L’inaffidabilità e l’imprevedibilità a corto raggio della MLB colpiscono ancora. Quale era la squadra della National League Central meno in forma, un mesetto fa? Chicago. La stessa che ora è in testa alla division, unica sopra il 60% di vittorie, dopo il 5-2 ai Miami Marlins di martedì sera. Arrivato con un fuoricampo da tre punti di Kris Bryant, la cui rinascita è andata in parallelo con quella della squadra. Domenica, un grande slam nel dominio (13-5) a St.Louis, e la considerazione del manager Joe Maddon sulle ragioni della ripresa: «Penso che la trasferta all’ovest sia servita per rimetterlo a posto. Sta colpendo la palla con una forza e una costanza che prima non aveva, e questo lo fa sentire più carico. Con giovani battitori come lui [Bryant ha ancora solo 27 anni, ndr] è fondamentale avere fiducia in sé, ti cambia le cose». Maddon, analizzando una serie di video addirittura del 2016 - l’anno del titolo dei Cubs - aveva notato che Bryant aveva cambiato in modo impercettibile la sua tecnica di battuta, muovendo troppo la mazza in attesa del lancio, e con un po’ di lavoro alla mattina lo ha aiutato a riprendersi. E ora i Cubs sono in testa alla division peraltro più difficile da capire: le prime tre sono infatti separate da un nulla, e giocando praticamente ogni giorno sia St.Louis sia Milwaukee in un amen possono risorpassare. Ed essere risorpassate e così via, probabilmente fino agli ultimi, decisivi giorni di settembre.

 

Più prevedibili, invece, le difficoltà dei Marlins. Al momento, 10 vinte e 25 perse, .286 di media vittoria, con la seconda peggior squadra, Kansas City, che è a .351 dunque nettamente più su. La ricostruzione avviata nell’inverno 2017 è stata brutale: motivazioni economiche, dettate anche dallo scarso afflusso di pubblico, hanno portato alla cessione dei migliori giocatori, e quelli che li hanno sostituiti al momento non sembrano in grado di far risalire la china. Si tratta perlopiù di giocatori nella fase declinante della loro carriera, incaricati di trasmettere professionalità e trucchi del mestiere ai giovani cui è affidato il futuro. Veterani come Curtis Granderson, Martín Prado, Miguel Rojas, Neil Walker, capaci a giorni alterni - ma troppo lontani tra loro - di produrre lampi, insufficienti però sul piano offensivo, visto che Miami oltre che per vittorie è ultima anche per punti segnati, doppi, tripli, punti battuti a casa e media bombardieri (SLG), quella che statisticamente identifica la produzione. Segnale che le partite dei Marlins hanno punteggi bassi, perché in realtà il reparto lanciatori non se la sta cavando male ed è anzi quello che fa più sperare per la ripresa, visto che è dal monte di lancio che parte tutto, per dare continuità. C’è poi l’elemento ambientale: quasi trent’anni fa il movimento per l’apertura di squadre MLB a Miami e Tampa era fortissimo, a colpi di slogan, volantini, adesivi - il web ancora non era diffuso - e discorsi pubblici, ma fu un equivoco, forse voluto: secondo i propugnatori dell’allargamento della lega la massiccia presenza di tifosi durante lo spring training, ovvero la preparazione precampionato che molti club effettuano in Florida, e l’aumento della popolazione locale di origine latinoamericana erano la prova che c’era fame di baseball professionistico. Ma in realtà i tifosi di marzo erano e sono perlopiù lì per seguire le LORO squadre, mentre il crescente numero di sudamericani e centroamericani non si è appassionato che in parte alle squadre locali, perché è più facile e fa sentire più vincenti tifare Yankees, Red Sox, Dodgers, Cubs e chissà cosa (peraltro, nell’ultimo caso ci voleva comunque coraggio, visto che i Cubs non vincevano dal 1908). Miami alla fine ha vinto due memorabili titoli MLB, nel 1997 e nel 2003, ma in entrambe le occasioni ha subito smantellato la squadra per motivi economici e gestionali. Club bizzarro, è l’unico nella storia dello sport professionistico americano a non aver mai perso una partita di playoff, per il semplice fatto che ci è andato due volte e in entrambe le occasioni, già raccontate, ha vinto il titolo. Nel 1997 batterono i Cleveland Indians all’11° inning di gara7 grazie al punto battuto a casa dall’interbase Edgar Renteria e segnato da Craig Counsell, l’attuale manager di Milwaukee, mentre nel 2003 sconfissero i New York Yankees per 4-2 dopo una stagione assurda: delle prime 38 partite ne avevano vinte solo 16 e dunque avevano cacciato il manager Jeff Torborg, sostituendolo con l’esperto (ok, vecchio… 72 anni) Jack McKeon, che nelle restanti 124 ebbe un bilancio di 75-49 e arrivò fino in fondo. Con un forte elemento… religioso: il general manager Larry Beinfest lo aveva definito ‘specialista di resurrezioni’ e McKeon era davvero un credente, che attribuiva una buona parte dei propri successi all’intercessione di Teresa di Lisieux, la celebre santa francese. 

Tornando con i piedi per terra… bisogna in realtà restare per aria. Perché nella vittoria per 11-1 su St.Louis - squadra in formissima fino a pochi giorni fa, ricordate? - Bryce Harper ha battuto il suo primo fuoricampo del 26 aprile, ed è stato un grande slam, ovvero un fuoricampo a basi piene, da quattro punti. Quest’anno rischia di essere battuto il record di grandi slam della MLB: siamo a 31 e il record per il maggior numero prima di metà luglio, pausa per l’All-Star Game, è di 94, del 2000. Gli Houston Astros ne hanno battuti quattro, di cui due nella medesima partita di fine aprile contro Seattle, mentre molte squadre sono ferme a due: a zero Miami (strano…), Cincinnati, Pittsburgh e Minnesota. Il grande slam è poi ancora più bello quando ti fa vincere la partita con l’ultima battuta, e crea quindi la situazione di walk-off, ovvero battuta vincente con la quale fai uscire la squadra avversaria dal campo, ed esci tu stesso, il che spiega il termine legato a ‘walk’, camminare. L’ultimo è stato quello di Hunter Renfroe domenica sera, nell’attesa partita tra San Diego Padres e Los Angeles Dodgers: L.A. vinceva 5-4, ma il closer (lanciatore incaricato di eliminare gli ultimi battitori) Kenley Jansen ha concesso una battuta valida ai primi tre avversari, due dei quali con una smorzata di successo. Poi due eliminazioni, ne mancava dunque solo una e al turno di battuta doveva andare il lanciatore Adam Warren. Chiaramente, Warren è stato sostituito da Renfroe che al secondo lancio ha spedito la pallina al secondo piano del celebre ex magazzino del Novecento convertito in uno degli edifici più caratteristici di uno stadio di baseball. E non finisce qui, per i grandi slam, il problema è capire da che parte arriveranno.

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