Peccato non poter proiettare in avanti quanto visto nella partita tra Minnesota Twins e New York Yankees di ieri sera, martedì. 14-12 per gli Yankees, con alternanza di punteggio e un finale drammatico: dopo che i newyorkesi hanno segnato 7 punti in due inning, andando avanti 12-11, nella parte bassa del 9° inning Aroldis Chapman, il closer cioé il giocatore che dal monte di lancio deve chiudere la partita mantenendo il vantaggio, regala invece tre basi su ball consecutive a Minnesota che pareggia su una volata di sacrificio. Si va dunque alla decima ripresa e NY segna altri due punti, ma il sostituto di Chapman, Adam Ottavino, dopo avere eliminato il primo battitore regala a sua volta due basi; c’è il secondo out in seconda base ma con uomo in terza Max Kepler batte forte verso lo spazio tra esterno sinistro ed esterno centro, e con quella che è già stata etichettata come la presa (catch) dell’anno Aaron Hicks lo elimina e chiude la partita. Altri 5 centimetri e Minnesota avrebbe perlomeno pareggiato. Partita tra due squadre che molto probabilmente faranno i playoff ma ahimé, come si diceva, quel 14-12 non racconta nulla in prospettiva ottobrina. Prima di tutto perché stasera si gioca gara3 della serie, e siamo per ora sull’1-1, e in secondo luogo perché troppe sono state le circostanze quasi uniche. Un Hicks che prima della splendida presa aveva battuto, con due eliminati, quel fuoricampo del 12-11, dando validità alle parole del compagno di squadra Aaron Judge («ci sarà un motivo per cui gioca esterno centro nei New York Yankees») e smentendo la squadra che lo aveva allevato fino al 2015, cedendolo a New York una volta accertato che non sarebbe, a suo avviso, diventato un grande giocatore. Quella squadra era, ma tu guarda, Minnesota, ma non è che si possa fare una colpa ai Twins: il baseball, pur se sport scientifico e invaso dai numeri, lascia ancora notevoli margini di soggettività nella valutazione dei talenti, e quasi ogni club ha scheletri in piena vista, neanche nell’armadio, come questi. A proposito di scientificità, però, non male quanto Hicks ha detto a proposito della sua presa decisiva: «avevo notato che un attimo prima del lancio il nostro catcher Austin Romine si era spostato leggermente all’esterno (cioé verso la propria sinistra, ndr) e allora ho fatto un paio di passi verso la mia destra». In parole semplici: Kepler è battitore mancino, Romine aveva concordato con il lanciatore Chad Green un lancio lievemente esterno e dunque Hicks aveva previsto una possibile battuta in campo opposto, come si dice di un battitore mancino che spedisce la palla dallo stesso lato, così come di un destro che la mandi verso destra. Perfetto, s-s-s-scientifico come diceva Vittorio Gassman nella strepitosa interpretazione del pugile suonato ne I soliti ignoti. Ma oltre a Hicks in versione strepitosa, Twins-Yankees ha visto anche un Didi Gregorius da 5/5 e sette punti battuti a casa e una serie di lanciatori, per entrambe le squadre, uno peggio dell’altro.

È anche per questo che la sfida, una delle più divertenti dell’anno, rischia però di non suggerirci niente non solo per gara3 ma per agosto o addirittura ottobre in caso di rivincita nei playoff: troppi elementi che è difficile che si ripetano, troppe componenti che possono variare da qui alla fine, anche su quel piano dei lanciatori di cui si è detto. Basti pensare  una delle tante statistiche specifiche che vengono usate dagli esperti, la WPA (win probability added), che analizza lo spostamento delle probabilità di vittoria di una partita in base a ogni giocata di ciascun giocatore: ebbene, Twins-Yankees per i cambi di alternanza di WPA è salita al secondo posto della classifica assoluta, dopo un favoloso Rockies-Dodgers 16-15 del 30 giugno del 1996 (!). E dopo le incertezze di ieri, a sette giorni esatti dalla chiusura del ‘mercato’, non per nulla proprio New York per via dei tanti infortuni è quella a cui vengono accostati i giocatori più disparati, a partire da Robbie Ray, mancino di Arizona, e Mike Minor, altro mancino di Texas. Accontentiamoci, come ha detto il manager degli Yankees Aaron Boone, di «una partita che per essere stata giocata a fine luglio (quindi in periodo lontano dai playoff, ndr) verrà ricordata a lungo», e riazzeriamo tutto.

