Nel fine settimana, a San Diego, si gioca una serie importante o interlocutoria. Vero o falso? Tutti e due, in barba alla scienza e all’aritmetica: perché San Diego Padres-Los Angeles Dodgers non potrà mai essere decisiva, poco più di un mese dopo l’inizio della regular season e cinque mesi prima della sua conclusione. Ma al tempo stesso, nel ristretto campo di esame delle prime 35 partite (su 162), i Padres sono una delle poche squadre a portata di tiro dei Dodgers, secondi nella National League West e quarti nell’intera MLB per percentuale di vittorie, il 60.6% al momento in cui scriviamo. Numeri uno sono i St.Louis Cardinals, che in questi sette giorni non hanno mollato un secondo: 9-1 il bilancio delle ultime 10 partite, per dire. Los Angeles - quella più tradizionale, anche se fa sempre impressione definire così una squadra che 61 anni fa sconvolse l’America sportiva trasferendosi in California da Brooklyn - ha peraltro statistiche talmente positive in molte categorie offensive da essere ritenuta, a lungo termine, più forte dei Cards. Lo si è visto nella serie contro Pittsburgh, vinta a zero e con rimonta dall’1-5 nella partita finale, quella di domenica sera. Interessante il parere di Rich Hill, 39 anni, lanciatore tornato all’attività proprio quella sera, dopo un mese e mezzo di recupero da un infortunio: «Gioco a baseball da parecchio tempo, di cose ne ho viste ma questa è la miglior squadra di cui abbia fatto parte. È bello esserci, è bello che i tifosi siano carichi, e questo è solo l’inizio. Contro Pittsburgh abbiamo dimostrato di non volerci mai accontentare: avremmo potuto anche mollare e prepararci con la testa alle prossime trasferte, in fondo venivamo da due vittorie in due giorni ed eravamo in netto svantaggio, e invece abbiamo stretto i denti e ripreso a lottare. Non so ora come verrà giudicata quella partita nel computo della stagione, ma secondo me ha raccontato molto di noi». Los Angeles avrà una serie difficile a San Diego, quasi imprevedibile: innanzitutto ci arriverà dopo la battaglia di metà settimana a San Francisco, e in più troverà una squadra carica, per due motivi. Il primo è ovvio, il rendimento interessante mostrato fin qui; il secondo è che quel rendimento è frutto di una politica partita da lontano, da 4-5 anni, e volta al rifacimento di un intero sistema. Nella MLB, infatti, è fondamentale avere alle spalle della squadra una struttura che permetta ai giocatori quella lenta ma costante crescita che è parte naturale di ogni carriera: alla MLB, se non si è fenomeni assoluti, si arriva dopo almeno 3-4 anni di gioco nelle leghe minori, nelle squadre collegate a quella principale, e se i coach non sono all’altezza la crescita è frenata o addirittura ostacolata. San Diego, con qualche difficoltà, pare essere riuscita a far quadrare il cerchio, e addirittura domenica manderà sul monte di lancio, per la sua quarta partita, un ragazzo di 22 anni, Nick Margevicius, che invece di fare la solita trafila dal livello professionale più basso (detto A) a quello appena prima della MLB (AAA), ne ha saltati due, giocando solo una partita a livello AA, al termine di appena due anni di rifinitura delle sue doti. Ed è un peccato che sarà assente Fernando Tatis junior, interbase, uno dei grandi protagonisti di questo inizio di stagione, e altra eccezione al discorso di cui sopra. Tatis junior ha infatti solo 20 anni e quattro mesi, e prima di quest’anno aveva giocato solo a livello di AA, ma durante la preparazione a marzo ha fatto un’impressione così forte da essere inserito nel roster dell’Opening Day, che è una sorta di pietra miliare nel baseball. In 27 partite, finora, Tatis ha avuto una media battuta di .360 (36%, ottima), con sei fuoricampo, otto basi su ball, sei basi rubate e - questo meno esaltante - 32 strikeout, segnale di un approccio alla battuta ancora un po’ acerbo. Ma età, atletismo, abitudine al baseball fin da ragazzino - non solo è figlio di un ex giocatore, ma viene da San Pedro de Macoris, Repubblica Dominicana, cittadina che ha mandato in MLB decine di giocatori - identificano una superstar anche a breve termine. Peccato, appunto, che sarà assente: da martedì è nella lista infortunati da 10 giorni, a causa di un infortunio muscolare riportato domenica, una specie di spaccata fatta nel tentativo di eliminare in seconda base un corridore avversario. Senza di lui, le probabilità dei Padres calano, in questo weekend.

Ricordate il grande inizio dei Seattle Mariners? Grande inizio resta, ma il bilancio attuale, 18-15, risente delle sole tre vittorie nelle ultime 10 partite. Insomma, serve un cambio di rotta drastico tanto quanto lo è stato quello, in negativo, delle ultime due settimane. Un dettaglio però non è incoraggiante: i Mariners, tenendo l’attuale ritmo, stabilirebbero il loro record di errori, e non è quella la strada per arrivare ai playoff. Gli errori, lo ricordiamo, sono le occasioni in cui un difensore non raccoglie una pallina giudicata facile (=che non richieda uno sforzo fuori dal comune) o sbaglia nel tirarla a un compagno di squadra. Spesso, gli errori (E nel tabellino) condizionano e minano lo sforzo difensivo di una squadra, e alla lunga danneggiano la sua stagione.

 

FENOMENO. Sì, ma fermo. Il grande Corey Kluber, lanciatore dei Cleveland Indians, mercoledì sera è stato colpito al braccio destro da una battuta di Brian Anderson dei Miami Marlins. Kluber, nei secondi successivi, ha cercato di eliminare Anderson in prima base, ma non ha potuto usare il braccio destro, quello che usa per lanciare, poi ha atteso l’arrivo del medico e si è fatto esaminare senza mai cambiare l’espressione del viso. Probabilmente irritatissimo e certamente consapevole della gravità dell’infortunio e del dolore, è rimasto stoico, uscendo poi lentamente dal diamante. La prima diagnosi è quella di frattura dell’ulna, una delle due ossa lunghe dell’avambraccio, e in casi analoghi i giocatori colpiti hanno perso almeno cinque mesi. Ergo, stagione finita, se tutto verrà confermato. Il problema, come immediatamente e brillantemente sottolineato dal sito della MLB, è che ora gli Indians sono privi di tre dei loro migliori lanciatori e potrebbero dover prendere decisioni drastiche: considerare cioé senza speranza la stagione, che li vede attualmente secondi dietro a Minnesota nella American League Central, e pensare al 2020, magari cedendo uno o due giocatori importanti per ottenere giovani da formare in questo periodo. Ecco, proprio capire dove andrebbero quei giocatori importanti è cruciale per farsi un’idea del resto della stagione, e delle squadre che acquisendoli potrebbero riproporsi e scombinare le attuali graduatorie di forza. Saperlo, però…

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