The Final Countdown. Per l’ottavo scudetto consecutivo della Juventus, ma anche per le sue ambizioni di Champions. Tanto Napoli-Juve e nel weekend dedicato a Davide Astori e che ha decretato un doppio sorpasso: del Milan sull’Inter al 3.posto e del Barcellona sul Real negli scontri diretti totali, dopo 87 anni di primato madridista.

1. Napoli-Juventus è stata una partita spaccata in tre fasi ben distinte: i primi 25’ in 11 contro 11, i 20’ successivi con la Juve in superiorità numerica e gli ultimi 45’ in 10 contro 10. Nella prima, la Juventus ha aggredito il Napoli e poi si è riaccomodata nella sua comfort zone: gestione del territorio, consegna del possesso palla all’avversario, attesa di un episodio/errore/situazione da capitalizzare. Così è stato, sul retropassaggio fatale di Malcuit e l’intervento precipitoso di Meret.

media Alex Meret, espulso da Rocchi, per il fallo su Cristiano Ronaldo

Situazione al limite per: l’assenza di contatto, l’ostacolo comunque posto da Meret sulla corsa di Ronaldo, la direzione del pallone, il possibile ma non certo recupero di Allan, la distanza di Rocchi (almeno 30 metri). Nella seconda “partita nella partita” la Juve ha esasperato la sua superiore esperienza e capacità di sfruttare le situazioni favorevoli. Ha segnato 2 gol, ha rischiato sul palo di Zielinski, ha gestito come troppo spesso fa in Serie A.

2. Il terzo tempo in 10 contro 10, in clima tutt’altro che amichevole, è stato invece dominato dal Napoli. La seconda ammonizione di Pjanic e il rigore concesso agli azzurri rientrano in una zona grigia che ne rende molto complicata l’interpretazione, con discussioni inevitabili. Ho rivisto il Rocchi di qualche anno fa, incapace di scrollarsi di dosso i dubbi sulla prima decisione importante della partita (rosso a Meret) e da essa condizionato nelle successive (compreso il mancato secondo giallo a Koulibaly). Il campo non ha mentito nemmeno ieri sera e ha quindi mostrato molto chiaramente le caratteristiche delle due squadre. Non si sono visti i 16 punti di distacco in classifica, però si è visto che al Napoli manca comunque qualcosa per essere più competitivo. Il rigore di Insigne, calciato sul palo, è il simbolo della squadra che arriva lì, a un passettino dal salto di qualità finale, ma non riesce a ottenerlo. Pur nella serata che certifica l’ottavo scudetto con un vantaggio mostruoso, si è rivista l’incapacità della Juventus di svilluppare un gioco fluido, armonioso e produttivo al livello delle big d’Europa. Impensabile che possa esprimersi così contro l’Atletico Madrid, difficile peraltro accendersi d’improvviso dopo tanto grigiore, figlio dell’equivoco che confonde estetica con inefficacia e praticità con qualità. Difficile ma non impossibile. La Juventus di Allegri ha mostrato il suo volto migliore in Europa nelle partite in cui doveva assaltare l’avversario per recuperare un risultato o per imporlo in vista del temuto ritorno: contro il Bayern di Guardiola a Monaco per almeno 70’, contro il Barcellona nei quarti di andata 2017, nella mezz’ora finale a Wembley contro il Tottenham e al Bernabeu l’anno scorso. E la forte connotazione italianista del tecnico bianconero – pratico gestore più che raffinato tessitore – conforta questa ipotesi, nella tradizione del calcio italiano capace di dare il meglio nelle situazioni più delicate/disperate.

3. La lotta per l’Europa dà un senso a questa Serie A. Torna a sognare la Champions la Lazio, sull’onda di un derby stravinto in tutti gli aspetti: tecnico (giocate da top di Correa) tattico (Fazio e Juan Jesus infilati centralmente in velocità) e psicologico (conquistati tutti I palloni 50/50, Roma indotta al raptus finale, al di là dell’eccessiva espulsione di Kolarov). In questa fase preparatoria alla volata finale, Spalletti e Di Francesco sono in affanno. Gli squilibri ambientali hanno tolto ulteriori certezze a squadre già imperfette. Il vento dell’entusiasmo spinge invece il Milan, ben oltre la qualità delle sue recenti prestazioni tra coppa Italia e campionato. A differenza dei due colleghi-rivali citati, però, Gattuso gode di un enorme credito nei confronti di spogliatoio, dirigenti e tifosi. Se lo è conquistato con parole e modi veri, senza filtri né alibi, anche quando avrebbe potuto permetterselo. La rimontona sull’Inter (9 punti recuperati nelle ultime 7 giornate) è figlia degli arrivi di Piatek e Paquetà, del recupero dei difensori titolari (nel periodo buio l’organico era ridotto al minimo) e del ritorno al top di Bakayoko: ai tempi del Monaco, visto dal vivo mi aveva impressionato. Temevo di aver preso una cantonata epocale, le sue ultime prestazioni mi hanno rasserenato sul giudizio iniziale. Poi per affermare che “è tornato ai livelli del Monaco” servirebbero comunque riscontri anche sul palcoscenico europeo, dove dominare la scena è più difficile rispetto alla Serie A.

