocatore che ha dovuto remare controcorrente per guadagnarsi un posto che, probabilmente, riteneva sarebbe stato suo senza discussioni. Il momento più alto della sua avventura nerazzurra è arrivato nel derby di Coppa Italia, con la punizione gioiello (bellissima seppur non imparabile) che ha regalato la qualificazione in semifinale. Una rete che, peraltro, ha interrotto una serie di oltre 3 anni senza gol su punizione diretta dell’Inter: l’ultima contabilizzata come tale, Cancelo contro il Cagliari ad aprile 2018, era in realtà un cross. L’ultima su punizione effettivamente calciata in porta risaliva invece addirittura al 1.ottobre 2017, Brozovic a Benevento. Eriksen ha poi confermato i progressi anche contro la squadra di Pippo Inzaghi. Lo spazio che si è (ri)conquistato è un premio anche alla sua esemplare professionalità: splendidamente remunerata, certo, ma in un mondo popolato anche da sopravvalutati pronti a chiedere l’aumento alla prima doppietta contro la terzultima in classifica, è giusto comunque sottolinearlo.

      Non solo lampi tra le brume di gennaio: c’è stato anche chi ha viaggiato a ritmo ridotto o si è letteralmente ingolfato

    4. Marco Giampaolo – Nemmeno la difesa a oltranza della dirigenza, alla fine, lo ha salvato. Questo Toro non è mai stato una squadra veramente “sua”. Manovra sempre arrancante, spirito mai davvero trascinante. Ha cambiato modulo e uomini (alcuni non ideali per il suo…ideale di gioco) senza trovare la continuità. La rosa aveva limiti chiari, che gli innesti di Mandragora e Sanabria in parte possono coprire. Ma anche l’arrivo di Nicola sulla panchina granata ha l’obiettivo di colmare il vuoto propositivo della prima metà di campionato. La salvezza è una missione complessa, non impossibile.

    5. Parma – Una crisi ancora senza uscita ha travolto club, allenatore e squadra. Perso a lungo per infortunio Gervinho, il simbolo del contropiedismo devastante del Parma di D’Aversa; e salutato Liverani dopo l’esperimento fallito di dare un gioco più palleggiato a un gruppo che si era esaltato nella verticalità, la dirigenza ha cercato di inserire energia fresca con Bani, Conti e Zirkzee.

      Il confronto con le due stagioni precedenti è micidiale: -15 punti alla 20^ giornata. Per uscire dalla zona retrocessione servono le armi che D’Aversa aveva trasmesso ai suoi nell’incredibile ciclo dalla C alla doppia salvezza: compattezza, sudore, forza atletica e determinazione feroce.