La NFL è un mondo a latere perché ha solo 16 gare di regular season, concentrate in quattro mesi, e tutte contano, ma il fine luglio della MLB è un po’ come l’inizio dicembre della NBA o NHL, ovvero un periodo in cui si giocano partite il cui peso potrà comparire nelle classifiche finali, ma che raramente lasciano grandi ricordi sul piano agonistico, e però questa settimana pare che il caso abbia presentato un conto diverso. Mentre infatti Twins (bilancio attuale 61-39, primi nella American League Central) e Yankees (65-35, primi nella AL East) si giocavano quel 14-12, a San Francisco Pablo Sandoval batteva il fuoricampo solitario della vittoria per i Giants (52-50) sui Chicago Cubs (54-47,, mentre al Dodger Stadium Mike Trout, l’esterno centro dei Los Angeles Angels (53-49), sparava un fuoricampo e una fucilata di assistenza difensiva nel 5-4 del derby, un derby particolare, sottovalutato da molti media, che hanno una visione da… costa Est delle gare di tarda sera, cioé parziale e frettolosa, ma vissuto molto intensamente dalla gente del luogo. Non per nulla Trout ha detto «è stata probabilmente una delle nostre migliori partite dell’anno, anche per via del pubblico che si è sentito davvero». Alla faccia della reputazione dei tifosi dei Dodgers (67-36), quella di arrivare tardi - ma spesso semplicemente sono bloccati in qualche ingorgo - e di metterci un po’ ad entrare emotivamente in partita.

FENOMENO. Ok, fa un po’ impressione parlare bene di Robinson Canò, il seconda base dominicano dei New York Mets. Dalle sue prime partite con l’altra (!) New York, a marzo, Cano è stato un po’ l’emblema del giocatore ormai verso fine carriera (ha 36 anni), troppo spesso poco incisivo, un paio di volte un po’ troppo lento a correre verso la prima base dopo una battuta potenzialmente valida eccetera eccetera. Ed è stato tutto vero, se si considera che i Mets sono 46-54, pressoché fuori da ogni speranza di playoff e dunque candidati a cedere importanti giocatori in vista del 31 luglio. Però Canò nelle ultime partite, insomma dopo l’All-Star Game, aveva migliorato parecchio le sue medie in battuta, aveva mostrato una maggiore continuità ed era sembrato in generale più tonico e vispo. E martedì sera contro San Diego () - eccoci - ha battuto tre fuoricampo per la prima volta nella sua carriera, che già constava di 317 pepitoni e anche una World Series vinta (con gli Yankees, nel 2009): è anche diventato il più anziano seconda base ad avere una tripletta del genere, e come ha sottolineato il suo allenatore, «come declino non è male, tre fuoricampo. Era da un po’ che lo vedevamo crescere, anche nel periodo in cui mostrava di avere ripreso la ferocia e la potenza nella battuta ma spediva sempre la palla nel guanto di un difensore. Ha lavorato con applicazione per avere serate come questa». Sospiro di sollievo, magari temporaneo, per il general manager dei Mets Brodie Van Wagenen, per un motivo molto semplice: Van Wagenen era l’agente di Canò prima di essere chiamato a New York lo scorso autunno, e dunque è stato lui a ottenere Canò dai Seattle Mariners e a obbligare i Mets a pagare al giocatore la maggior parte dei 96 milioni del contratto (fino al 2023) che egli stesso aveva ottenuto dai Mariners per il suo assistito.

Ah, già che siamo in un certo periodo di rievocazioni: il suocero di Van Wagenen, cioé il padre (patrigno in realtà) della moglie Molly, era Neil Amstrong, il primo uomo sulla Luna. Siamo senza parole, e infatti chiudiamo qui.

 

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