4. Sognano legittimamente l’Europa anche Atalanta e Torino, due club con diverse similiudini, storiche e contemporanee. Grandi annate nelle coppe, a un passo dal trionfo prima di infrangersi sugli scogli di Malines e Ajax, e nuovo rinascimento in corso, grazie ad allenatori italiani, abili a valorizzare giocatori non sempre apprezzati nelle loro precedenti esperienze. Poi, certo, la spettacolarità dei nerazzurri è evidentemente superiore a quella dei granata. Ma la classifica le pone alla pari, con tratti in comune come le folate sugli esterni (Hateboer, Gosens, Ansaldi ieri migliore in campo del Toro), la presenza di un centravanti poderoso (Zapata e Belotti) e di un trequartista creativo (Gomez e Iago). Mazzarri ha però una certezza in più, Salvatore Sirigu.

media Salvatore Sirigu, arrivato con la partita di ieri a 557 minuti di imbattibilità

Portiere di notevole pulizia tecnica, forte tra i pali e abile in uscita, imbattuto da 557’: record del club e bis personale dopo i quasi 950’ senza concedere reti al PSG. Chapeau.

5. Il pensiero finale è per Davide Astori, un ragazzo che il pubblico ha paradossalmente conosciuto e di conseguenza apprezzato di più quando se n’è andato. Era misurato, composto e parlava coi fatti. La Lega lo ha ricordato con un’iniziativa stupenda, la sua foto e il suo sorriso al 13’ di ogni partita. Non era previsto che il gioco si fermasse, è successo spontaneamente su tanti campi tra gli applausi di tutti I tifosi.

media La Curva Fiesole per Davide Astori

Un abbraccio alla compagna Francesca Fioretti, alla piccola Vittoria, ai genitori Anna e Renato e ai fratelli Marco e Bruno. I giorni del ricordo sono quelli degli abbracci e dell’affetto, ma anche quelli in cui gestire questo immenso dolore diventa ancora più complicato.

Bonus track – El Clasico - Dopo 87 anni, il Barcellona ha superato i rivali eterni nel conto totale degli scontri diretti: 96-95. Con la tredicesima vittoria negli ultimi 16 anni al Bernabeu, dove ne aveva ottenute altrettante fino al 2003. 

media

Dati che servono a ricordarci la magnificenza del grande Real degli anni ‘50 e ’60, utile a marcare la differenza con i blaugrana, che ha resistito fino al ritorno della semifinale di Coppa del Re e al confronto successivo di Liga. Come avevo sottolineato nella scorsa puntata di questo blog, non è una delle versioni più spettacolari e continue del Barcellona. Lo ha ribadito anche José Mourinho dagli studi di BeIn Sports, precisando che “non è una critica ma un complimento: questo Barcellona è più compatto e attento difensivamente del passato”. Il Real dice adios a Coppa del Re e Liga in quattro giorni, tra molteplici rimpianti e la consapevolezza che ai giovani vanno concessi errori, omissioni e pause di rendimento. Il crack Vinicius, ancora troppo morbido davanti alla porta, è l’uomo sul quale ricostruire una squadra generosa, determinata, a tratti anche aggressiva, ma poco efficace. Il Real che per anni ha dominato in Europa, ha perso il suo killer instinct. Perdona quando prima puniva, volteggia nell’aria laddove prima atterrava senza pietà sul corpo dell’avversario. Ma se la foto non viene bene, diceva il celebre fotoreporter ungherese Robert Capa, vuol dire che non eri abbastanza vicino. Se arrivi sempre a centimetri dal colpo di grazia e poi lo subisci invece di sferrarlo, significa che sei inferiore.