In autunno sbocciano i nuovi protagonisti della Serie A. In attesa dell’ultimo grado di giudizio sulla controversa Juventus-Napoli, ecco i 3 giganti del mese di ottobre.

    1. Ibrahimovic. Da sempre bandiera di se stesso ma da quando è al Milan, un po’ a sorpresa, anche bandiera rossonera. Era stato a Milanello solo due anni, meno di quanti ne ha trascorsi al PSG e all’Inter. Eppure è tornato con un trasporto e un senso di appartenenza mai visti prima. Chiude il mese di ottobre da capocannoniere della Serie A con 6 gol e 3 doppiette, frutto di un repertorio favoloso. Il Milan è sulle sue spalle: è l’eroe dei due mondi (dopo la conquista dell’America) e il re della foresta, ma con un cuore più grande di quanto aveva dimostrato nelle sue esperienze precedenti.

      Un tempo ogni cross sbagliato da Abate e ogni sponda imprecisa di Nocerino venivano seguiti da imprecazioni a braccia spalancate a favore di telecamera. Contro la Roma l’uscita a vuoto di Tatarusanu è stata seguita da una semplice smorfia di disappunto. Benjamin Button non invecchia però è maturato ulteriormente, è più buono e fa sognare il popolo milanista esattamente 10 anni dopo l’ultimo scudetto.

    2. Ranieri. Lui lo scudetto lo ha solo accarezzato nel 2010 prima di stramazzare al suolo con la sua Roma prima del traguardo. Però poi ha vinto la Premier League col Leicester e si è rimesso in gioco a più di 65 anni con Nantes e Fulham. Insomma, ha visto di tutto e nulla lo spaventa più. La sua Samp è riemersa dalla lunga sosta con forza tecnica e atletica e nemmeno il cambio di stagione, dall’estate all’autunno, l’ha scombussolata. Ha perso la rivelazione della seconda parte dello scorso campionato (Bonazzoli) ma ha migliorato il telaio offensivo con Keita Baldé. E nel cuore di una squadra già esperta ha inserito altra esperienza (Candreva) slancio giovanilistico (Damsgaard) e talento ormai sgrezzato (Verre). Il mix esplosivo, esaltato dall’eterno Quagliarella, ha disintegrato Lazio e Atalanta, due squadre da Champions. Genova blucerchiata si gode il suo nuovo condottiero, che l’ha conquistata con la forza della semplicità. Sembra facile… Ma come diceva Johann Crujiff “fare le cose semplici, nel calcio, è la cosa più difficile”.

    3. Lukaku. Anche l’Inter ha il suo gigante buono. Trascinatore strepitoso, ha segnato in 7 delle prime 9 partite stagionali tra club e nazionale. A dispetto della stazza portentosa, è più impressionante con la palla a terra che per aria. Grazie al lavoro di Conte è migliorato in tutti i fondamentali: scambia in velocità coi compagni (il gol al Genoa è un gioiello di tecnica e immediatezza) e sfonda con accelerazioni devastanti.

      Il rischio, per l’Inter, è di appoggiarsi sulle sue gigantesche spalle e di non staccarsene più: da lì l’orizzonte è più grande, come quello che un bimbo vede quando si aggrappa sulle spalle del suo papà. L’Inter di Conte è un fanciullo vicino alla maturità, che passerà dalla conferma dei progressi difensivi visti a Genova. Per la certificazione del marchio doc “da scudetto” serviranno però altri test più stressanti, contro avversari più offensivi e propositivi.

      Non solo note positive, naturalmente. È un campionato imprevedibile ma dopo le prime 5 giornate ci sono anche rimandati e bocciati: due nomi su tutti.

    4. Giampaolo. La storia insegna che per un allenatore il fallimento in un top club è molto difficile da assorbire, ancor più se si arriva dopo una lunga gavetta. È un “lutto sportivo” che solo il tempo può lenire. E da cui nemmeno tutti riescono a riprendersi. È successo a Delneri (Juve), Mazzarri e Gasperini (Inter) e Montella (Milan). E pure a Marco Giampaolo, che al Milan non è riuscito a gestire la pressione di un ambiente affamato di successi. Ha scelto di ripartire da un club storico e ambizioso come il Torino, pur con un gruppo di giocatori non completamente adeguato alle sue idee di gioco. Uno su tutti: Rincon, Generale di lotta e di coraggio ma non regista puro. In questa epoca, però, non tutte le società possono fare scelte esclusivamente tecniche. Il calciomercato, anzi, è oggi più dominato da logiche finanziarie. E quindi ogni allenatore deve saper modellare i suoi metodi in base alle contingeze. Dopo momenti di buio allarmante a Firenze e contro il Cagliari, contro il Sassuolo si sono visti i primi lampi del calcio di Giampaolo.

      11 gol subiti in 4 partite restano un’enormità ed è proprio la fase difensiva che va aggiustata velocemente. Sprecare il contributo di un Belotti così è un peccato imperdonabile.

    5. Arthur. Sarebbe stato il giocatore ideale per Sarri: gioca corto, ama stare nel vivo della manovra e darle il ritmo. E avrebbe potuto pure migliorare le sue qualità negli inserimenti – finora molto limitate – come era accaduto a Kanté da interno sotto la guida di Sarri. Non sembra invece incontrare il gradimento totale di Andrea Pirlo, che da subito ha precisato che il brasiliano “non è un regista” e lo ha invitato a “toccare di meno la palla”. A Barcellona aveva impressionato positivamente alla sua prima stagione per poi eclissarsi. A Torino l’inizio è stato in salita: il tempo stringe e la concorrenza preme perché nel centrocampo di Pirlo c’è un posto in meno rispetto ai tre di quello di Sarri. Dai suoi progressi possono passare quelli di tutta la manovra bianconera, ancora troppo lenta e lontana dal celeberrimo “ritmo-ritmo-ritmo” con cui la Gialappa’s Band accompagnava le gag tv della settimana. Altro calcio, altri tempi e, appunto, altro ritmo.